Ospedale Civile per i pazzerelli (ante 1869)
Colonia agricola, oltre i bastioni delle mura (1937)
recupero con ampliamenti
Nel 1867 il Consiglio provinciale si preoccupa di migliorare l’infelice condizione del manicomio piacentino con la richiesta al Governo di un edificio demaniale da destinare ai malati mentali. Passati in rassegna diversi edifici, la scelta cade sul convento di S. Maria di Campagna (Minori Riformati), posto nei pressi dell’omonimo baluardo a ovest della città, rimasto inutilizzato a seguito della soppressione napoleonica e al momento in gestione al Ministero della Guerra, ma non utilizzato. La cessione dei locali alla Deputazione Provinciale avviene alla fine del 1868 e contemporaneamente si programmano le opere per il recupero, la ristrutturazione e l’adattamento dell’ex convento per trasformarlo in nuova sede del manicomio provinciale.
I fase: 1869-1895 [PC_4_1_6]
architetti/ingegneri: Luigi Castellani, F. Rebecchi, Gaetano Belluzzi, Enrico Ranza, Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Guglielmo Zangrandi
Nel marzo 1869 i “maniaci” sono trasferiti dal plesso dell’Ospedale civile all’ex convento di S. Maria di Campagna [PC_4_1_3; PC_4_1_4; PC_4_3_1; PC_4_3_2; PC_4_3_3; PC_4_3_4]. Per tutto l’anno si programmano lavori di ristrutturazione dell’ex convento e di ampliamento con la costruzione di un primo e un secondo padiglione. Il 7 agosto 1869 Luigi Castellani redige una perizia sui lavori da realizzarsi all’interno dell’ex convento: demolizioni, tamponamenti, chiusura di finestre per impedire il contatto tra uomini e donne, lavori di sistemazione dell’area da dedicarsi a orto; il 14 settembre è stipulato il contratto d’appalto per adattare l’intero complesso alla nuova destinazione d’uso. Un’altra perizia (20 settembre) riguarda la costruzione di nuove volte, interventi sulle murature, la pittura di pareti e la demolizione di soffitte.
Nel marzo 1870 sono stilate due stime per lavori aggiuntivi (opere di sistemazione di alcuni locali di proprietà della Provincia) e lo stesso anno si avviano le pratiche per ottenere una piccola porzione di terreno ortivo, da destinarsi a uso del manicomio. Proseguono i lavori di adattamento al vecchio edificio: opere per lo scolo delle acque, riparazione di pavimenti, tetti e finestre, consolidamento di volte nelle cantine, scavo di cisterne per il deposito di acque nere, creazione di una rete di tubazioni per gli scarichi nella zona del personale e dei medici, riparazioni alla ghiacciaia, imbiancatura di pareti, costruzione di una scala. Nonostante i lavori eseguiti, da un resoconto della Deputazione Provinciale del 1871 appare evidente quanto sia ancora distante una condizione ottimale dei locali destinati al nuovo uso; servono, infatti, opere per isolare il manicomio dal contatto con l’esterno e per fornirlo di una sufficiente area di terra coltivabile, al fine di impiegare i pazienti in lavori orticoli. Le sistemazioni proseguono così anche all’esterno dei fabbricati dopo la cessione alla Provincia, da parte dello Stato, dell’orto attiguo al manicomio, dove si richiede di potervi impiantare un frutteto [PC_4_2_1].
Dal 1884, e per circa dieci anni, si susseguono ininterrottamente lavori di natura idraulica, relativi alle eccessive esalazioni e alla necessità di irrigare gli orti del complesso; inoltre, per proteggere maggiormente il contesto originario di S. Maria di Campagna, sono ceduti i terreni confinanti con il coro della chiesa alla stessa Congregazione, anche per evitare danni alla sua parte inferiore.
