Manicomio provinciale di Mombello
Manicomio di Villa Litta Modigliani
Assenti
nuovo impianto
L’idea di realizzare un nuovo grande ospedale psichiatrico a Milano è ufficializzata nel 1904, quando la Deputazione provinciale incarica il dottor Ripamonti di redigere, insieme al direttore del nosocomio di Mombello (Giovanni Battista Verga), uno studio che stabilisca se è più conveniente ampliare il manicomio situato in terra briantea o far sorgere un nuovo istituto, collegato al manicomio di Mombello attraverso la “linea tramviaria”. I medici si esprimono a favore di questa seconda ipotesi, approvata dalla Commissione di Vigilanza per il Manicomio Provinciale di Mombello nelle sedute del 26 ottobre 1904 e del 25 ottobre 1905. Nella sua relazione Verga dichiara che i manicomi devono sorgere in prossimità di un centro abitato, poiché ne deriva sia una più corretta amministrazione sia un maggior contenimento economico di spesa, offrendo inoltre la garanzia di impiegare buoni medici all’interno delle strutture sanitarie e personale secondario più aggiornato e istruito nella pratica medica. Pur lodando i risultati ottenuti nel “colossale” ospedale psichiatrico esistente, Verga ne evidenzia l’inadeguatezza delle strutture architettoniche a causa del progressivo aumento del numero di alienati provinciali. Egli concorda con Cesare Castiglioni, Serafino Biffi e lo zio Andrea Verga – gli psichiatri che negli anni precedenti avevano già suggerito la costruzione di un nuovo manicomio all’interno della città di Milano –, nonché con Antigono Raggi (direttore dell’Istituto psichiatrico dell’Università di Pavia e del manicomio provinciale di Voghera) e Edoardo Gonzalez (direttore del manicomio di Mombello) che già nel 1895 si erano espressi sull’opportunità di edificare in città un manicomio capace di ospitare sino a 500 pazienti. Verga è dell’opinione che la capacità adeguata della nuova struttura sia di 600-700 pazienti da sottoporre a un’attenta osservazione preliminare, per consentire l’assegnazione di una cura adeguata e la dismissione prima ancora del loro ricovero.
Per l’edificazione del nuovo manicomio è scelta l’area di Affori, distante quasi due chilometri dal polo industriale di Bovisa e caratterizzata da venti dominanti che lo riparano da eventuali influssi nocivi per la salute e, per questo scopo, nel 1906 l’amministrazione provinciale acquista un vasto terreno di 503.121,55 mq. Tale decisione è preceduta dall’acquisto di Villa Litta Modigliani affinché si provveda con urgenza allo sfollamento del manicomio di Limbiate. Poco discosto dal grande terreno, dunque, la Provincia è già proprietaria di un’altra area di circa 80.000 mq che comprende anche la sontuosa villa della nobile famiglia milanese, dando origine a Milano, almeno sulla carta, a un nuovo polo per la ricerca e la cura delle malattie mentali.
Nel 1914 il Servizio edile dell’Ufficio tecnico provinciale suggerisce di edificare un manicomio con 1.200 posti letti: l’ingegnere capo, Italo Vandone, ritiene che oltre a questa struttura si debba costruire un ulteriore nuovo polo manicomiale capace di ospitare altri 1.000 malati. La discussione di questo progetto (11 gennaio 1915) trova pareri discordanti tra i consiglieri comunali, che poi preferiscono la costruzione di un nuovo manicomio provinciale ad Affori di 1.300 letti, da denominare Istituto d’Accettazione, Osservazione e Cura, che deve essere inteso anche come struttura sostitutiva dell’Astanteria urbana.
Fortemente influenzato dal pensiero di Giuseppe Antonini, il progetto del nuovo complesso di Affori è pensato con un ruolo principalmente di profilassi e, per questo, dotato di ampi locali destinati alle visite ambulatoriali e alla concertazione e incontro tra famiglie, pazienti e medici. All’ufficio tecnico provinciale egli chiede la progettazione di spazi moderni: anche se non può applicare tutte le sue convinzioni di ergoterapia, libertà e no-restraint, insiste affinché il nuovo manicomio si configuri come centro clinico sperimentale di studio, dotato di laboratori autonomi e ambienti per la ricerca e lo scambio di esperienze nel campo della cura medica. Purtroppo lo scoppio della Grande Guerra e la conseguente crisi economica portano all’accantonamento del progetto di Antonini che, come quello di Verga, non sarà mai realizzato nelle sue forme compiute.
