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II fase

Anno inizio: 
da 1932 a 1939
Alienisti: 

Il nuovo complesso manicomiale sorge, così, in località Raganzili, ai piedi del Monte Erice. L’appalto dei lavori viene aggiudicato, a mezzo di trattativa privata, all’impresa romana Romeo Cametti per una spesa complessiva di £ 7.805.000. I lavori iniziati nel 1931 sono completati meno di tre anni dopo. Al gennaio 1934 appaiono già costruiti i tre edifici centrali del sistema (Direzione sanitaria, Amministrazione, Servizi Generali), i nove padiglioni di degenza, di cui sei divisi tra uomini e donne, e altri edifici di servizio.

Per l’insediamento manicomiale trapanese è scelto un impianto a padiglioni indipendenti, con annessa colonia agricola [TP_4_3_3; TP_4_3_10]; ancora oggi è leggibile l’ordine simmetrico della concezione planimetrica, regolata dall’asse principale (E-O) che si sviluppa dall’ingresso tramite la Direzione (sanitaria e amministrativa) per attraversare il vasto spazio verde, geometrizzato in grandi aiuole, e finire sul fondale dei padiglioni destinati ai servizi generali, a lavanderia e centrale termica [TP_4_2_1].

Nel progetto predisposto, la cui realizzazione è mantenuta nel tempo, la sequenza delle aree libere e delle fabbriche è scandita dalla regolarità della rete viaria dimensionata sugli spazi di pertinenza secondo un uso gerarchico dei percorsi. In tale senso va interpretata la tipologia adottata dei “padiglioni distaccati”, in genere molto diffusa per i manicomi di ridotta dimensione (535 sono i ricoverati a Trapani nel 1934). Mantenendo lo schema della graduale penetrazione, adattata alla griglia d’impianto, l’ingresso alla struttura è organizzato attraverso il filtro di due distinte portinerie (uomini-donne) ubicate in piccoli edifici lungo il muro di recinzione, ai due lati della Direzione, preceduta dal tipico elemento di decoro rappresentato da una zampillante vasca circolare.

L’edificio della Direzione ha una pianta rettangolare allungata e tre ali trasversali di differente profondità, una copertura piana e un apparato stilistico di coronamento a timpano nella parte centrale della facciata principale, evidenziato da una statuaria e dallo stemma urbano, e a timpano spezzato nelle parti laterali della stessa [TP_4_2_6; TP_4_3_3]. Le due elevazioni fuori terra sono accentuate orizzontalmente da una fascia basamentale e da un marcapiano che scandisce la corrispondenza verticale delle finestrature interrompendo il rinforzo metrico degli spigoli. Nel gioco chiaroscurato degli aggetti e delle rientranze volumetriche, si percepisce la cauta intenzione di attribuire un differente valore estetico all’architettura simbolo dell’istituzione manicomiale. Ancorata agli schemi dell’architettura sociale ottocentesca, è così esaltata la filantropica attenzione pubblica per le fasce deboli della collettività.

Le due portinerie, ubicate nelle strette adiacenze dell’ingresso principale e simmetricamente opposte alla Direzione, presentano, rispetto a quelle dell’intero impianto, un’atipica copertura a padiglione e una pianta quadrangolare allungata con una distribuzione interna in quattro locali e un solo servizio [TP_4_2_5; TP_4_3_2]. Inserite nella recinzione e con un proprio ingresso autonomo simboleggiavano il primo e unico rapporto con il mondo esterno. Allo stesso modo anticipavano, nell’impaginato delle contenute facciate, la ricorrente sobrietà estetica dell’intero complesso edilizio – dalla parte basamentale in pietra agli spigoli, alla cornice di coronamento e al telaio delle finestrature –, esaltata dalla componente cromatica dell’intonaco rosato.

Il doppio controllo, soprattutto visivo, esercitato dal centro direzionale come garanzia sociale e fulcro della custodia terapeutica, in senso fisico consentiva di scandire la simmetrica impostazione per fasce parallele al lineare svolgimento dell’edificio. Dal lungo affaccio stradale (viale della Provincia) al confine dell’area manicomiale perimetrata dalla colonia agricola si distinguono tre fasce: la prima corrisponde ai padiglioni per l’osservazione e l’infermeria [TP_4_2_10], al centro, e alla chiesa e falegnameria, ai lati. Cambiando l’orientamento di 90°, generato dalla preesistenza del laboratorio di igiene e profilassi, nella seconda fascia – quella centrale – si sviluppano, in reciproca simmetria, i padiglioni intermedi del percorso terapeutico. Nella terza fascia, rispetto alla centralità degli edifici destinati ai servizi generali, a centrale termica, a lavanderia e cucina, sono presenti i reparti di degenza [TP_4_2_9; TP_4_3_4; TP_4_3_8, TP_4_3_9], divisi per pericolosità e contagio secondo la classificazione della prassi trattata; da notare che dei sei padiglioni previsti, in realtà ne sono stati costruiti solo cinque. All’estremo nord di questa fascia è il piccolo padiglione per la necroscopia [TP_4_2_2].

Il padiglione dei servizi generali, collocato in asse con la direzione, attraverso un razionale sistema distributivo articolato su una pianta quadrangolare con corte interna, garantiva lo svolgimento delle molte funzioni contenute, dislocandole nei vari locali affaccianti sulla corte interna e sui fronti perimetrali esterni [TP_4_2_8]. Nell’impaginato del suo prospetto principale, di particolare interesse è il timpano di coronamento dell’edificio, utilizzato quale fondale dell’asse visivo lungo il viale principale. Allo stesso modo la lavanderia retrostante completava la scelta progettuale di accentrare i servizi facilitando la convergenza dei collegamenti [TP_4_2_7]; articolata su due piani, con l’ampia terrazza-stenditoio, prevista su metà di quello superiore, e con la moderna cucina assicurava la convergenza distributivo-funzionale del vitto e dell’igiene in regime di autosufficienza gestionale.

Durante il periodo bellico l’ospedale psichiatrico è parzialmente requisito; inoltre, per emergenze militari, alcuni padiglioni dell’area (tranquilli, semiagitati e semiagitati pericolosi) sono trasformati per accogliere un complesso chirurgico della Croce Rossa Italiana. Come conseguenza, i ricoverati di sesso maschile sono trasferiti al Pisani di Palermo.

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