Nel 1891 la situazione di sovrappopolamento raggiunge limiti insostenibili, tanto da richiedere una soluzione urgente. Dal verbale di un’adunanza del Consiglio Provinciale (1891) si deduce che esiste un progetto di ampliamento del manicomio redatto dall’Ufficio tecnico, del quale però non si è trovata traccia; negli anni immediatamente successivi, tuttavia, non si intraprendono azioni costruttive concrete.
II fase: 1896-1932 [PC_4_1_6]
architetti/ingegneri: Ferruccio Gonella, Enrico Ranza, Guido Gulieri, Pio Cantù, Piero Maccini, Giovanni Bertocchi, Alessandro Ferrari
alienisti/psichiatri: Guglielmo Zangrandi, Eugenio Perinetti
In uno scritto del 1896 l’Ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, Ferruccio Gonella, relaziona su un nuovo progetto di ampliamento dando al contempo una descrizione di quello precedente: se nel primo si pensava di separare uomini e donne, assegnando ai primi i tre padiglioni da costruirsi ex novo e alle seconde il fabbricato dell’ex convento, nella nuova proposta si conferma la costruzione di nuovi padiglioni (quattro e non più tre), ma nell’insieme si modifica l’organizzazione funzionale interna, dividendo sia l’edificio esistente sia i nuovi padiglioni lungo l’asse nord-sud, in modo da riservare la zona orientale alle donne e quella occidentale agli uomini. Nella dettagliata descrizione distributiva si parla di un reparto tranquilli (vecchio fabbricato), un reparto semiagitati (due nuovi fabbricati), un reparto agitati (due nuovi fabbricati), un servizio per la cura idroterapica, un reparto per malattie contagiose in un nuovo edificio a ovest dei semiagitati che si estende sino alla cinta muraria; manca, tuttavia, la documentazione grafica.
Alla presentazione del progetto finale nelle sedi competenti si sostiene che esso risponde ai migliori requisiti: giusta capienza e razionale divisione dei ricoverati dei due sessi. A questi sono assegnati speciali reparti per le tre categorie d’alienati – tranquilli, semiagitati, agitati – con separate aree di passeggio. È inoltre prevista la costruzione di uno stabile isolato, per i malati contagiosi; il servizio bagni è posto nel centro del sistema edilizio per consentire una razionale distribuzione dei tubi per il riscaldamento (con condotta di vapore) nei diversi padiglioni e nel reparto di malattie contagiose. Nel fabbricato originario sono previste poche modifiche, legate a un più efficiente disimpegno dei locali. Si realizzano gli impianti idraulici, di riscaldamento e ventilazione, il sistema fognario e i serramenti, oltre ai lavori di pavimentazione e intonacatura.
La costruzione del primo padiglione del nuovo complesso è assegnata all’ingegnere Enrico Ranza, che termina i lavori il 12 marzo 1898, ma sono ancora da definire i collegamenti fra il nuovo e il vecchio fabbricato e le recinzioni. Nel frattempo si sta lavorando alla costruzione del muro di cinta e si procede con l’acquisto di alcune proprietà necessarie allo sviluppo del complesso manicomiale.
Tra la costruzione del primo padiglione e l’inizio dei lavori al secondo, s’inseriscono la demolizione degli stabili acquisiti per l’ampliamento del manicomio e la conseguente costruzione di un muro di cinta su via delle Valli; i lavori terminano nel gennaio 1899. Nel febbraio dello stesso anno si redige un elenco di quanto realizzato (comunicazioni tra nuovo e vecchio fabbricato, imposte di chiusura e tinteggiatura) e si indica quello che ancora va compiuto. Costruito il primo padiglione, nel marzo 1899 si assegna l’appalto per la costruzione del secondo (semiagitati) e dell’edificio dei bagni; i lavori iniziano il 15 maggio 1899 e terminano nel gennaio 1902, comprese le opere di fornitura e montaggio di serramenti, parapetti, davanzali e barriere di ferro o legno.