I fase: 1921-1924
architetti/ingegneri: Italo Vandone
alienisti/psichiatri: Giuseppe Antonini
Il compito redigere il progetto di massima per il nuovo ospedale psichiatrico di Milano, capace di ospitare 250 pazienti, è affidato nel 1921 a Italo Vandone, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale-Servizio edile, e all’alienista Giuseppe Antonini, direttore del Manicomio di Mombello.
L’impianto generale prevede la realizzazione di padiglioni autonomi immersi nel verde e collegati da una fitta rete stradale interna che, benché ispirata ai modelli a “padiglioni dispersi” d’oltralpe, non rinuncia alla creazione di una spina centrale per i servizi. Particolare attenzione è riposta nel calcolo delle distanze tra i differenti padiglioni, che devono rispondere a logiche economiche e a ragioni igieniche di aerazione, soleggiamento e isolamento terapeutico [MI_PP_4_2_1]. In generale i padiglioni coincidono con edifici di semplici forme architettoniche fiancheggiati da gallerie-verande e dotati di finestrature contrapposte per favorire l’aerazione interna.
Il progetto prevede l’edificazione di due fabbricati simmetrici d’ingresso dotati di portico, da impiegare come portineria e ricovero della guardia medica; di un fabbricato per la direzione e l’amministrazione [MI_PP_4_2_2; MI_PP_4_2_3; MI_PP_4_2_4]; di due padiglioni per l’osservazione, capaci complessivamente di 70 posti letto [MI_PP_4_2_5; MI_PP_4_2_6; MI_PP_4_2_7; MI_PP_4_2_8]; di due padiglioni clinici, uno maschile e l’altro femminile, dotati di 90 posti ciascuno [MI_PP_4_2_9; MI_PP_4_2_10]; di un fabbricato che raccoglie tutti i servizi generali funzionali allo svolgimento della vita interna del manicomio (caldaie a vapore, cucine, ragazzini, depositi, ecc.); di un piccolo fabbricato per i servizi funebri e l’esecuzione delle autopsie. Ogni padiglione è dotato di ampi spazi piantumati destinati alle passeggiate degli alienati, delimitati da cancellate metalliche costruite su un basso zoccolo in cemento armato.
Dopo un lungo dibattito e un complesso iter progettuale si giunge alla redazione del progetto esecutivo, ancora elaborato da Italo Vandone e Giuseppe Antonini. Il nuovo manicomio si basa su un impianto di nove edifici principali disegnati lungo un preciso asse di simmetria, che trova riscontro anche nella maglia urbana cittadina. Lungo la spina centrale sono collocati gli edifici della portineria, dell’accettazione, della direzione e dei servizi, mentre sul fianco settentrionale trovano posto i due ruotati padiglioni per l’osservazione e la cura degli uomini, ai quali fanno riscontro identici volumi architettonici per le donne. Una regolare maglia stradale interna quadrangolare collega i differenti reparti, mentre una serie di spazi verdi circonda i singoli padiglioni, posti al centro di ampi giardini che, nella seconda metà del XX secolo, accoglieranno nuovi padiglioni.
La richiesta per ottenere la licenza di costruzione è presentata il primo novembre 1922; l’esecuzione dei lavori è affidata all’Impresa Ing. Giuseppe Lucchetti di Milano che dirige il cantiere con molta attenzione e celerità, consegnando i lavori terminati a rustico il 7 luglio 1923.
In fase esecutiva il progetto subisce alcuni cambiamenti, mentre l’impianto generale rimane sostanzialmente invariato, anche se alcune piccole modifiche sono apportate nella distribuzione interna dei locali. Gli anni seguenti sono impiegati per la realizzazione delle finiture e per rendere la struttura pienamente abitabile.
II fase: 1924-1949
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Conclusa la prima fase edilizia sorge il problema politico-gestionale, risolto il primo marzo 1924, con la decisione di affidarne la gestione a una società privata: l’accordo stipulato prevede la consegna della nuova struttura completamente arredata alla società privata che, per contro, s’impegna a gestire 75 posti letto per conto della Provincia a una retta convenzionata massima di 500 lire mensili. I pazienti appartenenti alla piccola borghesia, pagando una “modesta retta”, possono così usufruire della nuova struttura senza essere obbligati a ricorrere a Mombello.
