Non accertate
Non accertate
recupero con ampliamenti
All’origine del S. Lazzaro si colloca la costruzione, nel 1217, di un lazzaretto, nucleo generatore del futuro complesso psichiatrico. Sappiamo che nel 1442 si riedifica l’edificio che, oltre alla cura dei lebbrosi, continua a offrire accoglienza a poveri e infermi. Un progetto realizzato solo in parte nel 1759 è il primo tentativo di trasformare il S. Lazzaro da ospitium in vero e proprio manicomio. Una prima rappresentazione del complesso risale al 1813, anno in cui l’architetto Domenico Marchelli redige una serie di planimetrie di rilievo [RE_4_2_6]. Pur conservando la funzione di ospizio, gli interventi di miglioria a favore dei malati e delle strutture edilizie registrano un tangibile incremento solo sotto la direzione di Antonio Galloni (1821-1855).
I fase: 1821-1877 [RE_4_1_9]
architetti/ingegneri Giovanni Paglia, Domenico Marchelli, Pietro Marchelli, Pio Casoli
alienisti/psichiatri Antonio Galloni, Luigi Biagi, Ignazio Zani, Carlo Livi
La prima ipotesi di trasformare il S. Lazzaro in manicomio risale al 1820, quando il Duca di Modena affida la ristrutturazione del complesso a Giovanni Paglia. Sono razionalizzati gli spazi interni, è ampliata la superficie delle stanze di degenza e dei cortili, e recuperate la casa del mezzadro e le pertinenze della tenuta agricola. Il fronte sulla via Emilia è modificato, mentre le camere degli ammalati, originariamente distribuite lungo il perimetro del cortile rettangolare, sono disposte su due lati [RE_4_2_7].
La fase di direzione del manicomio da parte di Antonio Galloni (1821-1855) è documentata da una copiosa raccolta di materiali. In particolare, nel decennio 1822-1832 è Domenico Marchelli a occuparsi di migliorare spazi e strutture del S. Lazzaro, dove sono eseguite diverse opere: i bagni, l’alloggio del Direttore, i muri di recinzione, la scala e l’abitazione del cappellano, i bagni per l’idroterapia, gli uffici, la separazione degli spazi destinati agli uomini e alle donne, la demolizione e ricostruzione dei vecchi fabbricati della tenuta agricola (1826). Conclude la prima serie di lavori la creazione di una sala per il divertimento dei malati nell’abside della chiesa (1832).
Una ricostruzione dell’assetto del manicomio alla vigilia dei lavori varati nel 1842 è possibile grazie a una descrizione in lingua francese che ne fa Galloni. Parte del complesso è soprelevato di un piano, mentre due anni dopo, su disegno di Pietro Marchelli, figlio di Domenico, è trasformato il prospetto sulla via Emilia. Si susseguono lavori di adattamento (1847-49), in seguito al notevole aumento di degenti, conseguente all’accresciuto numero di territori acquisiti dal Ducato. Si mette allora a punto un piano di ampliamento che prevede l’aggiunta di un terzo piano a una parte del complesso e la costruzione di una nuova ala sul versante nord del lotto. Inoltre, si pensa di sfruttare, a fini terapeutici, i manufatti, gli spazi e le attività della tenuta agricola.
Nel 1853 è deliberata l’aggiunta di un nuovo corpo di fabbrica su tre piani e poco dopo Pietro Marchelli riceve la nomina di “Architetto d’Ufficio”. Il nuovo direttore, Luigi Biagi (1855-1870) continua l’opera di potenziamento del complesso iniziata da Galloni, sviluppando un ambizioso piano di rinnovamento, mai realizzato.
Nel 1860 è acquisito il casino Trivelli, posto al confine ovest dell’area, ristrutturato nel biennio 1863-64 per ospitare il nuovo medico aggiunto e l’economo, ma l’opera più impegnativa è la realizzazione di muri continui per garantire l’isolamento del fabbricato. Nel 1868, in previsione di un numero crescente di degenti, si adatta a infermeria la parte dell’edificio destinata a residenza dell’economo. L’anno successivo è abbozzato un piano generale di interventi e, verso la fine della direzione Biagi, Marchelli fa alcune proposte concrete, tra cui quella di collegare il corpo centrale del manicomio con villa Trivelli attraverso un percorso punteggiato di “chalets o piccole case di stile svizzero per servire di alloggio a qualche ricco”; diversi sono i progetti che sviluppa perseguendo due diverse ipotesi: il ripensamento del comparto gravitante attorno a villa Trivelli, con il potenziamento della zona occidentale, e la trasformazione del corpo centrale. L’esame dei progetti consente di ricostruire le linee guida dell’azione riformatrice intrapresa dall’architetto e dall’alienista.
