Il periodo compreso tra l’inaugurazione del manicomio e i primi anni quaranta, è caratterizzato dall’organizzazione degli spazi interni, a livello gestionale e amministrativo, e da pochi interventi di ottimizzazione interna. La direzione si occupa di sviluppare i volumi architettonici dell’azienda agricola in base alle patologie dei ricoverati [VA_4_2_3; VA_4_2_4; VA_4_2_5; VA_4_2_20; VA_4_2_21; VA_4_2_22], nel rispetto dell’impostazione assegnata al manicomio da Fiamberti, convinto sostenitore della “psicoterapia d’ambiente”. È dunque riproposto un moderato no-restraint unito all’attenzione per gli aspetti ergoterapici e psicoterapici: i pazienti non sono considerati solo come forza lavoro, ma anche come risorsa da coinvolgere nelle fasi di ideazione e guida dei processi produttivi. Nel 1940, ad esempio, è realizzato il “Padiglione libero per lavoratori” nei pressi della colonia agricola, per ospitare i pazienti che lavorano nella colonia o nei “laboratori industriali” in attesa della loro dismissione [VA_4_2_19]. Con la conclusione del processo di richiamo dei pazienti ricoverati presso le strutture extra-provinciali (1941), si codifica il sistema ergoterapico ed entrano in funzione la falegnameria, la sartoria, la maglieria, la calzoleria e il laboratorio di metallurgia.
Altri piccoli adeguamenti della nuova struttura riguardano gli spazi di osservazione [VA_4_2_12; VA_4_2_13] e d’ingresso nella struttura psichiatrica [VA_4_2_16], poiché Fiamberti è uno dei massimi assertori italiani della necessità di restringere le “categorie” dei malati, da ricoverare all’interno delle strutture psichiatriche, ricorrendo, quando possibile, alle cure omofamiliari. A questa seconda fase gestionale del manicomio appartiene anche l’apertura degli ambulatori neuropsichiatrici di Busto Arsizio, Saronno e Luino, intesi come elementi fondamentali della rete dei dispensari psichiatrici.
Ulteriori piccole modifiche agli spazi interni sono compiute per valorizzare le ricerche in campo prettamente neurologico e neurochirurgico. Fiamberti, infatti, aveva importato dall’ospedale psichiatrico di Sondrio, da lui diretto in precedenza, le pratiche per le terapie biologiche delle psicosi, compiendo veri e propri esperimenti sui pazienti nell’ambito delle terapie shock, e introducendo un proprio metodo che prevedeva l’impiego dell’acido acetilcolinico. Grazie ai suoi primi successi nazionali e internazionali nel campo della ricerca nelle cure delle psicosi e dell’affermazione dei modelli di psicochirurgia, derivati dagli studi per le trapanazioni craniche di Egas Moniz e di Achille Mario Dogliotti, gli spazi destinati alla ricerca del manicomio di Varese crescono, e aumentano anche gli ambienti dedicati alla conservazione e archiviazione dei dati raccolti.
La realizzazione di un Centro Neurologico per pazienti affetti da malattie al sistema nervoso non mentali, realizzato nel 1941 all’interno del padiglione Ottorino Rossi (infermeria [VA_4_2_10; VA_4_2_11]), con approvazione diretta del Capo del Governo nazionale, è dunque da inserire in questo processo di ricerca sperimentale per la cura delle malattie mentali. Queste ricerche conducono alla generale riqualificazione e all’ampliamento dei laboratori per le analisi chimiche, odontoiatriche, oftalmiche, radiologiche e psicodiagnostiche, e portano, all’inizio degli anni quaranta, alla creazione di un vero polo chirurgico, specializzato nella neurochirurgia e in quella che, grazie agli studi di Walter Jackson Freeman, sarà denominata lobotomia transorbitale.
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