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II fase

Anno inizio: 
1924 to 1949

Conclusa la prima fase edilizia sorge il problema politico-gestionale, risolto il primo marzo 1924, con la decisione di affidarne la gestione a una società privata: l’accordo stipulato prevede la consegna della nuova struttura completamente arredata alla società privata che, per contro, s’impegna a gestire 75 posti letto per conto della Provincia a una retta convenzionata massima di 500 lire mensili. I pazienti appartenenti alla piccola borghesia, pagando una “modesta retta”, possono così usufruire della nuova struttura senza essere obbligati a ricorrere a Mombello.

Nella seconda metà degli anni venti il sistema sanitario per le cure mentali si concentra su un nuovo rafforzamento dell’Ospedale di Mombello e di alcune strutture minori. Tra queste, la Casa di Cantello, creata per sfollare i ricoverati della struttura di Limbiate e destinati a essere accolti dal costruendo manicomio di Varese; la Casa di Cesano Boscone, capace di ospitare 130 pazienti cronici di entrambi i sessi; la Casa di San Colombano al Lambro, gestita dall’ordine religioso dei Fatebenefratelli, che accoglie quasi 500 uomini cronici. Oltre a queste strutture vi sono gli istituti privati che, nei progetti di Sileno Fabbri (presidente della Provincia di Milano dal 1923 al 1927 e Commissario straordinario dal 1927 al 1929), occorre affiancare anche da Case per i dimessi, “una specie di zona intermedia tra il manicomio e la famiglia”, e da una rete di dispensari psichiatrici da istituirsi sia nei centri urbani sia nelle aree rurali [MI_PP_4_1_2].

Decaduto il 31 maggio 1938 il contratto con la Società Villa Fiorita per la gestione della struttura manicomiale di Affori, l’anno successivo la Provincia rientra in possesso dei locali che immediatamente sono ripristinati e “ripuliti” nei volumi architettonici, ora destinati ad assorbire anche la funzione mantenuta, fino a quel momento, dall’Astanteria dell’Ospedale Maggiore.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Provincia ritiene necessario un aumento di ricettività, da ottenere mediante la costruzione di nuovi padiglioni e la sopraelevazione di quelli esistenti. Tra i primi lavori a essere eseguiti, tra il 1948 e il 1949, vi sono l’allacciamento alla rete fognaria cittadina e il rifacimento della lavanderia, con annessa ristrutturazione dell’edificio che la ospitava. I nuovi macchinari sono dimensionati per servire 800 alienati, numero assai maggiore rispetto a quello ricoverato.

Nello stesso periodo si dà inizio alla realizzazione di un padiglione per 50 letti destinato a ospitare i malati lavoratori che possono impiegarsi nell’Azienda agricola; un progetto che si riallaccia alla cultura terapeutica del lavoro agricolo degli alienati non gravi e che consente, dopo poco, di realizzare lo sfollamento del padiglione della Direzione ed economato, trasformato temporaneamente in dormitorio per questi pazienti. Parallelamente la Provincia studia il progetto per realizzare un nuovo padiglione di accettazione, da edificare sul fianco della portineria.

Contro il progetto di sopraelevare i padiglioni esistenti si esprime il professor Vincenzo Beduschi, che promuove la costruzione di nuovi reparti, riconoscendo l’urgenza di realizzare una struttura d’isolamento per gli ospiti contagiosi e una sala operatoria, per eseguire interventi chirurgici ai pazienti non trasportabili.

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