Nella seconda metà degli anni venti il sistema sanitario per le cure mentali si concentra su un nuovo rafforzamento dell’Ospedale di Mombello e di alcune strutture minori. Tra queste, la Casa di Cantello, creata per sfollare i ricoverati della struttura di Limbiate e destinati a essere accolti dal costruendo manicomio di Varese; la Casa di Cesano Boscone, capace di ospitare 130 pazienti cronici di entrambi i sessi; la Casa di San Colombano al Lambro, gestita dall’ordine religioso dei Fatebenefratelli, che accoglie quasi 500 uomini cronici. Oltre a queste strutture vi sono gli istituti privati che, nei progetti di Sileno Fabbri (presidente della Provincia di Milano dal 1923 al 1927 e Commissario straordinario dal 1927 al 1929), occorre affiancare anche da Case per i dimessi, “una specie di zona intermedia tra il manicomio e la famiglia”, e da una rete di dispensari psichiatrici da istituirsi sia nei centri urbani sia nelle aree rurali [MI_PP_4_1_2].
Decaduto il 31 maggio 1938 il contratto con la Società Villa Fiorita per la gestione della struttura manicomiale di Affori, l’anno successivo la Provincia rientra in possesso dei locali che immediatamente sono ripristinati e “ripuliti” nei volumi architettonici, ora destinati ad assorbire anche la funzione mantenuta, fino a quel momento, dall’Astanteria dell’Ospedale Maggiore.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Provincia ritiene necessario un aumento di ricettività, da ottenere mediante la costruzione di nuovi padiglioni e la sopraelevazione di quelli esistenti. Tra i primi lavori a essere eseguiti, tra il 1948 e il 1949, vi sono l’allacciamento alla rete fognaria cittadina e il rifacimento della lavanderia, con annessa ristrutturazione dell’edificio che la ospitava. I nuovi macchinari sono dimensionati per servire 800 alienati, numero assai maggiore rispetto a quello ricoverato.
Nello stesso periodo si dà inizio alla realizzazione di un padiglione per 50 letti destinato a ospitare i malati lavoratori che possono impiegarsi nell’Azienda agricola; un progetto che si riallaccia alla cultura terapeutica del lavoro agricolo degli alienati non gravi e che consente, dopo poco, di realizzare lo sfollamento del padiglione della Direzione ed economato, trasformato temporaneamente in dormitorio per questi pazienti. Parallelamente la Provincia studia il progetto per realizzare un nuovo padiglione di accettazione, da edificare sul fianco della portineria.
Contro il progetto di sopraelevare i padiglioni esistenti si esprime il professor Vincenzo Beduschi, che promuove la costruzione di nuovi reparti, riconoscendo l’urgenza di realizzare una struttura d’isolamento per gli ospiti contagiosi e una sala operatoria, per eseguire interventi chirurgici ai pazienti non trasportabili.
III fase: 1950-1960 [MI_PP_4_1_4]
Architetti/ingegneri: Antonino Berti, Filippo Sala
alienisti/psichiatri: A. Neri, Vincenzo Beduschi, Romeo Vuoli, Mario Fiamberti (direttore dell’Ospedale psichiatrico di Varese)
Nei primi anni cinquanta il direttore A. Neri riesce a realizzare un progetto di sistemazione generale, che prevede piccoli interventi di manutenzione ordinaria e il rifacimento degli intonaci nei padiglioni femminili. L’impegno economico maggiore è destinato alla conclusione dei lavori iniziati all’azienda agricola, dotata di una nuova concimaia, di una piccola stalla per i cavalli, della quale è prolungato il portico. Lavori aggiuntivi sono eseguiti per incrementare la produttività aziendale che ora può contare anche su un nuovo magazzino, stalle più comode, un locale idoneo alla stagionatura dei salumi e un ambiente da destinarsi alla macellazione degli animali. Neri pone mano anche al rifacimento del servizio cucina, predisponendo l’acquisto di nuove attrezzature moderne a gas.
Nel 1951 una commissione incaricata dalla Deputazione provinciale studia la riorganizzazione della cura psichiatrica provinciale, consigliando di ampliare la ricettività del Paolo Pini sino a 600 letti, per assorbire eventuali picchi di richiesta sanitaria; il progetto, schematicamente disegnato, riprende parzialmente anche l’ipotesi di sopraelevare alcuni edifici esistenti. Al progetto di riorganizzazione della cura psichiatrica provinciale partecipano: Antonino Berti, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, Filippo Sala, capo della Ragioneria provinciale, e gli psichiatri Vincenzo Beduschi e Romeo Vuoli.
