Ospedale Sant’Orsola (1721ca-1867)
Manicomio provinciale di Bologna in Imola (dal 1898)
recupero con ampliamenti
Dal 1849 al 1861 la direzione del reparto psichiatrico dell’Ospedale Sant’Orsola è affidata a Domenico Gualandi, che denuncia l’eccessivo carico di malati (248 pazienti a fronte dei 130 consentiti). Sensibile alle denunce del direttore, il Governatore delle Province dell’Emilia, L. C. Farini, con decreto del 10 marzo 1860, demanda alla Deputazione Provinciale l’istituzione del Corpo Amministrativo degli Spedali, incaricato di realizzare un Manicomio Generale per le Province dell’Emilia o di uno speciale per la provincia di Bologna. Nel 1860, con regio decreto del 22 dicembre s’istituiva al Sant’Orsola anche la Clinica universitaria per le malattie mentali, diretta da Benedetto Monti, docente nell'Università di Bologna. Questi, preso atto del degrado dei locali e dell’arretratezza del manicomio bolognese, e supportato da Francesco Rizzoli, nel 1862 commissiona all’ingegner Ignazio Gardella di Genova, un progetto per un nuovo ospedale psichiatrico. I tre avevano visitato i manicomi più all’avanguardia del tempo, ma furono impressionati dalla struttura di Bassens, cittadina della Savoia, che presero a modello per il progetto bolognese. Nella seduta del 28 aprile del 1863 il Consiglio provinciale, esaminata la proposta Gardella [BO_4_2_1; BO_4_2_2], la giudica troppo onerosa e, il 14 ottobre 1864, delibera per un progetto di solo ampliamento del Sant’Orsola, a firma dell’ingegner Neri. A questo progetto si oppone Rizzoli, ritenendolo assolutamente non funzionale. Ed è proprio in Rizzoli, figura di spicco dell’ambiente politico-sanitario bolognese, che Francesco Roncati, succeduto a Monti, trova un alleato di ferro. I due s’incontrano, si scrivono e in accordo pensano a un edificio sanitario nuovo, staccato dal Sant’Orsola. In tal senso, giunge loro provvidenziale la legge 3036 del 7 luglio 1866, che prevede – a fini di pubblica utilità – la cessione di edifici religiosi soppressi. L’occasione è propizia quando nel settembre del 1867 scoppia un’epidemia di colera e nel manicomio orsolino muore un’internata. Per evitare un contagio collettivo, il 12 settembre 1867, col benestare dell’amministrazione sanitaria, Roncati trasferisce i malati mentali nei locali del soppresso monastero di San Giovanni Battista, situato in via S. Isaia.
Nasce così, nel 1867, il primo manicomio bolognese, ubicato nei pressi dell’ultima cerchia muraria della città, utilizzando e rifunzionalizzando l’ex monastero. Quest’ultimo, risalente al XIII sec., ma restaurato e ampliato nel XVI e nel XVIII, è soppresso nel 1799 e passa al Demanio, che lo destina a usi militari e poi a ospizio; nel 1819 torna attivo con le monache di San Francesco di Sales di Modena, che aprono un educandato per fanciulle, ma nel 1865, a causa di un’epidemia di colera, l’edificio si trasforma in lazzaretto e le monache salesiane sono trasferite. Acquisito dalla Deputazione provinciale, dopo onerosi interventi di adeguamento e stante già l’occupazione dei malati psichiatrici è destinato a manicomio provinciale, attivo per oltre un secolo.
