Clinica di malattie mentali, Manicomio di Pavia (1866-1872)
non esistenti
nuovo impianto
Un ospedale dei pazzi sorge a Pavia già nel 1784 quando il marchese abate Giovanni Andrea Bellingeri, per ovviare alla totale mancanza di pietas nei confronti dei folli, fa riadattare il convento di Sant’Agata al Monte e lo mette a disposizione dei poveri pazzi maschi. Qualche anno più tardi, però, non essendo stato ricoverato nel frattempo nessun malato, il Bellingeri acconsente a sostituire alla fondazione il mantenimento di sei poveri pazzi pavesi nell’ospedale milanese della Senavra, con ciò uniformandosi alle prescrizioni del governo austriaco.
La presenza a Pavia di Cesare Lombroso dalla metà del XIX secolo ha poi contribuito a ridestare l’interesse per le malattie mentali e la cura delle loro manifestazioni: nel 1856 inizia a interessarsi alla psichiatria, applicando le sue teorie direttamente sui malati ricoverati nel reparto dell’Ospedale San Matteo, collocato nel palazzo Del Maino e nella limitrofa chiesa di Sant’Eusebio. Il suo metodo sperimentale, tra critiche e riconoscimenti, tra scienza e stravaganza, gli fa ottenere nel 1866 la nomina a primario della Clinica di malattie mentali, modificata allora in un vero Manicomio, diviso in due reparti, quello femminile situato nel palazzo Del Maino, e quello maschile, allestito nel 1868 in un antico convento alla periferia della città, già destinato a Ospedale Militare.
All’inizio dell’ottavo decennio del XIX secolo, la Deputazione provinciale decide di abbandonare il malsano e fatiscente ospizio per alienati ai confini della città e di lanciare un concorso per un nuovo edificio, da far progettare in base a un Programma stilato dai professori Andrea Verga e Cesare Lombroso, per la parte medica, e dagli ingegneri Rinaldo Maccabruni e Cesare Cattaneo, per la parte tecnica. Le esigenze di carattere igienico devono prioritariamente indirizzare le scelte architettoniche, la funzionalità deve sovrastare l’estetica e un ruolo di primo piano deve essere svolto dai medici sanitari: per questo motivo si era individuato, oltre a Lombroso, un altro luminare della materia, Andrea Verga, già direttore della Senavra e docente di Clinica delle malattie mentali all’Ospedale di Milano, noto studioso di forme nervose degenerative presenti nelle popolazioni lombarde.
Il Programma stabilisce che la nuova costruzione deve sorgere fuori dalla città di Voghera, sull’area dov’è l’antico complesso della chiesa e convento di Santa Maria delle Grazie, da demolire, e nelle vicinanze dello Staffora, le cui acque possono essere sfruttate per bagni e lavatoi. Fondamentale prerogativa deve essere l’organizzazione del complesso in padiglioni indipendenti idonei a ospitare almeno trecento malati, equamente divisi tra maschi e femmine, affetti da diverse forme di patologie (furiosi, agitati, semiagitati, tranquilli, fanciulli, epilettici, paralitici e sucidi, criminali), con possibilità di incrementarne in un secondo tempo la capienza. Il costo complessivo del nuovo ospedale non deve superare le 800.000 lire.
Entro il termine ultimo del 31 dicembre 1873 sono presentati dieci progetti, di cui cinque scartati in prima istanza, perché non rispondenti ai concetti principali del programma e tre nel corso di un successivo e approfondito esame. Dei due rimanenti, l’uno è dell’ingegner Francesco Lucca, esperto progettista non nuovo a imprese di tal genere; l’altro – il vincitore – cela due esordienti professionisti pavesi, gli ingegneri Vincenzo Monti e Angelo Savoldi, allievi di Camillo Boito al Politecnico milanese.
I fase: 1873-1876
architetti/ingegneri: Vincenzo Monti, Angelo Savoldi, Cesare Cattaneo
alienisti/psichiatri: Cesare Lombroso, Augusto Tamburini
Il progetto di massima degli ingegneri Monti e Savoldi comprende venti tavole originali a colori e in fotografia e un’ampia relazione che illustra i principi architettonici, sanitari e sociali cui si erano ispirati, aggiornati alle più moderne concezioni psichiatriche e al dibattito sulla funzione del manicomio nell’Italia postunitaria. Dal carteggio tra i due emerge, inoltre, in maniera evidente il desiderio di corrispondere esattamente, nel disegno degli spazi e dei reparti, alle aspettative e ai desiderata del professor Lombroso, il quale nel settembre 1873, risulta “associato” al loro progetto, in qualità di consulente per gli aspetti medici.