Nel progetto i padiglioni per l’osservazione devono essere trasformati in reparti per la cura dei tranquilli. Due nuovi edifici per gli agitati, complessivamente di 10.000 mc, si collocano in prossimità degli originari padiglioni per l’osservazione. Nell’area settentrionale del complesso deve sorgere anche la nuova infermeria, con funzione anche d’isolamento per i malati infettivi. A ponente, invece, si deve costruire un nuovo edificio per ospitare il convitto delle infermiere e gli alloggi delle suore, oltre a realizzare un nuovo edificio di culto. Lungo via Ippocrate, all’estremità settentrionale del complesso architettonico, si vuole edificare la nuova camera mortuaria, dotandola di un ingresso diretto e autonomo, che faciliti il trasporto delle salme nei cimiteri provinciali. Il progetto immagina anche l’edificazione di un nuovo fabbricato per l’alloggio del direttore, dell’economo e di alcuni selezionati dirigenti, che deve sorgere su un’area da individuare nei pressi dell’ospedale.
Nel 1952 si dà inizio a una parziale attuazione del progetto e, in particolare, all’edificazione di due nuovi padiglioni di 104 letti ciascuno, correlandolo a una lenta riforma lavorativa del personale infermieristico [MI_PP_4_1_3]. Nel 1954, malgrado si collochi ancora al terzo posto nella graduatoria ricettiva delle strutture provinciali – preceduta dal manicomio di Mombello (2.650 ricoverati) e dalla Casa Salute di San Colombano (1.178 uomini) –, l’Astanteria di Affori si presenta come sede centrale dell’intero sistema provinciale della cura mentale, divenendo il principale luogo dell’attività di diagnostica, di assistenza e raccolta degli acuti, lasciando a Mombello e ad altri centri periferici il compito di assolvere la funzione di contenzione e “cura” dei cronici e subcronici.
Nel 1954 sono inaugurati il padiglione della Direzione, il reparto di ricerche clinico-diagnostiche e un nuovo reparto per i degenti. I lavori per la costruzione di altri due reparti di degenza, della Scuola-convitto per le infermiere e della nuova Casa per le suore, terminano cinque anni dopo.
L’importanza acquisita in questi anni dall’istituto Paolo Pini cresce ulteriormente con l’accordo stipulato tra la Provincia e l’Università Statale di Milano per la creazione di una cattedra di psichiatria e l’apertura di un corso di specializzazione in psichiatria affidato al professore Giuseppe Carlo Riquier, facendo nascere la prima Clinica Universitaria italiana (1958).
L’impegno per la ricerca si esprime attraverso la creazione di un vasto impianto di diagnostica terapeutica, che può contare anche sulle più moderne attrezzature, e sulla creazione di un “reparto pilota” rivolto all’analisi dei casi clinici più complessi e allo studio di nuove terapie da poter sperimentare prima del loro impiego nella prassi medica. Si sviluppano studi sull’ergoterapia e sono forniti nuovi servizi di neuro-chirurgia applicati alle psicosi. Questo processo di rinnovamento della struttura interessa inevitabilmente anche l’impianto edilizio-funzionale dell’intero complesso architettonico, che subisce numerose trasformazioni interne per potersi adattare alle nuove conoscenze mediche e ai moderni processi di cura introdotti quali, per esempio, l’organizzazione dei pazienti in piccole unità terapeutiche capaci di favorire la terapia individuale e di gruppo, facilitando l’interazione tra i pazienti e l’evoluzione della terapia occupazionale.
IV fase: 1960-1977 [MI_PP_4_1_4]
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Le nuove istanze scientifico-disciplinari giunte all’interno del manicomio hanno come primo effetto la creazione in ogni reparto del servizio di osservazione e cura dei pazienti, la cui gestione è affidata ad affiatate équipe che seguono l’iter manicomiale dei singoli pazienti, dal ricovero all’eventuale dimissione; una centralità culturale determinata anche dalla posizione privilegiata della struttura e riaffermata attraverso l’ampliamento dei servizi offerti al territorio, tra cui il Servizio Alcoolopatie (1962) e il Servizio di Psicogeriatria (metà anni sessanta) [MI_PP_4_3_1].