Al momento della sua trasformazione in manicomio, il monastero di San Giovanni Battista consta di un fabbricato di sobria architettura bassomedievale e dell’attigua chiesa con un artistico campanile. Il complesso sorge arretrato rispetto alla via S. Isaia e si articola attorno a quattro cortili principali [BO_4_1_3]. Di ragguardevole ampiezza (si contano più di cento locali) e disposto su due pani, il monastero si componeva dei seguenti ambienti: al piano terra, un ampio ingresso (con la grata per la monaca portinaia e la ruota grande per ricevere quello che arrivava al monastero dall’esterno e usciva dall’interno); la scala principale, sita oltre il vestibolo centrale a est del chiostro; il parlatorio con le grate, le zone di clausura (noviziato, educandato, biblioteca, sala capitolare e refettorio, a ovest del chiostro; dispensa e cucina, a sud-ovest del fabbricato). Le stanze da lavoro delle monache, la lavanderia, i bagni, i magazzini e il forno erano posti a sud; infine, all’aperto non mancavano il chiostro, l’orto e il giardino per le erbe officinali. Al piano sopraelevato, vi erano il coro e il coretto, il dormitorio con le celle delle monache, l’infermeria, i bagni, il guardaroba e altri utili ambienti alla quotidianità delle claustrali. La descrizione dettagliata di tutti gli ambienti è contenuta nell’Inventario redatto nel 1865, al momento del passaggio dell’immobile al Demanio, che ne ipotizzava l’uso a caserma dei Carabinieri. Destinato a manicomio provinciale, le successive modifiche e l’aggiunta di altri corpi muteranno solo in parte l’originaria metrica architettonico-stilistica dell’antico complesso monastico.
I fase: 1868-1883 [BO_4_1_5]
architetti/ingegneri: Domenico Giuseppe Toldi, Adriano Panighi, Stefano Brunelli, Alfredo Santini, Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Francesco Roncati
Già nel 1862, Benedetto Monti, docente di Clinica delle malattie mentali del Sant’Orsola, e Francesco Rizzoli avevano commissionato all’ingegner Ignazio Gardella un progetto per il nuovo manicomio di Bologna. Nella seduta del 28 aprile del 1863, tuttavia, il Consiglio provinciale aveva respinto il progetto Gardella per le esose spese di realizzazione (oltre due milioni di lire), tanto che Monti aveva presentato le proprie dimissioni; gli succede Francesco Roncati (1864-1905), che sarà il protagonista indiscusso delle vicende del manicomio bolognese. Passati cinque anni, la Deputazione provinciale non può più differire la soluzione al problema dei malati psichiatrici. Il percorso si era aperto già sul finire del 1866, con una lettera di Roncati al Consiglio amministrativo del Sant’Orsola, perché si avanzasse alla Provincia la richiesta di trasferire i malati psichiatrici nei locali dell’antico monastero di via Sant’Isaia. In risposta, la Deputazione provinciale si era appellata alla L. 3036 del 7 luglio 1866 e aveva chiesto al Governo la cessione di uno degli edifici religiosi soppressi e incamerati dal Demanio. La richiesta è soddisfatta per la reale urgenza certificata e per l’arrivo di un’epidemia di colera.
Infatti, nell’ex monastero di via Sant’Isaia, la sera del 12 settembre del 1867 arrivano i primi malati del reparto psichiatrico del Sant’Orsola. Da parte sua, Roncati aveva già esaminato il monastero, trovandolo funzionale al suo progetto; così, nel maggio del 1868, la Deputazione provinciale dà mandato al suo Ufficio tecnico, con a capo l’ingegnere Domenico Giuseppe Toldi, di redigere il progetto definitivo dei lavori, utili a trasformare il monastero in ospedale; anche se già il 1° aprile 1868, l’Ufficio tecnico, su indicazione di Roncati, aveva presentato un progetto di massima dei lavori da farsi. Il progetto definitivo [BO_4_2_3], posto all’esame della Deputazione provinciale, è approvato il 13 ottobre 1868. Si avviano così i lavori, che dureranno circa due anni [BO_4_2_4; BO_4_2_5], per poi proseguire fino al 1883 con la ristrutturazione, adeguamento e ampliamento dell’ex convento. Sono attuati lavori di sopraelevazione di un piano in alcuni settori, adibiti a locali di degenza, e realizzate numerose micro trasformazioni interne, perlopiù per adeguare i vecchi locali alle nuove funzioni; purtroppo devastanti distruzioni avvengono nella zona dell’ex cucina e soprattutto nella chiesa di San Giovanni Battista, dove sono demolite le grandi arcate e le volte a mattoni, per ottenere tre piani di dormitori.
