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III fase

Anno inizio: 
da 1950 a 1960

Nei primi anni cinquanta il direttore A. Neri riesce a realizzare un progetto di sistemazione generale, che prevede piccoli interventi di manutenzione ordinaria e il rifacimento degli intonaci nei padiglioni femminili. L’impegno economico maggiore è destinato alla conclusione dei lavori iniziati all’azienda agricola, dotata di una nuova concimaia, di una piccola stalla per i cavalli, della quale è prolungato il portico. Lavori aggiuntivi sono eseguiti per incrementare la produttività aziendale che ora può contare anche su un nuovo magazzino, stalle più comode, un locale idoneo alla stagionatura dei salumi e un ambiente da destinarsi alla macellazione degli animali. Neri pone mano anche al rifacimento del servizio cucina, predisponendo l’acquisto di nuove attrezzature moderne a gas.

Nel 1951 una commissione incaricata dalla Deputazione provinciale studia la riorganizzazione della cura psichiatrica provinciale, consigliando di ampliare la ricettività del Paolo Pini sino a 600 letti, per assorbire eventuali picchi di richiesta sanitaria; il progetto, schematicamente disegnato, riprende parzialmente anche l’ipotesi di sopraelevare alcuni edifici esistenti. Al progetto di riorganizzazione della cura psichiatrica provinciale partecipano: Antonino Berti, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, Filippo Sala, capo della Ragioneria provinciale, e gli psichiatri Vincenzo Beduschi e Romeo Vuoli.

Nel progetto i padiglioni per l’osservazione devono essere trasformati in reparti per la cura dei tranquilli. Due nuovi edifici per gli agitati, complessivamente di 10.000 mc, si collocano in prossimità degli originari padiglioni per l’osservazione. Nell’area settentrionale del complesso deve sorgere anche la nuova infermeria, con funzione anche d’isolamento per i malati infettivi. A ponente, invece, si deve costruire un nuovo edificio per ospitare il convitto delle infermiere e gli alloggi delle suore, oltre a realizzare un nuovo edificio di culto. Lungo via Ippocrate, all’estremità settentrionale del complesso architettonico, si vuole edificare la nuova camera mortuaria, dotandola di un ingresso diretto e autonomo, che faciliti il trasporto delle salme nei cimiteri provinciali. Il progetto immagina anche l’edificazione di un nuovo fabbricato per l’alloggio del direttore, dell’economo e di alcuni selezionati dirigenti, che deve sorgere su un’area da individuare nei pressi dell’ospedale.

Nel 1952 si dà inizio a una parziale attuazione del progetto e, in particolare, all’edificazione di due nuovi padiglioni di 104 letti ciascuno, correlandolo a una lenta riforma lavorativa del personale infermieristico [MI_PP_4_1_3]. Nel 1954, malgrado si collochi ancora al terzo posto nella graduatoria ricettiva delle strutture provinciali – preceduta dal manicomio di Mombello (2.650 ricoverati) e dalla Casa Salute di San Colombano (1.178 uomini) –, l’Astanteria di Affori si presenta come sede centrale dell’intero sistema provinciale della cura mentale, divenendo il principale luogo dell’attività di diagnostica, di assistenza e raccolta degli acuti, lasciando a Mombello e ad altri centri periferici il compito di assolvere la funzione di contenzione e “cura” dei cronici e subcronici.

Nel 1954 sono inaugurati il padiglione della Direzione, il reparto di ricerche clinico-diagnostiche e un nuovo reparto per i degenti. I lavori per la costruzione di altri due reparti di degenza, della Scuola-convitto per le infermiere e della nuova Casa per le suore, terminano cinque anni dopo.

L’importanza acquisita in questi anni dall’istituto Paolo Pini cresce ulteriormente con l’accordo stipulato tra la Provincia e l’Università Statale di Milano per la creazione di una cattedra di psichiatria e l’apertura di un corso di specializzazione in psichiatria affidato al professore Giuseppe Carlo Riquier, facendo nascere la prima Clinica Universitaria italiana (1958).

L’impegno per la ricerca si esprime attraverso la creazione di un vasto impianto di diagnostica terapeutica, che può contare anche sulle più moderne attrezzature, e sulla creazione di un “reparto pilota” rivolto all’analisi dei casi clinici più complessi e allo studio di nuove terapie da poter sperimentare prima del loro impiego nella prassi medica. Si sviluppano studi sull’ergoterapia e sono forniti nuovi servizi di neuro-chirurgia applicati alle psicosi. Questo processo di rinnovamento della struttura interessa inevitabilmente anche l’impianto edilizio-funzionale dell’intero complesso architettonico, che subisce numerose trasformazioni interne per potersi adattare alle nuove conoscenze mediche e ai moderni processi di cura introdotti quali, per esempio, l’organizzazione dei pazienti in piccole unità terapeutiche capaci di favorire la terapia individuale e di gruppo, facilitando l’interazione tra i pazienti e l’evoluzione della terapia occupazionale.

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