Nell’agosto del 1903 si parla della costruzione dei due padiglioni da destinare agli agitati, ma solo nel 1905 ne sono redatti i progetti; nel luglio dello stesso anno si fa la gara d’appalto, ma le opere sono ultimate solo nel 1912 e i locali abitati solo nel gennaio del 1914 [PC_4_2_2]. Intanto, dal 1907, si susseguono lavori per l’allargamento del vialetto d’accesso tra la cinta della sezione donne e la proprietà provinciale, onde consentire il passaggio dei mezzi diretti alla lavanderia, lavori per il rifacimento dei pavimenti di latrine e antilatrine e per la costruzione di un tratto di canale lungo il muro di confine.
Negli stessi anni si redige un nuovo progetto per l’ampliamento degli edifici esistenti, il cui schema sommario prevede l’estensione dei due padiglioni destinati ai tranquilli e ai semiagitati. Dal capitolato d’appalto si evince che i lavori riguardano demolizioni parziali per permetterne l’ampliamento e la messa in comunicazione con i nuovi locali da costruirsi, l’elevazione di un nuovo edificio e la messa in opera dei serramenti; l’operazione è completata all’inizio del 1915. In occasione di questi lavori si interviene anche sull’impianto elettrico, trasformato da corrente continua in alternata per ottimizzare anche i lavori nella lavanderia, dotata di un idroestrattore. Nel maggio dello stesso anno mancano al completamento dei lavori il livellamento dei piani dei cortili, gli interventi sui muri di cinta a levante e sugli accessi, l’apertura di finestre e la costruzione di una gradinata sul terrazzo del locale bagni.
La necessità di avere a disposizione sempre più spazio nelle immediate vicinanze spinge ad acquistare aggiuntive proprietà confinanti con l’area del manicomio. Nel 1916, però, quattro padiglioni sono requisiti dal Ministero della Guerra, che li giudica in ottimo stato di conservazione; alla fine della guerra, ritornati in uso al manicomio, questi abbisognano di una generale risistemazione. Sospesi durante la guerra, riprendono i lavori di ampliamento dei reparti dei tranquilli e dei semiagitati [PC_4_2_3]. Tra il 1916 e i primi anni trenta si segnala penuria d’acqua, cui seguono diversi tentativi di risolvere il problema, anche con la costruzione di un pozzo artesiano e di una pompa nell’orto, lavori ultimati nel 1933; inoltre, sono eseguite opere edilizie di completamento e finitura, di lieve entità.
III fase: 1932-1966 [PC_4_1_6]
architetti/ingegneri: Camillo Chiappa, Piero Baschenis, Paolo Capra, Piero Maccini, Giovanni Bertocchi, Alfredo Chiappini, Crippa
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Dopo l’acquisto di diversi terreni e case, e demolite queste ultime, nel novembre 1932 si approva un nuovo piano di ampliamento dopo il primo, redatto nel 1890. Il progetto, redatto da Piero Baschenis, prevede una complessiva omogeneità di sfruttamento dell’area per garantire agli edifici l’esposizione migliore, la costruzione di alcuni padiglioni indipendenti e di altri raggruppati e collegati, con attenzione alle rispettive necessità funzionali; in posizione isolata e di facile accesso sono raggruppati i servizi (cucina, lavanderia, economato), mentre i locali dell’ex convento sono utilizzati per i parlatori, le sale di ricreazione, la cappella, il guardaroba e gli ambienti di lavoro [PC_4_2_4; PC_4_2_5]. Questi lavori prevedono un’esecuzione frazionata per fasi.
Il piano generale si concreta nella realizzazione di due padiglioni da venticinque letti ciascuno, uno a ovest (uomini) e uno a est (donne), di due padiglioni per infermeria da trenta letti ciascuno, di un nuovo padiglione per la direzione di fronte al nuovo ingresso sul lato ovest della chiesa, dei padiglioni per infermeria, cucina ed economato sul lato est di via del Cristo. Per praticare l’ergoterapia, il tutto sarà completato con l’istituzione di una colonia agricola (servizi, dormitorio e soggiorno per i tranquilli lavoratori), i cui terreni sono scelti nelle immediate vicinanze del complesso [PC_4_2_6].