In particolare, poiché il requisito essenziale richiesto dal Programma è la netta separazione dei reparti dei vari malati, i due progettisti rinunciano a disseminare i padiglioni nell’area, secondo la tipologia innovativa “a cottage” (realizzata a Mombello, Reggio Emilia, Perugia), ma mantengono inalterata l’indipendenza dei singoli corpi collegando i fabbricati – situati a modesta distanza l’uno dall’altro – tramite una galleria di disimpegno. Lambendo tutti i distinti quartieri nel lato interno prospettante il giardino, essa rende agevole il lavoro a medici e sorveglianti e consente ai maniaci, in inverno e in estate, il passeggio coperto [VO_4_3_1; VO_4_3_11]. La galleria, escludendo il tratto corrispondente al palazzo centrale della Direzione, è a un solo piano fuori terra. L’ossatura generale è il risultato dell’intersezione ortogonale di due rettangoli, che formano una croce simmetrica a bracci diseguali: i due bracci maggiori comprendono i comparti destinati ai malati (a destra gli uomini, a sinistra le donne), mentre quelli formanti l’asse minore, i locali intermedi e di separazione destinati ai servizi generali [VO_4_2_1; VO_4_2_2; VO_4_2_3]. Poiché ciascun comparto è composto di due corpi paralleli, in mezzo si aprono i cortili destinati a esclusivo uso dei malati [VO_4_3_1; VO_4_3_12], mentre le ali libere dei corpi di fabbrica s’immergono negli spaziosi giardini [VO_4_3_2].
Percorrendo l’asse centrale est-ovest, il progetto ha all’ingresso (fronte a ponente) due casini isolati per il portinaio e per il giardiniere-ortolano [VO_4_2_4], cui seguono il palazzo della direzione [VO_4_2_5; VO_4_3_3; VO_4_3_13], gli uffici amministrativi, l’accettazione, i parlatori, la cappella (poi non realizzata) e gli alloggi per gli impiegati; più oltre la farmacia (non realizzata), il gabinetto anatomico e la sezione per criminali (non realizzata), l’infermeria di sequestro per malattie contagiose e, all’estremo posteriore, altre due casine separate, la camera anatomica e il deposito dei cadaveri, tra cui si apre l’uscita posteriore.
Percorrendo, invece, dal centro alla periferia i due bracci laterali, si hanno in ciascuno nove padiglioni – quattro a est, quattro a ovest e uno finale che li collega, a emiciclo – la cui distribuzione, in rapporto al tipo di malati cui sono destinati, è studiata in modo che possano essere collocati verso il centro i malati più tranquilli e verso gli estremi i più agitati. I quattro padiglioni della fila anteriore (a ovest) sono riservati a convalescenti, tranquilli (due reparti) e sucidi (incontinenti); quelli della fila posteriore (a est) a fanciulli, semiagitati, agitati ed epilettici. L’ultimo padiglione semicircolare, che chiude il comparto, è destinato ai furiosi, la cui sezione è costituita da piccole stanze separate, con possibilità di essere sorvegliate da un corridoio comune e fornite ciascuna di un proprio cortiletto esterno all’edificio; per questo reparto i progettisti pensano a tre tipi di celle: d’isolamento, d’osservazione e di forza, in forma ovale e alcune dotate fino all’altezza di 1,80 metri di imbottitura “a cautchout” (caucciù) [VO_4_2_6; VO_4_2_7].
Al centro di ogni comparto è posto un edificio a un solo piano destinato ai bagni [VO_4_3_4], al quale i malati di ciascuna sezione accedono separatamente, per mezzo di quattro tratti di galleria. Grande rilievo è attribuito alla nuova tecnica idroterapica, il mezzo ritenuto più efficace per la cura dell’alienazione: oltre ai bagni ordinari, con tinozze dotate di adeguati coperchi snodati a ribalta, sono previste docce speciali e bagni di vapore [VO_4_2_11; VO_4_2_12; VO_4_2_13].
Il piano terreno è destinato al solo soggiorno diurno, e il superiore a uso di dormitori, in modo da favorire anche la sorveglianza. Al piano terreno sono collocati, in entrambi i comparti (maschile e femminile), i laboratori [VO_4_3_5; VO_4_3_6; VO_4_3_7], le officine, la scuola e i refettori [VO_4_3_8]. Al piano superiore sono gli ampi dormitori, la maggior parte a otto letti, distanti un metro tra loro e posti in corrispondenza di ampie finestre, di cui due a tutta altezza dotate di speciali serramenti [VO_4_2_8; VO_4_2_9]: in questo modo si ottengono la necessaria esposizione alla luce solare e la più ampia ventilazione degli ambienti [VO_4_2_10], prerogative richieste come essenziali nel dibattito tra gli igienisti. Si riservano i sotterranei, che percorrono tutto l’edificio, ai servizi; qui sono sistemati: cucine [VO_4_3_9], panificio, lavanderia e asciugatoio, caloriferi, fogne, legnaia, cantina e ghiacciaia; tutto il sotterraneo è percorso dai binari di una piccola ferrovia per il trasporto delle provvigioni [VO_4_3_10], collegata a un sistema di montacarichi collocati lungo il percorso, in corrispondenza dei reparti [VO_4_2_14].
