Casa dei Matti di Aversa (1813-1871)
Manicomio di San Francesco di Sales, Napoli (acquistato nel 1874, entrato in funzione nel 1881)
recupero
Nel 1871, con l’istituzione delle Province e con l’affidamento alle stesse dell’obbligo del mantenimento dei mentecatti poveri, la Provincia di Napoli, sollecitata anche dalle difficoltà di accoglienza del Manicomio di Aversa e dall’aumento della retta giornaliera dei ricoverati, delibera l’istituzione di un proprio manicomio provinciale. Nelle more della sua definitiva allocazione, e considerata l’urgenza, ci si orienta sul recupero provvisorio di una struttura resa disponibile dalle soppressioni postunitare, che possa accogliere un congruo numero di folli. La scelta ricade sul convento della Madonna dell’Arco, nel comune di Sant’Anastasia, a pochi chilometri da Napoli, riedificato alla fine del XVI secolo su una preesistenza quattrocentesca e già individuato, in precedenza, come sede assistenziale. Infatti, nel 1808, durante il Decennio francese, il convento era stato ceduto al Reale Albergo dei Poveri e trasformato in ospizio destinato a malati infermi, paralitici e non vedenti; tornato temporaneamente all’Ordine dei Frati Predicatori, dopo l’Unità d’Italia il convento viene nuovamente soppresso e riassegnato alle competenze dell’Albergo dei Poveri, dal quale la Provincia lo prende in fitto, accollandosi le spese dei necessari lavori di adeguamento.
I fase: 1871-1906 [NA_SMA_4_1_4]
architetti/ingegneri: Giuseppe Rossi, Luciano della Martora
alienisti/psichiatri: Vincenzo Leonardo Cera, Giuseppe Buonomo, Leonardo Bianchi
Nel gennaio del 1871 la Deputazione provinciale di Napoli nomina una commissione composta da tre consiglieri (il cavaliere Mantese, il cavaliere Mazza, il Duca di San Donato) incaricandola sia di prendere accordi con il manicomio di Aversa per il ritiro dei mentecatti poveri del proprio ambito territoriale, sia di provvedere all’adattamento dei locali dell’ex convento di Santa Maria dell’Arco. I lavori di adattamento, diretti dall’ingegnere Giuseppe Rossi dell’Ufficio tecnico provinciale, sono eseguiti con urgenza, data l’impellenza di trasferire i malati, consentendo l’apertura del manicomio già nel marzo dello stesso anno. Inizialmente si prevede – secondo contratto – di ricoverarvi i mentecatti non curabili di entrambi i sessi, disposizione alla quale non sarà possibile dare seguito per l’inadeguatezza dei locali. Secondo le “Istruzioni Sanitarie” elaborate dalla commissione delegata, la direzione viene affidata a quattro medici ordinari, che mensilmente si sarebbero dovuti alternare facendosi portavoce nei confronti della Deputazione di tutte le occorrenze necessarie; inoltre, i quattro medici e un chirurgo ordinario avrebbero dovuto costituire un comitato consiliario, tenuto a riunirsi due volte alla settimana per deliberare sulle varie proposte disciplinari e sul servizio sanitario interno. La direzione della struttura viene affidata inizialmente all’alienista Vincenzo Leonardo Cera, medico statista del Manicomio di Aversa, affiancato da un comitato medico, ma già nella tornata del 10 giugno del 1871 la Deputazione sopprime il comitato medico, prevedendo la presenza di un direttore e di un medico capo, dove il primo avrebbe avuto soltanto mansioni amministrative e il secondo la direzione tecnica del servizio sanitario. Contestualmente, nel ruolo di direttore viene nominato l’alienista Giuseppe Buonomo, medico al nosocomio di Aversa e professore alla Reale Clinica universitaria.
Gli atti amministrativi consentono di ricostruire le prime fasi di attività del manicomio: nell’ottobre del 1871 la Deputazione ordina l’acquisto urgente di panche, telai, strumenti e utensili per tessitore, falegname, calzolaio e pittore, attestando l’intenzione di impiantare piccoli laboratori in cui tenere impegnati i degenti. Nel luglio del 1872 si delibera l’acquisto di un macchinario per la lavorazione dello sparto, tecnica artigianale già in uso nel manicomio di San Niccolò a Siena, prevedendo addirittura la presenza all’Arco di un artefice proveniente dalla Toscana per insegnare ai folli questo tipo di attività. Tuttavia, nel contempo si manifestano con evidenza le carenze della sede prescelta: Biagio Miraglia, direttore del manicomio di Aversa nel 1866, descrive Santa Maria dell’Arco – secondo quanto si riporta in un verbale di una sessione consiliare – come una “babele” e un “putrido brulicume”, lamentando, oltre l’insufficienza dello spazio, anche la scarsità e non potabilità dell’acqua. Ciò nonostante, all’Arco vengono eseguite, dal 1878, ulteriori opere di adattamento dei locali al piano terra per uso di dormitori.
