Casa dei Matti di Aversa (1813 -1897)
Asilo di mendicità di Lecce presso l’ex convento degli Olivetani (1881)
Villa Romatizza a Latiano (BR): succursale, istituto psicopedagogico e colonia agricola (1965)
Ricovero per ammalati tranquilli a Strudà (LE): succursale (1967-1992)
Villa S. Maria a Monteroni (LE): succursale psicogeriatrica (1975)
recupero con ampliamenti
Il Manicomio provinciale di Terra d’Otranto trae origine da un adattamento, con successivi ampliamenti, dell’ex convento dei padri Alcantarini a Lecce. Quest’ultimo viene costruito nella seconda metà del Quattrocento per volontà di Ferrante I d’Aragona, fuori dalle mura cittadine, accanto alla Torre del Parco, attiguo alla chiesa di San Giacomo, della fine del XIV secolo [LE_4_1_3]. Nella seconda metà del Seicento, la congregazione francescana di origine spagnola degli Alcantarini insediatasi nel convento, ristruttura anche la chiesa, intitolando il complesso a San Pasquale.
Il 23 settembre del 1870, a seguito della soppressione degli ordini religiosi, l’ex convento di San Pasquale viene ceduto alla Provincia di Lecce col vincolo di destinarlo ad asilo di mendicità. Tuttavia, ancora nel 1881 alcuni locali vengono temporaneamente ceduti alla Scuola di Agricoltura, cosicché nel frattempo il ricovero provvisorio dei malati, prima del loro eventuale trasferimento ad Aversa, viene organizzato in quattro “stanze di custodia”, opportunamente dotate di pareti imbottite e letti di contenzione, presso il monastero degli Olivetani e vigilato dall’alienista Giuseppe Vigneri – convinto fautore della realizzazione di un manicomio a Lecce – in base al Regolamento per la Sala di Custodia dei folli poveri della Provincia di Terra d’Otranto, redatto nel 1885. Ancora nel 1887 il complesso è destinato a caserma dell’84° Reggimento di Fanteria e solo dieci anni dopo, con verbale di consegna del 29 luglio del 1897 [LE_4_2_1; LE_4_2_2], passa finalmente alla Provincia.
I fase: 1897-1902 [LE_4_1_4]
architetti/ingegneri: Luigi Libertini
alienisti/psichiatri: Giovanni Libertini, Leonardo Bianchi, Giovanni Andriani
Nominata dall’Amministrazione provinciale di Lecce un’apposita commissione per esaminare se l’ex convento degli Alcantarini fosse adatto a ospitare la sede del manicomio – come testimoniano i documenti d’archivio - e valutato positivamente “il luogo tutto, per l’aria, per la opportuna e giusta distanza dal centro della città” e per essere circondato da ampi spazi a verde di proprietà della stessa Provincia, il Consiglio provinciale incarica l’ingegnere Capo dell’Ufficio tecnico, Luigi Libertini, di redigere il “progetto di arte”. Questi si avvale della consulenza specialistica dell’alienista Giovanni Libertini, il quale a sua volta si reca a Napoli e a Firenze “per richiedere schiarimenti ai suoi illustri maestri Prof. Bianchi e Tanzi che sempre gentilmente gliene hanno forniti”.
Il 18 novembre 1897, Libertini presenta una dettagliata relazione del progetto “che si ha l’onore di presentare”, redatto dopo una “visita minuta” in diversi manicomi tra cui quello di San Salvi a Firenze, “una dell’ultime costruzioni del genere”. Dal pagamento del 1899 si evince la previsione di spesa di 140 mila lire per i lavori di ristrutturazione del manicomio, di cui £ 9.600 a Libertini (3.000 per il rilievo del complesso, 6.000 per il progetto e il resto per le spese di viaggio).