L’apertura verso metodi sperimentali comporta l’adattamento degli ambienti interi a nuovi modelli di cura e all’interazione tra e con i pazienti. Sotto l’impulso del dottor Carlo Erba alcune équipe concentrano i loro sforzi sulla creazione di “Comunità terapeutiche” e sull’introduzione dei modelli d’interazione tra i pazienti sperimentate dal 1952 dallo psichiatra Maxwell Jones, con l'obiettivo di responsabilizzare gli “ospiti” nella gestione dell'istituzione psichiatrica. Non mancano inoltre sperimentazioni molto criticate nei decenni successivi, come l’induzione al sonno profondo tramite shock insulinico, l’impiego esteso dell’elettroshock (dismesso nel 1975) e il ricorso a innovative convinzioni neurochirurgiche, che portano a realizzare in pochi mesi 150 leucotomie e lobotomie, che spesso non portano giovamento ai pazienti, ma li riducono in stato catatonico-vegetativo. Oltre alla realizzazione di sale operatorie neurochirurgiche, negli anni sessanta sono realizzati anche laboratori di ergoterapia che mirano alla valorizzazione della creatività dei pazienti attraverso la stimolazione all’arte e all’artigianato, realizzando anche le prime botteghe di arte interne al manicomio (1965). Due anni dopo il Paolo Pini inizia una stretta collaborazione con l’adiacente Villa Serena, Centro socioterapico chiuso nel 1972.
L’adesione a nuovi modelli di cura psichiatrica e l’immediata applicazione della legge n. 431 del 1968, favoriscono l’introduzione d’innovativi parametri dimensionali da applicare sperimentalmente ai reparti, alla degenza (mq/paziente) e agli spazi comunitari dedicati alla socializzazione attiva (laboratori).
La necessità strutturale del settore scolastico induce nel 1975 la Provincia di Milano a trasformare alcuni padiglioni manicomiali di Garbagnate e del Paolo Pini in complessi scolastici, introducendo il concetto d’integrazione tra gli ospiti dell’originaria cittadella dei matti con il resto del tessuto urbano, il che impedisce anche la creazione di spirali di degrado architettonico.
V fase: 1978-2012 [MI_PP_4_1_4; MI_PP_4_1_5]
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Sebbene con qualche resistenza, il processo di dismissione della struttura manicomiale è attuato subito dopo la promulgazione della legge n. 180 del 1978; sono favorite l’apertura di strutture semi-protette esterne (Casa-alloggio Villa Serena, 1979) o interne: Casa Nuova (1979), in cui non è prevista la permanenza notturna degli operatori, e Comunità Nuova Legge (1981), per pazienti “violenti”.
Successivi reimpieghi avvengono a seguito di specifici finanziamenti che consentono la realizzazione della cooperativa I sommozzatori della Terra (1983), per l’impiego degli ex pazienti con funzione di giardinieri del parco e di operatori agricoli orto-frutticoli; della Casa Alloggio Casa Nostra (1981), strutturatasi in micro appartamenti; della Casa Alloggio 12 marzo (1981-83), dotata di camere singole o doppie con bagno e cucina; della Comunità Altalena (1995), strutturata come un casa-appartamento, e della Comunità Pistacchio (1994). Nel corso degli anni a queste si aggiungono altre associazioni come la Comunità Sirio, la Comunità Vespaio, la Comunità Risveglio e la Comunità Zoè, ognuna delle quali porta adattamenti alle strutture architettoniche esistenti.
Ulteriori modifiche avvengono a seguito della Legge regionale n. 67 del 31 dicembre 1984 (Provvedimenti per la tutela socio-sanitaria dei malati di mente e per la riorganizzazione dei servizi psichiatrici), che prevede l’attuazione immediata di interventi di “riconversione e ristrutturazione” degli edifici manicomiali provinciali per porre fine allo stato di precarietà, tramite progetti di “riorganizzazione strutturale e funzionale”, intesi a ottenere il massimo recupero possibile delle persone che ancora vi risiedono tramite un processo di “umanizzazione della vita comunitaria e l’adozione di tecniche psichiatriche moderne”.
Nella prima metà degli anni novanta al Paolo Pini trovano spazio nuove realtà riabilitative: le Botteghe d’arte e il MAPP (Museo d’Arte Paolo Pini). Il progetto risalente al 1993 e denominato “Risveglio”, nasce dal desiderio di realizzare una Scuola d’arte e mestieri, in cui inserire congiuntamente ex pazienti e persone esterne al Paolo Pini, caratterizzata da vari laboratori creativi, che spaziano dalla scrittura alla pittura, alla grafica e al teatro.