Le varie rimostranze determinano nel 1874 la decisione di acquistare il fabbricato del San Francesco di Sales a Napoli che entrerà in funzione solo a partire dal 1881. Da questo stesso anno all’Arco si alternano e sovrappongono diverse categorie di malati: inizialmente vi alloggiano le donne e parte dei folli uomini (i “recidivi” e i “paralitici”), dal 1883 vi risiedono soltanto le donne. Nella tornata del 4 dicembre 1888, il Consiglio provinciale decide di epurare dal Manicomio del Sales tutti i malati cronici e di ricoverarli all’Arco, che diventa Asilo di Mendicità (cioè luogo di ospitalità e non di cura): da questo momento tutti i maschi cronici del Sales verranno aggiunti alle donne croniche già ricoverate all’Arco, mentre le curabili verranno trasferite definitivamente nel manicomio napoletano.
Nel 1899, sotto la direzione di Leonardo Bianchi – succeduto a Buonomo nel 1890 – viene aperto un ingresso secondario di servizio alla cucina, forno e dispensa; vengono inoltre presi in affitto dalla proprietà attigua quattro locali annessi al manicomio, un grande androne e un cortile scoperto. Nel 1900 l’amministrazione del manicomio denuncia le cattive condizioni statiche dello stabilimento, ma gli interventi si limitano a piccole riparazioni al tetto e alle grondaie. Stante questa situazione, nel 1903 si pensa di trasferire nel manicomio del Sales tutte le donne e di limitare la presenza all’Arco solo agli uomini incurabili. Ad aggravare la situazione concorre una gestione amministrativa poco rispettosa del regolamento, che in breve tempo rende l’istituto ingovernabile. Nel 1906, infine, a causa dell’eruzione vulcanica, la struttura viene dichiarata inagibile e chiusa definitivamente [NA_SMA_4_3_1].
II fase: 1907-2012 [NA_SMA_4_1_4]
architetti/ingegneri: Camillo Guerra, Antonio Passeri, Cesare Cundari
Nel 1907 il complesso conventuale, dopo gli opportuni lavori di consolidamento, viene trasformato in mendicicomio “Elena di Savoia” e rientra nella gestione dell’Albergo dei Poveri, che ne era ancora parzialmente proprietario. Nel 1935, dopo una lunga trattativa, i frati riescono ad acquistare parte del complesso, e dopo lavori di restauro e di accorpamento dei vari ambienti da tempo separati, dall’anno successivo la struttura ritorna, ufficialmente e definitivamente, sede dei Domenicani. Durante la seconda guerra mondiale il santuario viene bombardato, ma mentre nel 1948 l’architetto Camillo Guerra inizia il restauro della cupola, solo nel 1957 il convento riceve finanziamenti per danni di guerra, che permettono di procedere al recupero integrale della struttura; i lavori vengono diretti dall’ingegnere Antonio Passeri. Con il sisma del 1980, il convento e la chiesa subiscono lievi danni, interessanti in special modo la facciata della chiesa, la cupola e l’ala nord-ovest dell’edificio monastico. Nel 1984 vengono eseguiti interventi di consolidamento da parte dell’architetto Cesare Cundari, sotto la vigilanza della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Napoli [NA_SMA_4_1_3; NA_SMA_4_2_1; NA_SMA_4_2_2; NA_SMA_4_2_3; NA_SMA_4_3_2; NA_SMA_4_3_3; NA_SMA_4_3_4; NA_SMA_4_3_5; NA_SMA_4_3_6; NA_SMA_4_3_7].
impianto
blocco compatto
corpi edilizi
edificio quadrangolare a corte a tre piani fuori terra
strutture
strutture in elevazione: murature in tufo e mista
orizzontamenti: volte a botte, a crociera e a padiglione
coperture: tetto a falde con struttura a capriata lignea e manto in tegole
buono: intero complesso conventuale
Atti della Deputazione Provinciale di Napoli, anno 1871, Tipografia del Giornale di Napoli, Napoli 1871
Atti della Deputazione Provinciale di Napoli, anno 1872, Tipografia del Giornale di Napoli, Napoli 1872
B. Miraglia, Il nuovo manicomio provinciale di Napoli nella Madonna dell’Arco, in I Manicomi della Provincia di Napoli, Tipografia dell’Iride, Napoli 1881
Relazione sui Manicomi Provinciali il “Sales” e “L’Arco” alla Commissione amministrativa pel Consiglio Provinciale del Direttore Medico G. Buonomo, Stabilimento Tipografico dell’Unione, Napoli 1886
Relazione sui Manicomi Provinciali di Napoli, R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini e figli, Napoli 1890
Agli onorevoli consiglieri provinciali di Napoli: rilievi su la relazione al Consiglio provinciale della Commissione Amministrativa dei manicomi provinciali del 5 agosto 1890, Impresa Asilo provinciale della Madonna dell’Arco, Tip. Giannini & Figli., Napoli 1890
Relazione sull’Amministrazione Provinciale di Napoli, Tipografia Nazionale di G. Berterio e G., Roma 1902
C. Carrino, Gli archivi dei manicomi in Campania, in La memoria dei matti. Gli archivi dei manicomi in Campania tra il XIX e il XX secolo e nuovi modelli della psichiatria, Atti del convegno (Napoli, 24 gennaio 2003), Filema edizioni, Napoli 2006
T. M. Violante, Madonna dell’Arco. Storia del santuario e del convento, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2009
G. Pappalardo, Le prime sedi del Manicomio provinciale di Napoli: Santa Maria dell’Arco e San Francesco di Sales, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M. A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M. L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 280-282
Archivio Storico Ospedale Leonardo Bianchi, Carteggio Arco-Sales
Archivio di Stato di Napoli, Fondo Regia Prefettura
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