Nel progetto del 25 aprile 1869, la villa Trivelli e gli annessi agricoli entrano a far parte di un sistema connesso con gli edifici dello stabilimento principale, disposti simmetricamente verso nord e collegati con percorsi coperti; la villa e annessi godono di una parziale autonomia, grazie alla presenza di un fabbricato destinato ad accogliere la direzione, il guardaroba, il refettorio e una serie di locali di servizio [RE_4_2_8]. Nella planimetria del 3 giugno l’architetto persegue una linea più radicale, ampliando il plesso centrale per gemmazione di cortili e corpi di fabbrica a galleria, fino a quasi triplicare la sua superficie [RE_4_2_9]. In un’altra proposta, datata 24 giugno 1869 [RE_4_2_10], a differenza delle precedenti, la zona a ovest non è particolarmente sviluppata, mentre il plesso centrale assume grandi dimensioni, con il raddoppio quasi speculare verso nord, mentre la zona ovest è punteggiata di edifici minori, tra cui un “casino di piacere”, circondati da giardini e alberature. Un’ultima pianta, del 16 luglio, rinuncia a un approccio totalizzante, restringendo il focus sul corpo centrale di cui ipotizza un ampliamento verso est, giustapponendo alle preesistenze una serie di corpi di fabbrica disimpegnati da cortili, destinati a varie categorie di malate [RE_4_2_11]. Nessuno di questi progetti sarà realizzato. Prendono corpo, però, due tendenze: la prima, creare spazi di qualità ambientale per alloggiare pazienti ricchi, la seconda, conferire al complesso manicomiale un carattere urbano.
Alla direzione di Biagi subentra quella di Ignazio Zani (1870-1873). Nel 1871 il casino Trivelli è rinominato Esquirol, divenendo una sezione esclusivamente maschile. Negli stessi anni l’amministrazione del S. Lazzaro acquisisce anche villa Cugini; destinata per il decennio 1868-78 ad abitazione dell’economo, in seguito sarà adattata a padiglione di degenza (villa Chiarugi), minuziosamente descritto da Tamburini. Si interviene anche sullo stabilimento centrale: alla sistemazione del cortile (1868) segue nel 1871 la riorganizzazione distributiva e funzionale del complesso per collocarvi i servizi generali, la sezione femminile e la sezione per gli uomini impiegati nei servizi generali, accuratamente descritta dalla Commissione del III Congresso di Freniatria (1880) [RE_4_3_1; RE_4_3_3].
Ignazio Zani, pensa di estendere l’area del manicomio inglobando il gruppo di case oltre la via Emilia. Destinata a infermieri e impiegati, la nuova area di ampliamento avrebbe rafforzato la dimensione urbana del complesso manicomiale, trasformandolo un vasto impianto disseminato, che avrebbe costituito un vero e proprio modello innovativo; il breve mandato di Zani non consente di realizzare questi ambiziosi progetti. A lui succede, nel 1873, Carlo Livi (1873-1877) che dimensiona l’area di espansione in misura tale da includere il padiglione Esquirol e la colonia agricola, cui si dovevano aggiungere altri villini destinati a pazienti ricchi. Dei nuovi manufatti previsti saranno eseguiti soltanto il “villino pompeiano” (poi Livi) e il piccolo edificio detto “delle Stuoie”, completato nel 1880 [RE_4_3_6]. Il progetto di massima “di una villa in stile pompeiano, disegnato a vista d’uccello e colorato” è affidato nel 1874 a Pio Casoli e la costruzione è terminata nel 1878, compresa la sistemazione del giardino.