La prima fase del programma comprende l’acquisto delle aree necessarie (in gran parte terreni su via Cantone del Cristo) e la successiva realizzazione, in successione temporale, del padiglione osservazione donne (1932-34), posto a lato dell’antico convento verso est, della nuova lavanderia meccanica (inaugurata nel 1934) [PC_4_2_7], cui segue la costruzione del padiglione per gli uomini (a tre piani con quattro vasti dormitori, per una capienza totale di ottanta letti), per i quali è attivata anche la colonia agricola, segnando così il cambio di registro nella cura dei pazienti. Il 26 marzo 1935 è presentato il progetto definitivo per la colonia agricola, in cui è prevista la realizzazione di due nuove strade; tre mesi dopo si affida l’appalto per la costruzione del suo fabbricato principale [PC_4_2_8], terminata nel 1937 e, infine, si realizza l’ingresso.
Durante il 1936 si eseguono lavori di sistemazione all’impianto elettrico, interventi per il riscaldamento dell’intero complesso, la costruzione di una fognatura lungo il bastione delle Valli, il risanamento di locali cantinati nella colonia agricola, l’impianto di una nuova caldaia nel 4° reparto uomini e riparazioni ai terrazzi. Una documentazione dello stesso anno illustra la notevole estensione della colonia agricola a seguito del nuovo appoderamento, ma l’anno successivo, a fronte di un fenomeno di impaludamento dei terreni, sono richieste urgenti opere di bonifica, mentre nei locali del manicomio si rinforza la cinta nel cortile del 4° reparto uomini e si costruisce una fogna per le latrine nel 4° reparto donne. Nel 1938 si attua una serie di interventi di manutenzione dell’impianto di riscaldamento, con la sostituzione delle stufe; nella colonia agricola si costruiscono i locali da adibire a pollaio, coniglieria e stalla e tra il 1939 e il 1945 si eseguono i lavori per realizzare una cappella [PC_4_2_9].
Nel 1941 l’Ospedale psichiatrico è toccato dagli eventi bellici; sono documentati lavori per rinforzi alle volte delle cantine, utilizzabili come rifugi antiaerei. Gli anni successivi sono prevalentemente interessati da opere di livellamento e di appoderamento dei terreni coltivi nella colonia agricola [PC_4_2_10], lavori al sistema elettrico di sollevamento dell’acqua e agli impianti termici a metano, nonché la ripresa di alcuni lavori interrotti al sopraggiungere della guerra.
Per ovviare ai notevoli problemi di spazio, nel 1953 il Consiglio provinciale avanza la proposta di trasferire in altro luogo l’ospedale neuropsichiatrico. Ogni edificio è previsto si articoli su uno o due piani, disposti in modo da consentire futuri ampliamenti e il diretto accesso alle aree verdi. Il 23 dicembre 1953 è affidato l’incarico della progettazione del nuovo ospedale all’ingegnere Piero Maccini. Passati in rassegna diversi terreni, si sceglie il podere La Corva, ritenuto il luogo ideale per la nuova sede. Il progetto, redatto sulla base della Legge Tupini, comprende il padiglione della colonia agricola – a un piano, per ventiquattro letti distribuiti in tre camerate – e l’alloggio per il personale di servizio, alcuni fabbricati rustici, oltre l’impianto per la fornitura di energia elettrica, l’impianto di sollevamento d’acqua per assicurare i servizi idrici alla colonia agricola e al cantiere, la recinzione dell’area, i viali e le strade interni. I principi base del nuovo complesso fanno perno sulle più moderne esigenze funzionali e sulla concezione dell’ospedale aperto: un complesso a villaggio con un aggregato di padiglioni autonomi, ognuno dei quali circondato da ampi cortili recintati e comodi viali di comunicazione, oltre a una vasta zona da dedicare alla colonia agricola [PC_4_2_11].