Per quanto riguarda la tipologia, Libertini, pur riportando il parere espresso dalla commissione esaminatrice dei progetti di concorso per il Manicomio provinciale di Napoli del 1890, che era favorevole al tipo di impianto a comparti disseminati, mostra di preferire l’edificio del tipo misto e più o meno concentrico, come supporto al medico alienista, citando in particolare gli esempi dei complessi di Waldau a Berna e di Königsfelden a Brugg. Pertanto, nel progetto del manicomio di Lecce, oltre a trasformare “il tipo chiuso quadrangolare del vecchio convento e ridurlo a scaglioni come consigliano tutti i trattati d’igiene moderni”, viene affiancato un padiglione per le donne distaccato e di nuovo impianto, a due piani, cui ne seguiranno altri [LE_4_2_3; LE_4_3_1; LE_4_3_2]. La soluzione è avallata da Bianchi il quale, inoltre, dando merito alle idee del tecnico pugliese, osserva che anche “se il progetto Libertini non risponde all’alta idealità di un manicomio tipo”, in quanto adattato per ragioni anche economiche al vecchio fabbricato, può tuttavia rispondere a tutte le esigenze della cura, per la giusta distribuzione degli ambienti, per la separazione razionale degli agitati dai tranquilli e per le ampie e numerose sale da trattenimento e da lavoro.
Anche il nuovo direttore Giovanni Andriani difende l’opportunità della scelta dell’impianto misto, rispetto a quello a reparti sparsi, con tanti padiglioni per quante erano le categorie di ammalati, caldeggiato, a suo dire, da chi aveva “vedute grandiose”, come negli episodi di Reggio Emilia, Firenze, Roma (Sant’Onofrio) e Napoli; sistema adottabile per i grandi manicomi, a partire dai 600 folli, e comunque non scevro da gravi inconvenienti, ma “ridicolo” per quello leccese, comportando oltretutto la moltiplicazione dei medici e del personale di assistenza. Né era d’altro canto raccomandabile il sistema a grandi fabbricati unici, come nei citati episodi di Aversa, del San Clemente a Venezia o della Vecchia Lungara di Roma, a causa della vicinanza dei due sessi o degli agitati con i tranquilli.
Il 6 giugno 1900, Andriani firma la Relazione sui lavori di completamento del Manicomio Provinciale di Lecce redatta per stabilire la destinazione dei diversi locali all’uso degli ammalati e di particolare utilità anche per ricostruire gli ambienti del manicomio originario, capace di 168 letti. Solo il pianterreno dell’antico convento, comprendente anche un bel porticato “che potrebbe servire di luogo di passeggio in qualche giorno piovoso d’inverno”, si rivela confacente: qui sono sistemati, oltre all’alloggio del portiere, il parlatorio e la residenza del soprintendente al manicomio. Il piano superiore andava invece ricostruito interamente, in quanto “coordinato agli usi e costumi dei Pasqualini”, cioè frazionato in piccole celle [LE_4_2_4; LE_4_2_5]. Andriani suggerisce anche di adattare l’antico refettorio dei monaci, a oriente, a mensa per i tranquilli e richiama l’attenzione sulla costruzione dei locali per i servizi generali, dispensa, cucina, guardaroba, infermeria e dei bagni, dotati di docce e sala idroterapica, accanto alle stanze per i luridi e i paralitici.
Alle spalle del refettorio trovano posto le stanze – di m. 3 x 4 secondo la normativa – per gli agitati e gli epilettici, per le quali Libertini precisa che, sebbene i pareri degli psichiatri siano ancora discordi sul modo di tenere gli agitati, cioè se in comune (Tanzi) oppure separati in celle (Bianchi), seguendo il parere del secondo ha adottato il sistema delle celle per gli uomini e il sistema misto per le donne. Il reparto degli agitati si completa con una grande sala, refettorio o ricreatorio, e con un cortile, separato dai giardini mediante mura, per intrattenere all’occorrenza gli agitati all’aperto. Nei pressi dell’infermeria sono previsti due grandi locali da adibirsi a sale di lavoro per ammalati tranquilli. Nel piano superiore, oltre ai locali per i dormitori, la direzione e la segreteria, sono presenti quattro reparti per ammalati tranquilli, con 71 letti e quattro celle e un reparto per semi agitati con cinque stanze, ciascuna dotata di quattro letti.
