L’impulso di rinnovamento, dettato da Fiamberti, ha nuovi impulsi dal 1964, grazie allo psichiatra Edoardo Balduzzi, che introduce i principi della psichiatria di settore, ispirati alle sperimentazioni assistenziali francesi. In questi anni il manicomio è riorganizzato in differenti reparti, ognuno strutturato con personale autonomo al quale spetta la cura dei malati provenienti da uno specifico territorio omogeneo. Questa scelta, che comporta anche piccole variazioni architettoniche interne ai padiglioni, migliora il collegamento tra ospedale psichiatrico e territorio senza però prevedere il suo superamento. Al contrario, l’ospedale esce rafforzato da un simile modo di intendere l’assistenza agli alienati, poiché si ramifica meglio sul territorio, esternalizzando alcuni servizi (come l’ambulatorializzazione di terapie quali l’elettroshock) e consolidando la rete di presidi psichiatrici costituiti nel territorio già dagli anni trenta.
Altri cambiamenti si hanno dopo il 1967, durante la direzione di Eugenio Gaburri, che elabora un “modello di ristrutturazione dei manicomio”. Si concentra sull’ergoterapia e sull’apertura della cittadella della cura psichiatrica al territorio, cercando di creare legami proficui tra pazienti e contesto socio-culturale urbano, e sperimenta le terapie di gruppo importando in Italia la lezione dello psicanalista inglese Wilfred Bion. In qualche misura, la struttura ospedaliera di Varese costituisce un’anticipazione di quanto propugnato dal Centro ricerche psicoanalitiche di gruppo Pollaiolo (CRPG) fondato nel 1975 da Gaburri con Francesco Corrao, Claudio Neri, Nando Riolo, e trasformato nel 1995 nell’IIPG (Istituto Italiano di Psicanalisi di Gruppo).
Gli anni della de-istituzionalizzazione sono particolarmente difficili per la struttura manicomiale di Varese, anche se l’insieme dei suoi padiglioni ne risulta sostanzialmente indenne. Così come avvenuto per alcune realtà ex-manicomiali italiane, Varese si dimostra non molto ricettivo alle sollecitazioni legislative post-basagliane e non attiva una reale operatività sino alla metà degli anni novanta. Decretata allora la cartolarizzazione della struttura manicomiale, una sua parte è acquistata dall’Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo-Fondazione Macchi che, dopo la creazione dell’Università dell’Insubria avvenuta nel 1998, cede a quest’ultima in comodato d’uso tre padiglioni (Antonini, Biffi e Morselli).
Grazie all’attenzione al patrimonio architettonico dimostrata dalla direzione della ASL di Varese e del suo Ufficio tecnico, i padiglioni rimanenti sono oggetto di interventi manutentivi che non ne hanno alterato l’impianto generale, attuando interventi prossimi al “restauro del moderno”.
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