Oggi il MAPP, inaugurato il 23 maggio 1995, e l’Associazione culturale per il Recupero della Creatività Artistica (ARCA) sono realtà consolidate e costituiscono un modello di riferimento per molte altre realtà sanitarie e artistiche, che hanno saputo coinvolgere artisti di fama internazionale. Gli spazi all’aperto e le facciate, esterne e interne, degli ex padiglioni manicomiali sono state trasformate in supporti per opere d’arte, talvolta dipinte direttamente sulle murature [MI_PP_4_3_2; MI_PP_4_3_3; MI_PP_4_3_4; MI_PP_4_3_5; MI_PP_4_3_6; MI_PP_4_3_7; MI_PP_4_3_8] [MI_PP_4_3_9; MI_PP_4_3_10; MI_PP_4_3_11; MI_PP_4_3_12; MI_PP_4_3_13; MI_PP_4_3_14; MI_PP_4_3_15]. Molte opere d’arte, realizzate in collaborazione con alcune gallerie milanesi, consentono di far spazio, nel parco e nei padiglioni ex-manicomiali, a una collezione permanente di opere d’arte di oltre 150 artisti, tra i quali i più noti sono Enrico Baj, Emilio Tadini, Günter Brüs, Martin Disler.
Oggi il problema principale è costituito dalla necessità di interventi manutentivi agli edifici: gli atti vandalici, l’aggressione degli agenti atmosferici e altre patologie di degrado affliggono le pitture realizzate nei primi anni di vita del MAPP, soprattutto all’esterno, a volte con materiali sperimentali che nel tempo hanno provocato l’innesco di problematiche conservative delle strutture architettoniche, oltre che delle opere stesse.
impianto
a padiglioni indipendenti, con ampie zone destinate a verde
corpi edilizi
Edifici a uno o due piani (in alcuni, sottotetto e interrato), con piante diverse: pressoché rettangolare (talvolta con corpi aggettanti), quadrangolare, cruciforme, mistilinea, a “U”, a “L”, a “I”, a “T”
strutture
strutture in elevazione: murature portanti tradizionali, struttura in cemento armato con murature di tamponamento
orizzontamenti: capriate lignee, voltine in muratura, solette in cemento amato e laterizi
coperture: tetto a falde inclinate, copertura a volta con struttura in cemento armato e rivestimento in eternit
buono padiglioni 1 (ex Direzione), 13, 24
medio padiglioni 2, 4, 6, 7, 10, 11, 12, 16, 18
cattivo padiglioni 19, 20, 21
pessimo padiglione 17
G. B. Verga, Il Manicomio provinciale di Milano dal 1879 al 1906, Stab. L. Ronchi, Milano 1906
G. Amendola, La tutela giuridica degli alienati ricoverati nei manicomi, Società Editrice Libraria, Milano 1913
S. Fabbri, Piano di riforma dell’assistenza psichiatrica in Provincia di Milano, Provincia di Milano, Milano 1929
G. Corberi, La nuova sezione di neuropsichiatria infantile all’ospedale psichiatrico di Milano, Poligrafica Reggiana, Reggio Emilia 1935
L’assistenza agli alienati di mente nella Provincia di Milano, Amministrazione provinciale di Milano, Milano s.d. [1949-1950]
V. Beduschi, La necessità dell’ampliamento dell’Istituto “Paolo Pini”» in Affori, in Aa.Vv., La riorganizzazione degli Istituti Psichiatrici provinciali, Amministrazione Provinciale di Milano, Milano 1951, pp. 55-60
E. Cazzani, Luci ed ombre nell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Milano, La Tecnografica, Varese 1952
R. Bozzi, L’ospedale psichiatrico provinciale di Milano: aspetti organizzativi e funzionali lontani o recenti, dalle origini al 1959, Tip. Zanolla-Re, Milano 1960
G. e N. Garavaglia, Un secolo di assistenza psichiatrica nella provincia di Milano, Amministrazione provinciale di Milano, Milano [1968]
B. Parma, L’amministrazione provinciale di Milano e l’assistenza psichiatrica: il manicomio di Mombello, dalle origini al 1911, Università degli Studi, Milano 1990
MAPP presenta Orizzonte alto, Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, Milano 2007
Museo d’Arte Paolo Pini. Collezione permanente, Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, Milano s.d.
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Archivio Storico Civico di Milano, Ornato Fabbriche, II serie
Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, Archivio Ufficio Tecnico
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