La dettagliata relazione di Andriani si correda infine anche di indicazioni sul tipo di pavimento, di facile pulizia e manutenzione, tale da scartare mattoni e mattonelle, optando piuttosto per il cemento battuto con schegge di colore, sull’esempio delle case di cura private. Secondo l’uso antico, le pareti sono imbiancate a calce, evitando ogni tipo di spigolo, mentre le finestre vengono dotate di vetri particolarmente spessi e munite di cancellate fisse in ferro “di un modello che sia solido, svelto e grato alla vista”, secondo “il campione” approvato da Bianchi. L’avviso d’asta per l’appalto di tutte le imposte in legno interne ed esterne del manicomio, al quale partecipano diverse ditte italiane, tra cui la Ziliani da Padova, viene pubblicato il 21 febbraio 1901.
Il padiglione delle donne, sempre a due piani, è completamente separato dal corpo principale ma non lontano dai servizi generali. Al pianterreno, oltre al parlatorio, è ubicato il locale delle agitate, con 10 letti e con celle di isolamento con cortiletto separato. Il nuovo padiglione femminile è rifinito esternamente in pietra leccese con filari a vista, la cui configurazione, essenziale e priva di connotazioni storicistiche, verrà replicata anche negli altri sette padiglioni, realizzati nel tempo [LE_4_3_3].
Nel maggio del 1901, Luigi Libertini provvede a inoltrare alla Deputazione provinciale la richiesta per provvedere all’allaccio per la fornitura di illuminazione elettrica, nonché all’impianto di cucine e scaldabagni a gas. Anche in questo caso alla gara d’appalto partecipano società provenienti da diverse parti d’Italia: tra le altre, offrono i loro preventivi la ditta Giuseppe Cantelmo, costruttrice di cucine economiche di ben cinque metri di lunghezza, anche sul modello inglese e la ditta Edoardo Lehmann di Milano [LE_4_2_6], specializzata in lavanderie a vapore.
Andriani pone infine particolare attenzione al verde, raccomandando di piantare uno o più filari di acacie o di altre piante ombrifere. Un viale principale, ampio e configurato a pergolato, è previsto dai servizi generali al muro di cinta orientale, parallelo ed equidistante dal comparto degli uomini e da quello delle donne [LE_4_3_3].
II fase: 1903-1930 [LE_4_1_4]
architetti/ingegneri: Luigi Libertini, Luigi D’Ercole
alienisti/psichiatri: Giovanni Libertini, Salvatore Gullotta
A partire dal 1903 si inizia ad avvertire l’esigenza di un ampliamento delle strutture, considerato che gli ammalati sono ascesi complessivamente a 213, di cui 123 uomini, più il personale di custodia. Le donne superano di un terzo l’effettiva capienza del padiglione, tanto da doversene dislocare una sezione nel padiglione uomini, e soprattutto si rende necessario provvedere a nuovi locali per i servizi generali, in una struttura separata. Il Consiglio provinciale di Terra d’Otranto, riunito il 22 gennaio 1903 in seduta straordinaria, dispone da subito che sia studiato un progetto “abbastanza vasto da poter servire pei bisogni futuri”. Pertanto viene innanzitutto costruito un nuovo padiglione per 50 letti, di cui si conserva la misura finale del 1905, per un importo pari a circa £ 22.000 [LE_4_3_4].
Viene realizzato, inoltre, il piccolo edificio appositamente destinato alle docce mentre si propone di costruire anche un forno e un pastificio, poi inseriti invece in alcuni locali dell’ex convento, e si autorizza l’impianto di un’officina elettrica con motore a gas povero, per ridurre la spesa occorrente per l’illuminazione [LE_4_3_5]. Sempre nel 1903 viene elevato il muro di cinta per impedire ai curiosi di affacciarsi verso l’interno del manicomio e turbare gli ammalati. Viene inoltre attuata la sistemazione dei giardini delle diverse sezioni, completi di viti e alberi da frutto, tra cui di prugne, peschi, albicocchi e fichi.