II fase: 1877-1907 [RE_4_1_9]
architetti/ingegneri Angelo Spallanzani, Domenico Spallanzani
alienisti/psichiatri Augusto Tamburini
La direzione di Augusto Tamburini (1877-1907) è uno spartiacque nella storia costruttiva del complesso, sia per il suo impegno nel definire un programma d’interventi di lungo respiro sia per la sua gestione trentennale; per la prima volta, una netta distinzione del genere e della gravità della malattia informerà le azioni da intraprendere nell’ammodernamento di spazi e strutture. Al suo insediamento il complesso manicomiale occupa una vasta area trapezoidale tra la linea ferroviaria Bologna-Milano a nord e la via Emilia a sud, articolata in tre parti: lo “stabilimento centrale”, attestato sulla via Emilia, e due gruppi di costruzioni isolate, dislocate a ovest e a est del nucleo centrale. L’area ovest accoglie: i padiglioni collegati Esquirol e Conolly; probabilmente l’edificio Pinel, riservato agli agitati uomini; il piccolo edificio della fabbrica delle stuoie; il casino Daquin; il villino Livi o “pompeiano” [RE_4_3_11]. La struttura a più ali dello stabilimento centrale accoglie le camere di degenza per le donne e i “servizi generali”. A nord dello stabilimento è la tenuta agricola e nella zona est sono due fabbricati: il casino Guislain e la villa Chiarugi [RE_4_2_1].
Nel 1878, con la costruzione dei bagni per soli uomini tra i padiglioni Esquirol e Conolly – dal 1871 destinati ad accogliere “malati poveri tranquilli e agiati di 1a e 2a classe” –, è realizzato un più ampio complesso adibito al personale tecnico-amministrativo e medico, e successivamente ai degenti [RE_4_3_4; RE_4_3_5; RE_4_3_7]. Nel 1880 il nuovo corpo di fabbrica dei bagni è citato per la sua efficienza funzionale e il suo elegante portico sul giardino [RE_4_3_8].
Intorno al 1880, con i disegni di Angelo Spallanzani sono avviate la ristrutturazione del casino Pinel e la costruzione di nuovi fabbricati a esso connessi, destinati agli agitati e ai furiosi, opere realizzate in due tempi (1881-82 e 1887-88); nell’aprile del 1882 il casino è occupato da cinquanta malati, fra agitati e sudici. In epoca successiva l’originario impianto a C si completa con un corpo di fabbrica che chiude il lato aperto [RE_4_1_4; RE_4_3_9]. Nella descrizione del manicomio che ne farà Tamburini nel 1900, il comparto centrale accoglie ancora, nei corpi di fabbrica orientali, la direzione, gli uffici e i laboratori scientifici, mentre nei settori occidentali sono ospitate le donne affette da malattie [RE_4_2_2]. Per fare fronte alle continue richieste, nel 1882 è inoltre avviata la costruzione del villino svizzero, posto in aperta campagna, e costruito sempre su progetto di Spallanzani per servire a una o a due pazienti.
Nell’estate del 1891, a fronte del crescente numero di malati, la Direzione decide di costruire un nuovo padiglione, affidando l’incarico al figlio di Angelo Spallanzani, Domenico. Il casino Galloni, dimensionato e organizzato per 50 pazienti “cronici tranquilli”, è eseguito in economia e in tempi brevi; di forma parallelepipeda, articolato su due livelli in altezza e munito di portico sul fronte, l’edificio conserva i caratteri originari fino al 1907, quando sarà ampliato [RE_4_3_10].
Fino alla fine dell’Ottocento la tenuta agricola accoglie sia le attività dirette alla coltivazione del fondo, all’allevamento del bestiame e all’immagazzinaggio delle derrate alimentari sia quelle svolte nelle officine e nei laboratori, per poi trovare una nuova sistemazione. L’ultima costruzione del secolo è il padiglione Charcot (poi Villa Rossi), destinato a infermeria uomini. Il progetto di Domenico Spallanzani (1896) articola il padiglione in due volumi gemelli, alti due piani e a pianta rettangolare, disposti in parallelo, vicini tra loro e collegati da un corpo più basso terrazzato a un solo piano, sopraelevato nel 1906.
Nel primo settennio del Novecento sono eretti quattro nuovi padiglioni: il Guicciardi e il Verga (poi Biffi e, in seguito, Bertolani), entrambi destinati ai cronici tranquilli; il Marchi (poi Golgi); e infine il Vassale.
