L’idea della localizzazione a Teramo di una struttura sanitaria dedicata al disagio mentale trova una sua realizzazione attraverso il deliberato del Consiglio provinciale nel 1881. Fin dai primi anni dell’istituzione della sezione dedicata agli alienati mentali nell’ambito dell’Ospedale civile di Teramo, l’organismo di dipendenza provinciale che gestirà i servizi sanitari, ossia la Congregazione di Carità, persegue una politica di acquisizione dei suoli in prossimità della Chiesa di Sant’Antonio Abate, onde trasformare l’estesa area urbana di Porta Melatina in un nuovo centro direzionale per la città borghese di inizio Novecento. In realtà, già precedentemente, come dimostra la cartografia catastale, per l’intera area urbana prossima alla fondazione religiosa erano previste operazioni edilizie: l’assetto urbano, infatti, secondo la mappa catastale del 1875, redatta dall’ingegner Giambattista Tonini, prevede il successivo avanzamento del fronte urbano verso il fiume Vezzola e la saturazione dell’area a nord-est della chiesa di Sant’Antonio Abate [TE_ 4_1_3; TE_ 4_1_4]. La quinta di città che guarda verso il corso d’acqua ordina, dunque, la propria cortina edilizia col fagocitare l’aula religiosa e crea, per la città borghese, quel nuovo ingresso al sito affermando un’immagine unitaria dell’intero fronte attraverso la sistemazione di una quinta a due fornici gemelli emisimmetrici, con superiore serliana e affaccio balaustrato recante, all’arcata di nord-est, la targa “Porta Melatina” [TE_4_3_1; TE_4_3_2]. L’immagine ha visto riconosciuto il suo efficace e persuasivo valore nel diventare addirittura ‘frontespizio’ della pubblicazione ufficiale del manicomio, venendo anche utilizzata nelle più ritenute opere a stampa dedicate alla città [TE_4_3_3].
Come confermano le considerazioni esposte nel 1902 dal direttore Francesco Salvini in una relazione a stampa, l’istituzione del manicomio si traduce dunque in occasione perspicua per l’incremento del patrimonio immobiliare di pertinenza dell’Ente assistenziale, sicché tra il 1881 e il 1899 si arriva ad acquistare undici tra immobili e terreni liberi nelle prossimità dell’ingresso urbano dal lato del fiume Vezzola, per poi provvedere a sostenere progetti di modifica dell’area edilizia [TE_ 4_1_4]. Al 1901 risale la proposta di alloggiare di un reggimento militare con inserti edilizi da costruire ex-novo nell’area dell’Ospedale civile, sui nuovi terreni acquisiti prossimi all’aula conventuale e al confine con le mura urbane, prefigurando il riordino della cortina di chiusura del centro storico nel suo fronte di nord-est e dando luogo alla realizzazione di un muro di recinzione avanzato con l’invenzione di un nuovo fornice d’ingresso sul vico primo del Ricovero (oggi vico delle Recluse), col saturare interamente il lacerto edilizio a nord-est della chiesa di Sant’Antonio Abate [TE_4_3_13]. La configurazione degli spazi così definita contempla integrazioni edilizie che nascevano per soddisfare aspettative diverse da quelle legate alle esigenze sanitarie definendo, poi, in qualche modo, non solo gli aspetti fisici del manicomio tramano, ma anche i caratteri distributivi e il modello architettonico del nosocomio medesimo, rivelandosi, inoltre, perfettamente antitetico alle metodiche di cura praticate dagli alienisti che nel tempo si sono avvicendati al suo interno. Il carattere estensivo dell’impegno edilizio con cronologico sviluppo e modifiche dei vani esistenti ha suggerito, insieme all’adattamento alle differenti condizioni orografiche dei siti di pertinenza dell’intero presidio, il regime distributivo di risulta degli ambienti che trova, soprattutto nella pianta del primo piano dalla quota di via Saliceti, la sua sintesi più efficace [TE_4_2_6]. Un’articolazione di corridoi nel fronte di nord-est, con finestre protette da grate che guardano verso l’esterno, suggellano la distanza dei reclusi dal resto del tessuto urbano, suggerendo verso gli affacci interni il carattere di enclave che riveste l’intera struttura. Simile articolazione individua anche un ‘modello progettuale’ che avrà modo di evolversi quando, all’interno del perimetro del presidio sanitario, con il terzo decennio del Novecento, si attrezzerà ex-novo un padiglione in cui il budello distributivo costituirà asse centrale di partizione del lungo rettangolo di fabbricato, assumendo un ruolo di servizio alla degenza, piuttosto che, come alcuni decenni prima, semplice ronda di sorveglianza degli infelici. D’altra parte, il manicomio aprutino ha rappresentato, per altri versi, un formidabile pretesto per supportare idee di trasformazione della città sempre più attente a soddisfare le esigenze delle mutate aspettative sociali in una realtà storica piena di fermenti di evoluzione, considerando principalmente la risorsa immobiliare quale bene primario da far fruttare e relegando le esigenze dell’attrezzatura psichiatrica ad una futura risoluzione attraverso una delocalizzazione esterna al circuito murato.
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