Il Ministero dei Lavori Pubblici approva un primo lotto di lavori e inizia a prenderne in considerazione un secondo su un’area di 275.000 mq da suddividersi tra ospedale e colonia agricola, per una capienza totale di 1.000 posti letto. Ottenuti i finanziamenti, l’Istituto Superiore di Sanità richiede la stesura di un nuovo progetto che preveda non più un complesso di reparti separati, bensì un impianto monoblocco, almeno per la parte principale dell’ospedale; l’incarico di redigere il progetto generale è affidato all’ingegnere Crippa, che si avvarrà dell’aiuto di altri professionisti per la parte architettonica. Il nuovo progetto per l’ospedale psichiatrico, con una capienza di 800 posti letto, è articolato nel seguente modo: quattro reparti chiusi, quattro reparti semiaperti, quattro reparti aperti, due reparti osservazioni, un reparto infermeria, un reparto chirurgico, un centro diagnostico, uffici vari, laboratori di analisi, un reparto mortuario, un reparto malattie infettive, un centro sociale. Nonostante l’ottenimento del parere favorevole, il progetto non sarà realizzato, tanto che il podere La Corva verrà ceduto per erigervi il nuovo Istituto Tecnico Agrario.
Così, il 19 settembre 1960 il Consiglio provinciale approva una nuova proposta per procedere con opere di miglioria all’ospedale psichiatrico esistente. Il nuovo piano di ampliamento e sistemazione è presentato il 15 novembre 1962 [PC_4_2_12]; i lavori prevedono di rifunzionalizzare tutto il complesso, i singoli reparti e i servizi, e di costruire un laboratorio per l’ergoterapia nei pressi della colonia agricola, ma le opere realizzate interesseranno soprattutto il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie dell’esistente. Altri lavori (demolizioni, rimozioni di pavimentazioni, rifacimento dell’intonaco, sistemazione della fognatura e dell’impianto di illuminazione) si concludono nel 1975.
IV fase: 1967-1978 [PC_4_1_6]
architetti/ingegneri: Vittorio Gandolfi, Pino Spinelli
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Prima della dismissione, l'ultimo intervento considerevole risale alla fine degli anni sessanta con la costruzione di un nuovo reparto di degenza per uomini e donne. Nel 1967 l'architetto Vittorio Gandolfi presenta il progetto del padiglione (in seguito denominato Villa Speranza), da realizzarsi a ovest del complesso ospedaliero; ha un impianto a tre corti, che riprende, moltiplicandolo, il modello a corte chiusa dell’adiacente ex convento. Dopo le modifiche apportate a seguito di varianti, i lavori terminano il 31 luglio 1968 [PC_4_2_13; PC_4_3_5]. Alla fine dello stesso anno l’Amministrazione provinciale approva sia un progetto di risistemazione di alcune parti del vecchio ospedale psichiatrico sia uno per la costruzione del padiglione d’ingresso, oltre alla riorganizzazione del reparto Osservazione donne e ai lavori ai tetti, tutte attività eseguite dal 1970. A quelle previste nel progetto si aggiungono altre opere: sistemazione degli scantinati, lavori nel locale del forno, realizzazione di un muro di separazione tra l’edificio d’ingresso e il muro di cinta dell’ospedale, costruzione di una pensilina all’ingresso, sistemazione del piazzale Crociate, opere per il sollevamento e distribuzione dell’acqua potabile e per l’impianto elettrico. I lavori proseguono nel 1972 e 1973 (impianto idro-sanitario, gruppo elettrogeno, tinteggiatura, macchinari da lavanderia). Nell’agosto 1973 appaiono terminate le opere murarie, nel novembre 1974 tutte le opere elettriche, nell’agosto 1975 le opere da falegname e nell’aprile 1977 quelle per gli impianti di riscaldamento.