Del padiglione per i servizi generali con l’infermeria si conservano i disegni di progetto del 1908 a firma dell’ingegnere Luigi D’Ercole, visto il parere dell’ingegnere capo Luigi Libertini [LE_4_2_7; LE_4_2_8]. Tale padiglione, realizzato alle spalle del secondo donne, in maniera differente dai disegni, viene destinato invece a reparto Medicina e isolamento [LE_4_3_6]. Un preventivo di spesa del 1913, ancora a firma dell’ingegnere D’Ercole, testimonia la costruzione di un altro padiglione per 100 letti, il secondo uomini; portato a termine nel 1917.
Nel 1923 l’ingegnere Andrea Gatto progetta l’allacciamento viario tra l’Ospedale civile Vincenzo Fazzi e il Manicomio provinciale, al fine di collegare fra loro le due strutture. Risale, probabilmente, a tale periodo la realizzazione della portineria e del piccolo edificio accanto per la visita dei familiari ai degenti.
Nel 1929 il direttore Salvatore Gullotta, originario di Catania, succeduto a Giovanni Libertini scomparso nel 1920, rappresenta la necessità di ulteriori strutture, urgenti e indispensabili, quali: un locale d’isolamento per malattie infettive, in particolare per la tubercolosi; un locale speciale per gli imputati prosciolti per infermità di mente; una stanza anatomica e igienica, nessuna delle quali viene tuttavia realizzata.
III fase: 1931-1953 [LE_4_1_4]
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Salvatore Gullotta, Umberto De Giacomo
Un nuovo impulso alla storia costruttiva del complesso si determina a seguito della scissione della Provincia di Terra d’Otranto e della conseguente istituzione delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, per le quali l’ex manicomio si trasforma in Consorzio ospedaliero, denominato Ospedale Psichiatrico Interprovinciale Salentino, nel 1931. L’OPIS, infatti, poteva svolgere le funzioni di ricovero e cura degli ammalati di mente in maniera autonoma, con propria organizzazione amministrativa e giudiziaria, in base alla legge del 1904. Un primo risultato si concreta nella costruzione del terzo padiglione uomini.
Nel 1939, sotto la direzione del professor Umberto De Giacomo, si realizzano ulteriori ampliamenti con la costruzione del padiglione Villa Salento, destinato agli alienati a pagamento, a un piano, di fronte alla portineria. Questa la descrizione dello stato dei luoghi a tale data, nelle testimonianze raccolte dall’ultimo direttore della struttura psichiatrica, Luigi Sinisi: “Su entrambi i lati del lungo e largo vialone centrale, si disponevano, l’uno dopo l’altro, grandi alberi di pino silvestre […] Continuando a percorrere tale vialone, più avanti, sulla sinistra, si trovava il primo padiglione uomini, formato da due piani, ubicato in gran parte nella sede originaria dell’ex convento. Sulla destra si trovava il primo padiglione donne, formato anche da due piani. Proseguendo oltre, sullo stesso viale, ecco affacciarsi, sulla sinistra, il secondo padiglione uomini, e, sulla destra, il secondo padiglione donne. Più avanti ancora, da ultimo, sulla sinistra, il terzo padiglione uomini, ancora ad un piano, quello terra, ma prossimo ad avere il secondo. Più distante, alle spalle del secondo padiglione donne, si scorgeva il padiglione di isolamento, detto poi di infermeria. Gli ammalati in osservazione e quelli in cura intensiva, erano accolti nei primi due padiglioni, uomini e donne, tutti gli ammalati agitati ed epilettici erano collocati nei secondi padiglioni. I lavoratori agricoli e gli artigiani invece, erano sistemati nel terzo padiglione”.
Grande importanza fu assegnata alla ergoterapia. Nel primo padiglione donne vengono sistemati dodici telai per la tessitura a mano e una saletta attigua viene adibita alla confezione di calze, al cucito e al ricamo. Alcuni ammalati vengono impegnati nella calzoleria – collocata nei locali dell’ex forno – in cucina e nella lavanderia. In un grande ambiente del primo padiglione uomini, prima adibito a dormitorio per i tranquilli, viene infine creato un cinema teatro [LE_4_3_7].
