La prima ipotesi di trasformare il S. Lazzaro in manicomio risale al 1820, quando il Duca di Modena affida la ristrutturazione del complesso a Giovanni Paglia. Sono razionalizzati gli spazi interni, è ampliata la superficie delle stanze di degenza e dei cortili, e recuperate la casa del mezzadro e le pertinenze della tenuta agricola. Il fronte sulla via Emilia è modificato, mentre le camere degli ammalati, originariamente distribuite lungo il perimetro del cortile rettangolare, sono disposte su due lati [4.2.7].
La fase di direzione del manicomio da parte di Antonio Galloni (1821-1855) è documentata da una copiosa raccolta di materiali. In particolare, nel decennio 1822-1832 è Domenico Marchelli a occuparsi di migliorare spazi e strutture del S. Lazzaro, dove sono eseguite diverse opere: i bagni, l’alloggio del Direttore, i muri di recinzione, la scala e l’abitazione del cappellano, i bagni per l’idroterapia, gli uffici, la separazione degli spazi destinati agli uomini e alle donne, la demolizione e ricostruzione dei vecchi fabbricati della tenuta agricola (1826). Conclude la prima serie di lavori la creazione di una sala per il divertimento dei malati nell’abside della chiesa (1832).
Una ricostruzione dell’assetto del manicomio alla vigilia dei lavori varati nel 1842 è possibile grazie a una descrizione in lingua francese che ne fa Galloni. Parte del complesso è sopraelevato di un piano, mentre due anni dopo, su disegno di Pietro Marchelli, figlio di Domenico, il prospetto sulla via Emilia è trasformato. Si susseguono lavori di adattamento (1847-49), in seguito al notevole aumento di degenti, conseguente all’accresciuto numero di territori acquisiti dal Ducato. Si mette allora a punto un piano di ampliamento che prevede l’aggiunta di un terzo piano a una parte del complesso e la costruzione di una nuova ala sul versante nord del lotto. Inoltre, si pensa di sfruttare, a fini terapeutici, i manufatti, gli spazi e le attività della tenuta agricola.
Nel 1853 è deliberata l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica su tre piani e poco dopo Pietro Marchelli riceve la nomina di “Architetto d’Ufficio”. Il nuovo direttore, Luigi Biagi (1855-1870) continua l’opera di potenziamento del complesso iniziata da Galloni, sviluppando un ambizioso piano di rinnovamento, mai realizzato (Biagi 1870).
Nel 1860 è acquisito il casino Trivelli, posto al limite ovest dell’area, ristrutturato nel biennio 1863-64 per ospitare il nuovo medico aggiunto e l’economo, ma l’opera più impegnativa è la realizzazione di muri continui per garantire l’isolamento del fabbricato. Nel 1868, in previsione di un numero crescente di degenti, si adatta a infermeria la parte dell’edificio destinata a residenza dell’economo. L’anno successivo è abbozzato un piano generale di interventi e, verso la fine della direzione Biagi, Marchelli fa alcune proposte concrete, tra cui quella di collegare il corpo centrale del manicomio con villa Trivelli attraverso un percorso punteggiato di «chalets o piccole case di stile svizzero per servire di alloggio a qualche ricco»; diversi sono i progetti che sviluppa perseguendo due diverse ipotesi: il ripensamento del comparto gravitante attorno a villa Trivelli, con il potenziamento della zona occidentale, e la trasformazione del corpo centrale. L’esame dei progetti consente di ricostruire le linee guida dell’azione riformatrice intrapresa dall’architetto e dall’alienista.
Nel progetto del 25 aprile 1869 la villa Trivelli e gli annessi agricoli entrano a far parte di un sistema connesso con gli edifici dello stabilimento principale, disposti simmetricamente verso nord e collegati con percorsi coperti; la villa e annessi godono di una parziale autonomia, grazie alla presenza di un fabbricato destinato ad accogliere la direzione, il guardaroba, il refettorio e una serie di locali di servizio [4.2.8]. Nella planimetria del 3 giugno l’architetto persegue una linea più radicale, ampliando il plesso centrale per gemmazione di cortili e corpi di fabbrica a galleria, fino a quasi triplicare la sua superficie (Ibid., b. 1433) [4.2.9]. In un’altra proposta, datata 24 giugno 1869 [4.2.10], a differenza dei precedenti, la zona a ovest non è particolarmente sviluppata, mentre il plesso centrale assume grandi dimensioni, con il raddoppio quasi speculare verso nord, mentre la zona ovest è punteggiata di edifici minori, tra cui un “casino di piacere”, circondati da giardini e alberature. Un’ultima pianta, del 16 luglio, rinuncia a un approccio totalizzante, restringendo il focus sul corpo centrale di cui ipotizza un ampliamento verso est, giustapponendo alle preesistenze una serie di corpi di fabbrica disimpegnati da cortili, destinati a varie categorie di malate [4.2.11]. Nessuno di questi progetti sarà realizzato. Prendono corpo, però, due tendenze: la prima, creare spazi di qualità ambientale per alloggiare pazienti ricchi, la seconda, conferire al complesso un carattere urbano.
Alla direzione di Biagi subentra quella di Ignazio Zani (1870-1873). Nel 1871 il casino Trivelli è rinominato Esquirol, divenendo una sezione esclusivamente maschile. Negli stessi anni l’amministrazione del S. Lazzaro acquisisce anche villa Cugini; destinata per il decennio 1868-78 ad abitazione dell’economo, in seguito sarà adattata a padiglione di degenza (villa Chiarugi), minuziosamente descritto da Tamburini. Si interviene anche sullo stabilimento centrale: alla sistemazione del cortile (1868) segue nel 1871 la riorganizzazione distributiva e funzionale del complesso per collocarvi i servizi generali, la sezione femminile e una sezione per gli uomini impiegati nei servizi generali, descritta dalla Commissione del III Congresso di Freniatria.
Ignazio Zani, pensa di estendere l’area del manicomio inglobando il gruppo di case al di là della via Emilia. Destinata a infermieri e impiegati, la nuova area di ampliamento avrebbe rafforzato la dimensione urbana del complesso manicomiale, trasformandolo un vasto impianto disseminato, che avrebbe costituito un vero e proprio modello innovativo; il breve mandato di Zani non consente di realizzare questi ambiziosi progetti. A lui succede, nel 1873, Carlo Livi (1873-1877) che dimensiona l’area di espansione in misura tale da includere il padiglione Esquirol e la colonia agricola, cui si dovevano aggiungere altri villini destinati a pazienti ricchi. Dei nuovi manufatti previsti saranno eseguiti soltanto il “villino pompeiano” (poi Livi) e il piccolo edificio detto “delle Stuoie”, completato nel 1880 [4.3.6]. Il progetto di massima “di una villa in stile pompeiano, disegnato a vista d’uccello e colorato” è affidato nel 1874 a Pio Casoli e la costruzione è terminata nel 1878, compresa la sistemazione del giardino.
Theme by Raniero Carloni Luca Montecchiari and Andrea Orlando inspired by Danetsoft