I tecnici e le maestranze operano sotto la guida di Roncati, cui è affiancato l’ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, che farà di quell’edificio uno dei più moderni manicomi dell’Italia postunitaria. Costante è la sua opera di supervisore e spesso indirizza le scelte del progettista e la mano delle maestranze poiché, secondo il suo pensiero, il manicomio deve qualificarsi come un “luogo” la cui facies deve poggiare su una diversa e più complessa concezione degli spazi architettonici, rispetto a quelli di un altro nosocomio. Bisognava realizzare una struttura abilitata a rieducare i malati, alla comunicazione, alle relazioni sociali, al lavoro e al ritrovare un’identità equilibrata. Nelle sue relazioni tecniche rimarca la necessità di refettori e di sale comuni accoglienti, di ampi dormitori e laboratori per la terapia occupazionale con arredi e corredi per quanto possibile adeguati nella forma e nel colore, che siano di sussidio e di protesi alle cure per il ritorno alla normalità, tutelando l’incolumità anche dei malati pericolosi. Idee che farà poi confluire nel suo scritto del 1891, Ragioni e modi di costruzione ed ordinamento del Manicomio Provinciale di Bologna, una vera e propria metodologia e prassi per l’erezione dei manicomi.
Nel dettaglio, l’esemplare progetto del 1868 restituisce anche i disegni delle diverse tipologie d’impianti tecnologici, tutti all’avanguardia, da realizzarsi nei locali destinati a cucina, bagni, docce, oltre agli impianti di illuminazione e di riscaldamento (caloriferi) e quello idraulico per la conduzione dell’acqua calda e fredda.
Del 24 luglio 1877 è un altro progetto che prevede nuovi lavori di adeguamento all’interno dell’articolato fabbricato edilizio, che inizia a estendersi, aggregando nel 1879 prima tre modesti fabbricati vicini e, l’anno dopo, le rimanenti cinque casette di via Sana [BO_4_2_6]. Del 1880 è il progetto di un condotto fognario, da aprirsi lungo la via Sana per lo smaltimento dei rifiuti provenienti dalle casette acquisite dal manicomio.
II fase: 1884-1905 [BO_4_1_5]
architetti/ingegneri: G. Bernardoni, Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Francesco Roncati
Stante l’aumento dei ricoverati e quindi la necessità di realizzare un nuovo corpo di fabbrica, nel 1883 dalla direzione del manicomio si avanza la proposta di acquisto della proprietà Belvederi, sita su via Frassinago, e la stessa richiede che sia costruito un nuovo corpo di fabbrica che corra per tutta la lunghezza del lato est del grande cortile, appoggiandosi al muro di cinta esistente.
Il progetto, redatto dall’ingegnere capo della Provincia, G. Bernardoni, è presentato l’11 maggio 1894 [BO_4_2_7; BO_4_2_8]. Al piano terra, si prevedono otto nuove stanze per “malati furiosi” e una sala comune. Ai piani superiori, per un accesso più praticabile, si aggiunge una scala a ovest di quella già esistente e si adeguano alcuni locali da adibire a nuove funzioni, come infermerie e dormitori. Nelle adiacenze del muro di cinta, deve smantellarsi parte del magazzino dell’ospedale, per far posto a locali nuovi, destinati a dormitori e bagni; nella realizzazione, questi ultimi devono essere conformi al “sistema Oppi”, rispondente alle esigenze del servizio interno dell’Istituto.
Sempre del 1894, è il progetto di ampliamento e di restyling dell’ingresso principale al manicomio in via Sant’Isaia n. 90 [BO_4_2_9]. A tal fine, si richiede una parziale demolizione del fabbricato posto sull’androne, per innestare due archi a tutto sesto: uno all’ingresso, l’altro al termine dell’androne stesso. Intanto, nella parte interna, s’ispessiscono i muri laterali perimetrali perché siano paralleli fra loro; sono tamponati i vani in essi praticati e i restanti sono disposti simmetricamente e ornati di stipiti. Sul fronte anteriore, quello prospiciente la via pubblica, si colloca un cancello di ferro a due ante, alto tre metri e munito di portello; l’altro ingresso è chiuso da serramenti in ferro e dotato di un portello. Seguono, nei due anni successivi, la ricostruzione del terrazzo, collocato sui locali dell’infermeria femminile (1895) e la realizzazione dell’impianto fognante e dei bagni nella “sezione donne sudice”(1896).