Una caratteristica della proposta Monti-Savoldi è, inoltre, quella di eliminare visivamente ogni connotazione di violenza e di reclusione nella struttura architettonica, in linea con il sistema del non-restraint: a questo scopo si vuole che il muro di cinta dei giardini sia poco elevato, quasi un parapetto d’affaccio sulla campagna aperta, e difeso solo da una siepe, a mascheratura della fossa “a salto di lupo” per impedire le evasioni [VO_4_3_15].
Se per ragioni economiche i due progettisti devono rinunciare a utilizzare materiali di pregio, essi però prediligono la semplicità delle linee, l’armonia del disegno, il gioco dei volumi e il disegno planimetrico, per dar piacevolezza all’edificio, affidando la caratterizzazione estetica alla sola tinteggiatura delle murature esterne a fasce di due colori [VO_4_2_15].
Dal 1874, il complesso architettonico è realizzato dall’Ufficio tecnico provinciale sotto la direzione dell’ingegnere capo, Cesare Cattaneo, il quale apporta arbitrarie modifiche al progetto vincitore del concorso, nonostante le proteste dei due progettisti, Monti e Savoldi, appoggiati pubblicamente dal loro maestro Camillo Boito in una lettera del 22 agosto 1874. Entro l’inverno del 1876, il nuovo manicomio provinciale, per quanto ancora non ultimato, inizia a ospitare i primi pazienti, ovvero gli 89 malati di sesso maschile lì trasferiti dal fatiscente ex convento pavese in cui erano ricoverati.
II fase: 1876-2012
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
In occasione del IV Congresso della Società Freniatrica italiana, ospitato nel 1883 nel nuovo Manicomio di Voghera, sono apportate alcune migliorie tecniche, quali la ritinteggiatura a fasce bicrome dell’esterno, la sostituzione dei pavimenti in mattoni con mattonelle in cemento idraulico, più igieniche, e il rifacimento del binario sotterraneo per la distribuzione di viveri e servizi.
Dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni nostri nel complesso manicomiale di Voghera si attuano esclusivamente opere di manutenzione ordinaria, salvo un’opportuna rifunzionalizzazione dell’ala nord, oggi sede dell’ASL; l’ala sud, al contrario, oggi è in stato di parziale abbandono [VO_4_1_3].
impianto
a padiglioni disposti lungo due assi di simmetria, collegati da porticati coperti e gallerie sotterranee
corpi edilizi
edifici a pianta rettangolare, a “L”, a “C”, a esedra, su uno, due e tre piani (con sotterranei)
strutture
strutture in elevazione: murature tradizionali
orizzontamenti: volte a crociera, volte a botte ribassata, solette piane, tutte in muratura
coperture: tetto a falde con copertura in tegole
medio: per quasi tutto il complesso
cattivo: ala sud
A. Pages, Il programma del nuovo Manicomio per la Provincia di Pavia. Osservazioni, s.e., Milano s.d. [1874]
V. Monti, A. Savoldi, Questione del Manicomio provinciale erigendo a Voghera, in “Il Patriotta”, 31 maggio 1876
A. Tamburini, Il nuovo Manicomio della Provincia di Pavia in Voghera. Cenni del prof. A. Tamburini, direttore di detto manicomio, Stab. F.lli Richiedei, Milano 1877
Id., Il primo semestre di vita del manicomio provinciale di Pavia in Voghera. Relazione alla on. Deputazione Provinciale di Pavia del prof. Tamburini, Stab. Tip. succ. Bizzoni, Pavia 1877
Manicomio provinciale in Voghera, in Pavia e i suoi istituti universitari. Guida storico-scientifica compilata per cura della presidenza del comitato medico pavese, Tip. Fusi, Pavia 1887, pp. 241-249
Il manicomio provinciale di Pavia in Voghera. Viaggio nello spazio mentale della follia: architettura, psichiatria, società, a cura di E. Bersani, M. Debattista, G. Lanfranchi, Tipolito MCM, Voghera 1992
S. Zatti, La città dolorosa. Documenti e immagini del manicomio provinciale di Pavia a Voghera, Comune di Pavia, Pavia 2010
F. Draghi, A. Vicini, Oltre il cancello … Voghera. Notizie storiche su quello che era il Manicomio Provinciale, Guardamagna, Varzi 2011
S. Zatti, Manicomio provinciale di Pavia in Voghera, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 141-142
Archivio storico della Provincia di Pavia, Cartella 278, cat. IV
Archivio Storico Civico di Pavia, Cartella speciale “Manicomio provinciale”
Archivio Storico Civico di Voghera (PV), Archivio fotografico Cicala
Musei Civici di Pavia, Archivio fotografico Chiolini
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