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II fase

Anno inizio: 
1902 to 1931

Le acquisizioni condotte dalla Congregazione di Carità, ente gestore del Manicomio, nell’esercizio finanziario dell’ultimo quarto del XIX secolo prevedono ricadute significative sul tessuto edilizio sostenendo, d’intesa con la Deputazione provinciale, un percorso di riconfigurazione del centro urbano connotato anche da una singolare sistemazione orografica. La progettata destinazione militare [TE_4_2_3] dell’intero comparto cittadino, con l’auspicato progetto di un manicomio esterno al perimetro murato, aiuta la possibilità di acquisire all’uso civico anche il quadrante a nord-est della chiesa di Sant’Antonio Abate connotato da una più acclive condizione di sedime. La scelta operata, sebbene funzionale a necessità militari, con la disposizione di un progetto ex-novo per la struttura psichiatrica, permette, quindi, di utilizzare, in maniera coerente, l’importante settore urbano a nord-ovest delle aree di proprietà della Congregazione di Carità perché, colmando la differenza di quota altimetrica rispetto a quelle delle strade, crea per il presidio ospedaliero l’opportunità di annettere un’ampia area libera priva di accessi diretti dalle arterie viarie e dunque ritenuta di maggiore garanzia per i malati mentali. I due interventi progettuali di novella integrazione sostanzialmente rilevanti, praticati il primo, con il finire del XIX secolo e, il secondo, con il cadere della terza decade del successivo, lasciano intravedere il sottolineato cambiamento di prospettive terapeutiche sottoscritte nello sperimentale laboratorio abruzzese, così come può essere riconosciuto il nosocomio di Teramo. Se dunque la condizione dei luoghi viene efficacemente utilizzata dagli alienisti che si sono avvicendati nella responsabilità del centro aprutino quale strumentale condizione per favorire la ripresa e riabilitazione del disagiato mentale, differente atteggiamento sovrintende negli amministratori della Congregazione di Carità volti a recuperare gli immobili in una prospettiva funzionale alla trasformazione urbanistica di Teramo. La gestione eterogenea, fino al 1931, dell’Ospedale civile e del Manicomio che, negli anni, si accresce, rappresenta, per altri versi, una delle maggiori peculiarità dell’esperienza sanitaria autoctona, sia nella lettura degli immobili edilizi predisposti all’ospitalità dei matti, sia per il valore ‘terapeutico’ che tale promiscuità invera anche nel più lato orizzonte delle relazioni con il contesto urbano. È questo singolare assetto della vicenda storico-urbanistica del nosocomio abruzzese a costituire una chiave di interpretazione del carattere terapeutico che, in questo contesto, riveste anche l’aspetto di adattamento di strutture preesistenti a una funzione sanitaria in cui peculiare aspetto riveste il trattamento dell’infermo mentale quale infermo tout-court e dunque della sua ulteriore ripresa in relazione al suo riscatto sul piano psicologico della ‘normalità’. Sul piano più squisitamente di tecnica di progettazione, la stecca edilizia costruita sul fronte dell’attuale Circonvallazione Ragusa può essere individuata come prodotto concettuale di riferimento dell’attività dell’ingegner Pignocchi, responsabile della redazione del progetto dell’irrealizzato nuovo manicomio [TE_4_2_4] il cui impianto planimetrico accompagna la relazione del Presidente provinciale Pasquale Ventilj del 1901. Stando alle diverse tipologie distributive, il padiglione sulla strada delle Portelle evoca lo schema utilizzato per allogare i tranquilli con una soluzione che occupa due coppie di due dormitori secondo lo sviluppo longitudinale dell’impianto servite da un corridoio sul fronte di nord-est con interruzione centrale per ospitare un raccordo verticale tra i piani tramite scala a doppia rampa. Un corridoio tutto allineato sul lato orientale del fabbricato dunque serve le quattro camerate rettangolari aggregate in coppie e separate dal solo corpo scala centrale [TE_4_2_6]; una serie di affacci a balcone alla romana sul fronte ad occidente con infissi dotati di mezza porta per facilitare l’areazione dei locali schermati, all’altezza dei giacigli per il maggior benessere dei degenti [TE_4_3_16; TE_4_3_17], articola, con essenziali provvidenze, quella che può essere indicata come componente di comfort dello spazio degenza. I solai in putrelle e laterizi offrono una razionale chiusura degli orizzontamenti con profilo a botte secondo la disposizione degli elementi in terracotta tra le coppie di corpi metallici [TE_4_3_15]. La disciplina di adattamento alle specifiche necessità delle strutture sanitarie riguarda anche l’aula religiosa che, divenuta cappella dell’Ospedale civile, vede nella coabitazione con il nosocomio anche l’aggiuntiva trasformazione di un cammino di ronda alla quota del primo piano e la localizzazione di disabili mentali nello spazio della cantoria [TE_4_3_14]. Non manca una ricerca di decoro architettonico, come nello scalone di rappresentanza degli uffici amministrativi, collocato nei fabbricati di sud-est del comparto a est di via Saliceti [TE_4_3_21]. Ispirato a un protocollo maggiormente attinente alle esigenze più puntuali dell’ospedalizzazione degli infelici mentali è il padiglione progettato nell’area centrale tra le superfici a maggior quota acquisite con le operazioni immobiliari condotte dalla Congregazione di Carità. Il corpo costruito a est di vicolo Zoppo, che rappresenta un parallelepipedo concepito come servizio alla struttura aprutina, aderisce a un modello distributivo meno preoccupato di svolgere azione di controllo sui degenti e assolve, in maniera autonoma, la funzione di accoglienza degli infermi, economizzando sulla stessa composizione degli spazi, rinunciando al corridoio laterale e promuovendo la concatenazione degli ambienti attraverso la creazione di una serie di varchi centrali che traguardano da parete a parete i lati brevi del lungo corpo a impianto rettangolare. Questo, in realtà già presente per una porzione a unico piano nella mappa catastale storica [TE_ 4_1_4], trova una estensione verso il perimetro esterno delle mura urbane e vede incrementare la sua capacità volumetrica con l’addizione di altri piani, conclusasi con i lavori del terzo decennio del Novecento [TE_4_2_5; TE_4_2_6; TE_4_2_7]. Una sequenza di sei ambienti di uguali dimensioni e forma, servita da un cannocchiale centrale di varchi che interrompe setti murari portanti, costituisce lo schematico frazionamento dell’impianto rettangolare di base che alla testata di nord-est ospita una scala per i collegamenti verticali tra i diversi livelli. Ulteriore ordinata sequenza di finestre si distribuisce tra gli affacci del volume scatolare che, in larga parte, per la sua giacitura orientata con asse nord-sud, sembra seguire le indicazioni manualistiche circa la migliore esposizione al percorso dei raggi solari [TE_4_3_20]; le porzioni minori delle pareti perimetrali dei singoli cameroni inquadrano, in posizione centrale, un vano luce offrendo, in questo modo, data la lunghezza pronunciata dell’ambiente, una riserva di chiarore anche nelle ore del declino del giorno. L’orditura delle travature metalliche combinate con gli elementi di terracotta disposti tra le ali di alleggerimento delle stesse, scandiscono il sistema costruttivo tra le murature di spina degli spazi, coordinandosi ortogonalmente a queste ultime, e legando le strutture con i martelli murari di chiusura del complessivo volume edilizio [TE_4_3_18].

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