Il 26 maggio 1897, si redige un aggiuntivo progetto di ampliamento, destinato a un braccio di fabbricato sopraelevato, da adibirsi a dormitorio femminile. Sono già trascorsi trent’anni dall’arrivo dei malati mentali in via S. Isaia, ma il manicomio è ancora insufficiente a contenere le esuberanti richieste di ricovero, tanto che un gruppo di degenti sono trasferiti presso la struttura di Imola. Ai primi del Novecento, l’esubero dei degenti rende critica la situazione e Roncati chiede di annettere al manicomio alcuni terreni incolti e una serie di abitazioni private, ubicate in via Sana. Il problema degli spazi non trova adeguate soluzioni e si dà inizio a un nuovo trasferimento di malati nella struttura psichiatrica di Imola, dove la Provincia di Bologna, dal 1898, aveva acquistato l’edificio del manicomio Centrale, contiguo all’Ospedale della Scaletta.
III fase: 1906-1918 [BO_4_1_5]
architetti/ingegneri: Emilio Boselli, Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Giuseppe Peli, Raffaele Brugia
Nel 1906, morto Roncati, la cui direzione era durata quasi quattro decenni, gli succede Giuseppe Peli e poi, nel 1908, Raffaele Brugia. Alla data, la struttura manicomiale ha raggiunto l’assetto architettonico definitivo così come voluto dallo stesso Roncati ed è proprio a lui, suo fondatore, che il Consiglio provinciale decide di intitolare il manicomio che, nel 1916, modifica la propria denominazione in Ospedale provinciale Francesco Roncati in Bologna per infermi di mente.
Nel 1908, l’ingegnere capo della Provincia, Emilio Boselli, sotto la direzione Brugia, redige un progetto di ampliamento del manicomio, in cui è prevista anche la costruzione della nuova Clinica universitaria per malattie nervose [BO_4_2_10]. Il progetto prevede la sistemazione delle casette di via Sana e della parte nord su via della Rondine e la realizzazione di due padiglioni destinati ai nuovi reparti maschili e femminili; inoltre, programma di estendere l’area di pertinenza del complesso fino a Porta Saragozza. Il cantiere si apre nel 1909 con la bonifica di via Sana e delle case ivi ubicate. I lavori, tuttavia, sono sospesi e nella seduta del Consiglio provinciale del 28 dicembre 1915 si prospettano due nuove possibili soluzioni: l’acquisto di un terreno tra Bologna e Casalecchio, idoneo alla costruzione di un nuovo manicomio, e l’ampliamento di quello imolese, con funzione di sezione distaccata della sede bolognese. Tra il 1915 e il 1918, pur essendo gli anni critici della Grande Guerra, la Provincia decide di costruire i due nuovi padiglioni previsti nel progetto Brugia; abbattute le case in via Sana, si libera il terreno incolto contiguo alle vecchie mura urbane per erigere i due fabbricati a uso dell’ospedale destinati a osservatorio e astanteria, uomini e donne, sistemati fra Porta Saragozza e i viali di Circonvallazione [BO_4_3_5; BO_4_3_6]. Dopo il 1917 si erige il muro di cinta, con il portale centrale quale ingresso sia all’ospedale sia alla prevista Clinica per le malattie nervose e mentali; già dal 1911, infatti, l’Amministrazione provinciale, su committenza della Regia Università di Bologna, aveva appaltato i lavori della clinica, ma l’avvento della Grande Guerra ne aveva momentaneamente arrestato il cantiere.