III fase: 1907-1928 [RE_4_1_9]
architetti/ingegneri Fedele Bertolani, Getulio Artoni, Giuseppe Bertani, Pellegrino Spallanzani
alienisti/psichiatri Augusto Tamburini, Giuseppe Guicciardi
L’attività edificatoria nel ventennio di direzione di Augusto Guicciardi (1907-1928) può dividersi in due fasi: la prima, dalla data di nomina a direttore alla prima guerra mondiale, e la seconda corrispondente al decennio 1919-28 [RE_4_2_3; RE_4_2_4]. Il nuovo direttore si adopera per un ampliamento degli spazi di degenza. La prima iniziativa risale al 1907 con la proposta di creare una sezione per prosciolti e violenti da porsi in una struttura preesistente, modificata all’uopo: il casino Galloni, padiglione per “alienati pericolosi” che prende il nome di Sezione Lombroso. I lavori di adattamento sono diretti da Spallanzani (1808-09); alle estremità del fronte posteriore sono aggiunte due ali uguali e simmetriche a un solo piano, contenenti le celle di contenzione dei violenti. Il secondo intervento di adattamento è la sopraelevazione del corpo delle officine (1909) [RE_4_3_2], su progetto di Spallanzani, che consente di creare nuove stanze di degenza [RE_4_2_13]. Inoltre, ai fini di una più efficace somministrazione delle cure idroterapiche, i bagni ricavati nel corpo di fabbrica di collegamento tra i padiglioni Esquirol e Conolly sono radicalmente rinnovati.
Intorno al 1912, villa Valsalva e villa Chiarugi sono ristrutturate per convertirle in degenza per pensionarie e nel 1914 è approntata una tettoia di ferro di collegamento tra le due, munita di tamponamenti esterni che all’occorrenza potevano dare vita a uno spazio di svago. Inoltre, per fare fronte alla pressante richiesta di posti letto, si decide di ripensare radicalmente la distribuzione di locali e funzioni della fabbrica delle “stuoie”, trasferendone le attività e riconvertendo l’edificio a dormitorio; inizialmente accoglierà 35 ragazzi frenastenici, poi trasferiti al Daquin, opportunamente riadattato.
Nel 1913 la proposta di costruire un nuovo padiglione destinato ai semitranquilli lascia intravedere la possibilità di liberare spazi nell’Esquirol, suggerendo un riadattamento dell’intero complesso (Conolly collegato all’Esquirol) come “ville di salute per Signori”, dato il loro pregio architettonico. L’anno successivo, però, si ipotizza la demolizione dell’Esquirol e la costruzione di un edificio di pari ingombro, ma lo scoppio della guerra e ripensamenti dissuadono dall’avviare tale progetto.
Oltre a questi lavori, sono costruiti tre edifici nuovi: il villino inglese, il padiglione Tamburini e il padiglione Livi. La decisione di erigere un nuovo edificio per pensionanti (villino inglese), risale agli ultimi mesi del 1907 quando si affida a Spallanzani l’incarico di realizzare un villino “di architettura semplice e moderna, a un sol piano rilevato, composto di 4 camere oltre al vestibolo”. Il 31 marzo 1908 Spallanzani consegna il progetto [RE_4_2_14] e contemporaneamente si sistema a verde lo spazio esterno. I lavori sono ultimati nel 1910 e nel 1912 è completato l’acquisto degli arredi. Tuttavia, già nel 1923 il villino inglese, al pari dei villini pompeiano e svizzero, risulta irrimediabilmente danneggiato e poi demolito. Il padiglione Tamburini, destinato a infermeria donne e opera di Spallanzani, è iniziato nel 1912, ma già nel 1919 darà segni di cedimento nelle volte e nel 1922 sarà utilizzato come infermeria per i feriti di guerra, nonostante non sia ancora stato ultimato. Il 12 marzo 1913 Spallanzani presenta i disegni di progetto del padiglione Livi, edificio pensato per alloggiarvi i semitranquilli; la capienza doveva garantire 150 posti, oltre a 15 infermieri, provenienti dall’Esquirol e dal Conolly. Inoltre, tra il 1912 e il 1915 si attuano piccoli lavori di trasformazione funzionale in diversi corpi edilizi [RE_4_2_15; RE_4_2_16].
Il decennio 1919-29 è avaro in materia di interventi edilizi: una ricostruzione, un riadattamento di scarsa importanza e solo due nuove e importanti imprese edilizie. La ricostruzione seguita a un incendio di alcuni fabbricati della colonia agricola e la sistemazione, tra 1924 e 1925, del padiglione Daquin, destinato ai 35 ragazzi frenastenici provenienti dal locale detto delle stuoie. Interventi di maggiore consistenza sono l’edificazione della colonia-scuola “Antonio Marro” per bambini deficienti emendabili e quella del complesso di abitazioni per il personale impiegato nel manicomio. Esito della trasformazione di villa Levi, la scuola è inaugurata nel 1921, dopo aver reso regolare il volume originario e aggiunto due ali alle estremità del fabbricato. In quanto alle residenze dei dipendenti, nel 1919 si redige il progetto di un piccolo villaggio da impiantarsi all’estremità ovest dell’area, immediatamente fuori dal recinto. È un villaggio di 24 palazzine servite da 4 strade interne, con annessi giardino e un piccolo edificio per “bassi servizi”. Nel progetto le abitazioni si sviluppano su tre piani, ma in realtà saranno costruite a due piani.