Letto nella sua globalità, a fine anni settanta l’intero complesso è chiaramente la sommatoria di interventi dilazionati negli anni e frutto della mancanza di una linea progettuale coerentemente concepita, che ha determinato una profonda eterogeneità del costruito, dagli spazi rinascimentali dell'ex convento fino al razionalismo di seconda generazione di Villa Speranza, anche con l’introduzione di un’estrema varietà stilistica nei vari corpi di fabbrica.
V fase: 1978-2012 [PC_4_1_6]
A seguito della legge Basaglia (L. n. 180 del 13 maggio 1978), si procede alla totale riconversione dell’ospedale psichiatrico. All’inizio degli anni ottanta, gran parte dell’impianto è smantellato per dare spazio al nuovo Polichirurgico dell'Ospedale Civile, cosicché oggi risulta difficile risalire all'originaria conformazione dell’ex complesso manicomiale. Gli stabili sopravvissuti alle demolizioni sono solo tre: l’ex colonia agricola, l’ex convento di Santa Maria di Campagna e Villa Speranza, questi ultimi due ora destinati a servizi sanitari. Sulla base a una delibera della Giunta comunale, si decide di riconfigurare l’intera area in due reparti autogestiti per degenti “dimissibili”, cinque reparti consortili e un reparto infermeria, e di inserirvi alcuni servizi extra-ospedalieri (S.I.M.A.P.) tra cui il servizio psichiatrico territoriale, un reparto di breve degenza sistemato in Villa Speranza [PC_4_3_6] e, infine, il servizio di diagnosi e cura presso l’Ospedale Civile, costruito ex-novo sul sedime dei vecchi padiglioni dell’ospedale psichiatrico [PC_4_3_7].
impianto
blocchi articolati intorno a corti chiuse e aperte strutturati su più piani, padiglioni collegati e padiglioni indipendenti
corpi edilizi
blocco principale pluripiano a corti chiuse delimitate da portici (ex convento); padiglioni collegati, a pianta rettangolare allungata con ali, su due-tre piani (demoliti e sostituiti dal nuovo Polichirurgico); padiglioni isolati a pianta pressoché rettangolare (contagiosi, osservazione, infermeria, cucina, direzione, economato e lavanderia: demoliti); padiglione isolato con pianta a “L”, su tre piani (dispensario antitubercolare); padiglione a pianta mistilinea e a corti chiuse, su un piano (Villa Speranza)
strutture
strutture in elevazione: muratura di mattoni e mista, cemento armato
orizzontamenti: volte a crociera, volte a botte, volte a vela, solai in laterocemento
coperture: tetto a falde, copertura piana praticabile
ottimo: Villa Speranza, edificio principale dell’ex-colonia agricola
buono: ingresso
medio: corpo principale (ex-convento)
U. Buscarini, Origini e fondazione dell’Ospedale Civile di Piacenza (1471), Tip. A. Bosi, Piacenza 1915
L’Ospedale di Piacenza 1471-1934, Soc. Tip. Edit. Porta, Piacenza 1934
L'attività dell'Ospedale psichiatrico provinciale e le linee del suo futuro sviluppo, “Notiziario dell'Amministrazione Provinciale di Piacenza”, Archivio di Stato di Piacenza, Piacenza 1966
La riforma psichiatrica ed il manicomio a Piacenza dal 1976 al 1980, a cura di B. Bedani e G. Smerieri, Amministrazione provinciale, Piacenza [1981]
Archivio di Stato di Piacenza, Provincia di Piacenza, Carteggio amministrativo, tit. VII-Fabbricati; Progetti Tecnici-Fabbricati
Theme by Raniero Carloni Luca Montecchiari and Andrea Orlando inspired by Danetsoft