IV fase: 1919-2012 [BO_4_1_5]
architetti/ingegneri: Emilio Boselli, Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Raffaele Brugia, Giulio Cesare Ferrari, Giuseppe Pellacani, Arturo Donaggio, Andrea Mari, Gian Filippo Oggioni, Spartaco Colombati, Guido Mengoli, Ferruccio Giacanelli
Dopo l’interruzione bellica, nel 1923, si affronta nuovamente la questione che riguarda la costruzione della nuova Clinica per le malattie nervose e mentali dell’Università di Bologna che poi, istituita nel 1930 da Carlo Ceni, è realizzata su progetto di Emilio Boselli, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, e aperta nel 1934 [BO_4_2_11; BO_4_2_12; BO_4_3_4]. Il sistema edilizio che la ospita è funzionalmente organizzato in quattro edifici, sviluppati su due piani; attorno al corpo centrale – che fronteggia il lato sud dell’area ed è adibito sia a uffici sanitari e amministrativi sia ad aula per le lezioni universitarie, oltre a contenere gli ambulatori e le sale di fisio-elettro-terapia –, e a questo paralleli, si articolano gli altri tre edifici della clinica. Nel frattempo, dal 1926, la struttura aveva assunto la denominazione di Ospedale psichiatrico provinciale Francesco Roncati in Bologna, rimanendo tale fino alla chiusura dell’istituto. Alla fine degli anni trenta l’insieme degli edifici appartenenti all’ospedale psichiatrico si presenta come un sistema dall’impianto misto (edificio monoblocco articolato intorno alle corti e padiglioni indipendenti), sviluppato in gran parte su due piani e dalla sobria veste architettonica, estranea a quelle finiture e ornamenti propri del gusto di tradizione locale.
Dal 1935 al 1943 nell’ospedale psichiatrico bolognese non si registrano modifiche di notevole interesse nell’assetto della struttura generale, mentre dal 1943 al 1945, a causa dei bombardamenti su Bologna, molti pazienti sono trasferiti a Imola.
Dal 1957, l’Ospedale provinciale Francesco Roncati si qualifica nel territorio con l’offerta di un “reparto aperto”, utile per quei malati sottoposti a controllo, ma non più soggetti a ricovero stabile. Degna di nota, alla fine degli anni cinquanta, è la costruzione dell’edificio dei laboratori scientifici e della portineria, posto tra i due padiglioni, maschile e femminile, a ovest del complesso [BO_4_2_13]; negli anni settanta si realizzano anche alcune sopraelevazioni ma, come si evince da una planimetria di poco anteriore, l’ospedale non ha subito sensibili mutamenti nell’impianto [BO_4_2_14], così come nella sua facies architettonica.
Nel 1980, ai sensi della legge 13 maggio 1978 n. 180, l’Ospedale psichiatrico provinciale chiude e nei suoi locali si apre un servizio di Igiene mentale, accompagnato a un Poliambulatorio, gestito dall’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 27 di Bologna (ora Aziende UU.SS.LL.), tuttora attivo [BO_4_3_1; BO_4_3_2; BO_4_3_3]. Negli anni successivi a tale data, le ultime modifiche apportate all’intero complesso riguardano perlopiù l’adeguamento dei locali dell’ex ospedale alle nuove funzioni [BO_4_1_4]. Dal 1983 al 2006 alcuni locali hanno ospitato l’Archivio storico provinciale, mentre, al suo interno hanno trovato sede sia il Centro di Studio e Documentazione di Storia della psichiatria e dell’emarginazione sociale Gian Franco Minguzzi – che ha ricevuto in dotazione l’Archivio sanitario e amministrativo dell’ospedale – sia un polo formativo per giovani in difficoltà, prima denominato Spazio Giovani Unico Cittadini e adibito anche a Polo Multifunzionale per le Disabilità.
impianto
blocco articolato disimpegnato da corti, padiglioni indipendenti e padiglioni collegati
corpi edilizi
Sistema ospedaliero articolato in parti: corpo di fabbrica principale a due/tre piani con diverse ali organizzate attorno a più corti; padiglioni indipendenti a due piani (osservazione e accettazione), con interposto blocco edilizio (portineria e laboratori scientifici); corpo di fabbrica a padiglioni disposti in parallelo collegati da gallerie e padiglione indipendente (clinica per malattie nervose e mentali)
strutture
strutture in elevazione: muratura continua, ferro, cemento armato
orizzontamenti: solai piani e voltati
coperture: a doppia falda e a padiglione con rivestimento in coppi
buono: padiglioni di osservazione e accettazione, portineria, clinica psichiatrica
medio: ingresso e edificio principale del complesso ospedaliero (ex monastero)
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Progetto per l’ampliamento e la sistemazione del manicomio Francesco Roncati presentato dalla Deputazione Provinciale al Consiglio nella sessione straordinaria 1908, Marlati, Bologna 1908
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Archivio Storico della Provincia di Bologna, Archivio generale; Ufficio Tecnico
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