IV fase: 1929-1950 [RE_4_1_9]
architetti/ingegneri Getulio Artoni, Giuseppe Bertani, Pellegrino Spallanzani
alienisti/psichiatri Aldo Bertolani, Virginio Porta, Antonio Mazza, Piero Benassi
Con la direzione di Aldo Bertolani (1929-1952) le strategie di modificazione dello spazio e delle architetture del S. Lazzaro rivelano due aspetti dominanti: il rispetto del programma spaziale definito sotto Tamburini e Guicciardi, e l’aggiornamento figurativo e costruttivo delle nuove soluzioni edilizie. Nel primo triennio di direzione, su progetto di Getulio Artoni sono eretti tre nuovi padiglioni, Morselli (1929-31), Tanzi (1930-32) [RE_4_3_15] e Buccola (1930-32). I primi due nascono come edifici gemelli, destinati all’osservazione delle donne e degli uomini; il terzo, destinato alle ammalate tranquille lavoratrici, ha una pianta a H e si sviluppa su due piani [RE_4_2_17; RE_4_2_18; RE_4_2_19].
Nel 1933 è indetto un concorso, aperto ai professionisti della provincia di Reggio Emilia, per la sistemazione delle aree occupate dai villini Pompeiano, Inglese e Svizzero, tutti e tre in stato di abbandono. È premiato il progetto di Giuseppe Bertani e Pellegrino Spallanzani, che realizzeranno il padiglione De Sanctis [RE_4_3_12]; al secondo classificato, Getulio Artoni, è commissionato l’edificio contiguo, il Besta [RE_4_3_13], per pensionarie paganti. Nel maggio 1935, mentre questi fabbricati sono in costruzione, si avvia la demolizione dei villini Inglese e Pompeiano.
Più limitati sono gli interventi di ristrutturazione e ampliamento di edifici esistenti, tra cui i padiglioni Marchi (poi Golgi), Charcot e Vassale. Del primo sappiamo che è stato modificato nei primi anni trenta, raso al suolo da un bombardamento nel 1944 e poi ricostruito. Nel padiglione Charcot (poi villa Rossi) si attua un prolungamento verso ovest delle due ali dell’impianto a C, che assumerà una conformazione a H. Il padiglione Vassale risulta ampliato con l’aggiunta di un secondo piano sul lato ovest. Infine, nel 1936 è demolita la colonia-scuola “Antonio Marro” [RE_4_1_5; RE_4_1_6].
V fase: 1951-1990 [RE_4_1_9]
architetti/ingegneri -------
alienisti/psichiatri Aldo Bertolani, Virginio Porta, Antonio Mazza, Piero Benassi
Il secondo Novecento è stato piuttosto avaro di progetti e piani organici di riassetto dell’area manicomiale [RE_4_1_7]. La produzione di questo periodo si limita a un ristretto gruppo di edifici eretti in sostituzione di padiglioni preesistenti, di cui hanno rispettato i limiti d’ingombro in pianta e in alzato senza tenere conto dei caratteri architettonici originari. Appartengono a questa serie i padiglioni: Bertolani (1960), realizzato in sostituzione del Biffi (già Verga); il nuovo Biffi in luogo delle Scuolette (1967); l’unità di abitazione e di cura (1970); il nuovo Dipartimento Igiene Prevenzione Sanità (1990), che sostituisce il Guislain; infine, il Guicciardi, scuola tecnica di recente realizzazione.
In epoca recente un complessivo progetto di riqualificazione e nuova destinazione funzionale ha progressivamente coinvolto numerosi padiglioni adibiti alle attività dell’Università di Modena e Reggio [RE_4_1_8]. Al momento (2011), l’edificio del Dipartimento Igiene Prevenzione Sanità è sottoposto a una radicale trasformazione per ospitare uno Studentato e altre attività collaterali a quella strettamente didattica.
