La costruzione dei primi 7 padiglioni del complesso manicomiale avviene sulla scorta del progetto Negro, approvato dal Consiglio provinciale nell’adunanza del 29 dicembre 1914. All’atto pratico, tuttavia, i lavori si rivelano particolarmente onerosi, a fronte di un budget piuttosto limitato. Si susseguono, pertanto, diverse revisioni in corso d’opera, fino a quando, allo scopo di graduare l’impegno partendo dal minimo necessario, vengono ordinati degli stralci del progetto originario, che il Consiglio provinciale sottoscrive nella tornata del 5 luglio 1922. Per abbattere ulteriormente i costi di costruzione, si decide di completare in un secondo momento la restante parte del programma, utilizzando come manodopera i ricoverati stessi, fino a realizzare i 13 padiglioni previsti e la relativa rete fognaria.
Sopravvenute difficoltà economiche ostacolano però, ancora una volta, il completamento delle opere: difatti, i primi 7 padiglioni sono ultimati solo al rustico e rischiano di andare in rovina per mancata manutenzione.
Scioltosi il Consiglio provinciale, la Commissione straordinaria, in carica dal 3 settembre 1923, due anni dopo riesce a ottenere i necessari finanziamenti e ad avviare così i lavori di completamento. Questi sono condotti sulla base del progetto datato 5 maggio 1926, che include le decorazioni interne ed esterne degli edifici, la messa in opera degli infissi e degli impianti sanitari, il sistema di distribuzione, depurazione e smaltimento delle acque, le recinzioni e i marciapiedi. Si prevede, inoltre, la costruzione dell’alloggio del custode presso il cancello d’ingresso e la sopraelevazione dell’originario padiglione per Tranquille, allo scopo di duplicare la disponibilità di posti-letto.
Quale responsabile dei lavori figura, in questa fase, l’ingegnere Giuseppe Marchi, ispettore superiore del Genio civile, incaricato dalla Commissione straordinaria di risolvere la delicata questione della capienza dell’istituto. Il tecnico elabora il suo programma di spesa tenendo conto del vecchio progetto Negro, modificato e ampliato per consentire all’ospedale di accogliere anche i folli delle vicine province e richiamare quelli ospitati a Palermo o in altre strutture.
Sebbene i primi 7 padiglioni vengano ultimati nelle finiture e negli spazi esterni [RC_4_3_4; RC_4_3_5; RC_4_3_6], compreso l’edificio per l’Amministrazione [RC_4_3_3], e si razionalizzi la distribuzione dei percorsi mediante l’ultimazione del grande viale d’accesso [RC_4_3_2], il complesso non può ancora funzionare correttamente senza uno stabile da destinare ai servizi generali, in cui allocare le cucine, il panificio e pastificio, il frigorifero e un altro per la lavanderia. I relativi progetti vengono compilati dalla Sezione speciale dell’Ufficio tecnico provinciale, coadiuvata dallo psichiatra Bernardo Frisco, già direttore del manicomio di Girifalco, e approvati dalla Commissione il 17 febbraio 1928, mentre i lavori hanno inizio solo nel maggio del 1929 [RC_4_3_8; RC_4_3_9].
Nel 1930 viene nominato direttore della struttura Ernesto Ciarla, già primario dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Milano, che si dimostra finalmente in grado di operare un accurato bilancio del reale fabbisogno del costruendo istituto. Questi, infatti, dopo un attento studio dei fabbricati esistenti, dei progetti in fase di attuazione e della situazione edilizia globale, decide di rinviare la costruzione di appositi padiglioni per agitati e di uno stabile per i folli criminali, che vengono reclusi altrove. Inoltre, propone la sostituzione delle officine maschili con una costruzione più economica di tipo industriale e l’abolizione di un analogo corpo edilizio riservato alle donne, che avrebbero potuto lavorare invece in appositi locali compresi nel padiglione Servizi generali. Onde ricavare spazi per la degenza dei pensionanti, infine, il Ciarla riduce il numero dei vani per l’alloggio del personale medico nel settore Amministrazione. Al contrario, il neodirettore ritiene doveroso concentrare le risorse economiche disponibili, oltre che nel completamento degli impianti elettrico ed idrico, nella realizzazione di un padiglione per malattie infettive [RC_4_3_7], uno per tubercolotici, un altro per tracomatosi, di una cappella per i servizi religiosi con annessi locali per cella mortuaria e autopsie e di laboratori concepiti come officine industriali [RC_4_3_10; RC_4_3_11], e nell’organizzazione della colonia agricola [RC_4_2_9].
Col trascorrere degli anni, intanto, si rende necessario adeguare i vecchi padiglioni non solo alle specifiche destinazioni d’uso previste dal piano generale, ma anche ai dettami della moderna scienza psichiatrica: in essi vengono pertanto ricavati i reparti di osservazione, le infermerie (uomini e donne) e le sezioni Agitati e Semiagitati, con conseguente modifica delle aperture, degli infissi e delle recinzioni esterne; anche gli ambienti destinati a gabinetti scientifici e sala operatoria sono adattati alle nuove necessità mediante speciali pavimentazioni e rivestimenti. Con tali lavori e l’ultimazione della graziosa cappella in stile neomedievale [RC_4_3_12], alla fine del luglio 1932 l’istituto può dirsi completo nella parte edilizia [RC_4_3_1]: i locali sono opportunamente arredati, collaudati gli impianti, ultimati i percorsi stradali, sistemate le siepi lungo i viali, le aiuole, i piazzali e la colonia agricola.
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