IV fase: 1954-2013 [LE_4_1_4]
architetti/ingegneri: Elio Martano
alienisti/psichiatri: Eustachio Zara, Luigi Stefanachi, Luigi Sinisi
Nel giugno del 1954, sotto la direzione del napoletano Eustachio Zara, i ricoverati ascendono a 900. Particolare attenzione viene data all’implementazione delle apparecchiature mediche, come l’impianto radio-diagnostico e quello per l’elettroencefalografia. Nel 1957, vengono inoltre costruiti lo spaccio cooperativa tra dipendenti OPIS e il nuovo padiglione di Osservazione.
Nelle tre Province cresce il numero dei laboratori di igiene mentale, finché, nel 1961, al passo con i tempi, si istituisce anche all’OPIS il servizio di assistenza a carattere socioterapico per gli ammalati. Negli anni sessanta, vengono inoltre realizzate l’istituto psicopedagogico Villa Romatizza, con annessa colonia agricola a Latiano, in provincia di Brindisi, e il ricovero per ammalati cronici tranquilli a Strudà, a pochi chilometri da Lecce, nello stabile dell’ex Tessilmarod, previsto fin dal 1958 su progetto dell’ingegnere Elio Martano.
Nel 1965 l’antico complesso conventuale, che oggi ospita il Polo Didattico Ufficio Formazione, il Dipartimento Salute Mentale e la biblioteca, subisce un’ulteriore ristrutturazione a seguito della quale i vecchi locali di soggiorno al piano terra vengono trasformati in refettori.
Con la direzione di Luigi Sinisi, proveniente da Genova, nel 1974, viene costruito il nuovo ampio edificio amministrativo dell’OPIS, a quattro piani, dal profilo poligonale, firmato da Elio Martano, oggi sede della Direzione generale della ASL [LE_4_3_8].
Nel 1985 la Legge regionale n. 33 affida alle USL tutti i servizi psichiatrici. Nel 1992, anno di congedo per Sinisi, chiusa anche la sezione distaccata di Strudà, gli ammalati sono accolti nel II padiglione uomini, nel frattempo ristrutturato.
Nel 1998 con la manifestazione “Apriticielo” si pone fine al manicomio di Lecce. Negli ultimi quindici anni in alcuni edifici sono stati effettuati interventi di adeguamento per accogliere funzioni sanitarie e assistenziali. Presso l’ex Villa Salento, rinominata Villa Libertini, funziona il CRAP - Centro Riabilitativo Assistenziale Psichiatrico.
impianto
blocco articolato e padiglioni indipendenti
corpi edilizi
complesso originario ad H, su due piani; padiglioni a uno o a due piani
strutture
strutture in elevazione: muratura di mattoni e mista; cemento armato
orizzontamenti: volte laterizie; solai piani
coperture: tetti piani
buono ex Villa Salento, ex uffici OPIS, ex II padiglione uomini
medio ex I padiglione donne, ex padiglione Osservazione
cattivo ex I padiglione uomini nell’antico convento, ex II padiglione donne (in ristrutturazione), ex reparto Medicina
pessimo ex III padiglione uomini (in abbandono)
A. Mazzeo, L’assistenza psichiatrica nella provincia di Lecce prima e dopo la legge n. 180 del 13/05/1978, in «Folya Neuropsichiatrica», XXIV, 1-2, 1981, pp. 242-253
L. Sinisi, Cronaca raccontata di una istituzione psichiatrica, Capone Editore, 1994
Ospedale psichiatrico “G. Libertini”, in L. Alfonso, Gli ospedali di Lecce. Dallo Spirito Santo all’Oncologico, Edizioni Grifo, Manduria 2009, pp. 157-163
P. Pagano, E. De Pascalis, L’OPIS di Lecce: ricostruzione della sua storia e analisi del modello organizzativo. Parte prima, in «Rivista di Psicologia Clinica», n. 2, 2010, pp. 52-67
C. De Falco, Manicomio provinciale di Terra d’Otranto, Lecce, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Electa, Milano 2013, pp. 292-293; 390
Archivio di Stato di Lecce, Provincia, I Deposito, II parte
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