Il padiglione Lombroso, già Casino Galloni, dismesso nel 1972, nel corso degli ultimi anni è stato sottoposto a un restauro che ne ha salvaguardato le caratteristiche originarie. Inaugurato il 24 settembre 2011, è ora sede del Museo di Storia della Psichiatria [RE_4_3_14].
impianto
blocco articolato e padiglioni disseminati o a villaggio
corpi edilizi
blocco pluripiano a cortili chiusi delimitati da portici (ex convento)
padiglioni a due piani tripartiti, con avancorpo centrale e ali laterali avanzate
padiglioni a due piani, a pianta rettangolare munita di appendici di estensione variabile
villini
strutture
strutture in elevazione: muratura continua, ferro e ghisa, cemento armato
orizzontamenti: voltine di laterizio e putrelle di ferro, solai piani in legno e in laterocemento
coperture: tetti a padiglione e tetti a capanna, con orditura lignea o in laterocemento e rivestimento in coppi o tegole piane del tipo marsigliese; tetti piani
ottimo ex padiglione Lombroso, ex edifici residenziali per dipendenti del manicomio
buono altri edifici del complesso
pessimo ex padiglioni Esquirol e Pinel, Villa Marchi, ex villino delle Stuoie, ex Dopolavoro
A. Galloni, Description du Bâtiment de l’Hôpital de St. Lazare pour les insensés del l’état de Modène, s.l. 1842
A. Tamburini, Il Frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1880 (1900 II ed.)
V. Grasselli, L’ospedale San Lazzaro presso Reggio Emilia. Cronistoria documentata dell’Avvocato Venceslao Grasselli con epilogo del prof Augusto Tamburini, Direttore del Manicomio. Pubblicata a cura dell’Amministrazione, Tipografia di Stefano Calderini, Reggio nell’Emilia 1897
A. Tamburini, G. C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie nazioni, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Milano-Napoli-Palermo-Roma 1918, pp. 113-120
R. Fabbrichesi, Stabilimenti sanitari. II. Manicomi, in Manuale dell’Architetto per cura dell’architetto ing. Daniele Donghi, vol. II, La composizione architettonica. Parte prima, Distribuzione. Sezione terza, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1927, pp. 698-699, tav. XI
M. Bertolani Del Rio, Le vicende storiche dell’Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, suppl. al fascicolo II della “Rivista Sperimentale di Freniatria”, ottobre 1954
Per un museo storiografico della psichiatria. Atti del “Concorso pubblico di idee per la attivazione di un museo storiografico della psichiatria” bandito dagli Istituti Psichiatrici S. Lazzaro di Reggio Emilia il 6 marzo 1978, in “Rivista sperimentale di Freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali”, suppl. al fasc. III, vol. CIII, 1979
Il cerchio del contagio. Il San Lazzaro tra lebbra, povertà e follia. 1178/1980, mostra storiografica della psichiatria, Padiglione Lombroso, 11-30 aprile 1980, a cura di M. Bergomi et alii, Tecnocoop, Reggio Emilia 1980
V. Pezzi, Il San Lazzaro negli anni del regime (1920-1945), estratto da “Contributi”, a. 10, n. 19-20, 1986, pp. 386-596, Mucchi, Modena 1987
Gli architetti del pubblico a Reggio Emilia dal Bolognini ai Marchelli. Architettura e urbanistica lungo la via Emilia (1770-1870), catalogo della mostra (maggio-giugno 1990), a cura di M. Pigozzi, Grafis, Casalecchio di Reno 1990
Immagini dal manicomio. Le fotografie storiche del S. Lazzaro di Reggio Emilia 1892-1936, a cura di P. Lalli, AGE grafico-editoriale, Reggio Emilia 1993
Per un atlante degli ospedali psichiatrici pubblici in Italia, a cura della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, Treviso 1999, p. 126
F. Saccani, Il ‘Lombroso’ di Reggio Emilia: verso il cantiere, in Dossier: Il futuro degli ospedali psichiatrici in Italia, “Ananke”, n.s., 54, (maggio) 2008, pp. 134-153
L’Architettura del Novecento a Reggio Emilia, a cura di A. Zamboni e C. Gandolfi, Bruno Mondadori, Milano 2011
M. B. Bettazzi, Frenocomio di San Lazzaro a Reggio Emilia, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 223-225
Biblioteca Scientifica Carlo Livi – Ausl RE, Archivio ex Ospizio San Lazzaro, Beni Stabili e Ufficio Tecnico
Archivio di Stato di Reggio Emilia, Archivio Domenico e Pietro Marchelli
Archivio Storico della Provincia di Reggio Emilia, Ufficio Tecnico
Archivio Storico del Comune di Reggio Emilia, Ufficio Tecnico
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