Manicomio di San Servolo di Venezia
Ospedale civile di Udine
Manicomio femminile sussidiario a Lovaria
Manicomio e Azienda agricola di San Daniele
Manicomio e Azienda agricola di Palmanova
Colonia agricola di Sottoselva
San Daniele nel Friuli (succursale maschile)
Sacile (succursale maschile)
Gemona del Friuli (succursale femminile) dipendente dall’Ospedale di Udine
Reana del Rojale (succursale femminile) dipendente dall’Ospedale di Ribis
Sottoselva (succursale femminile) dipendente dall’Ospedale di Palmanova
nuovo impianto
A seguito della legge del 1865 che affidava la responsabilità dei malati di mente alle province, l’amministrazione territoriale di Udine decide di incaricare l’Ospedale civile di Udine e il Manicomio di San Servolo a Venezia per le cure sanitarie psichiatriche. All’ospedale urbano spettano le prime cure, i ricoveri temporanei e gli accertamenti, mentre la laguna deva accogliere i pazienti acuti e “da internamento”. Per Udine è una prassi già consolidata poiché già nei decenni precedenti, sotto il dominio della Repubblica Veneziana e del Governo austriaco, i malati più gravi venivano inviati a Venezia. Inoltre, dal 1852, in territorio veneto si era costituito il Fondo Territoriale, ente morale fondato con lo scopo di gestire alcuni servizi locali (ad esempio il catasto e la gendarmeria) e di soccorrere le classe più bisognose della società, tra le quali i ciechi e i malati di mente. Per questa ragione solo dal 1868 la Provincia si fa carico direttamente delle spese per la cura dei “folli”, esprimendo però le proprie perplessità per gli alti costi.
Due anni dopo la Provincia fonda il Manicomio femminile sussidiario a Lovaria, ponendolo sotto la dipendenza dell’Ospedale Civile, al quale inviare le donne con patologie lievi o curabili.
Con la diffusione endemica della pellagra nel 1872, la situazione di queste tre strutture diviene insostenibile; la Provincia promuove allora un serio confronto, istituzionale e sociale, al fine di far comprendere la reale entità del problema e l’opportunità di creare un unico grande centro per la cura mentale. Accantonata questa ipotesi dopo un lungo e acceso dibattito, nel 1874 la deputazione provinciale decide di creare una rete di piccole strutture disseminate sul territorio. Si decreta, dunque, la costruzione delle succursali manicomiali, con aziende agricole, a San Daniele (per 50 pazienti) e a Palmanova (per 30 degenti), alle quali ben presto si aggiunge quella di Sottoselva. Il nuovo sistema per la cura dei malati di mente e dei pellagrosi è fortemente influenzato dall’impostazione scientifico-sanitaria del medico Andrea Perusini (direttore dell’Ospedale civile) e trova sostegno nelle istituzioni pubbliche e caritatevoli locali, che s’impegnano economicamente per i malati che rimangono nelle proprie famiglie. Già dagli anni settanta, quindi, sotto la direzione Perusini si sperimenta il nuovo impianto basato sull’articolazione di presidi con specifiche funzioni: l’ospedale urbano per la prima accoglienza; l’assistenza dei pazienti bisognosi di vigilanza speciale; la gestione dei degenti giudicati guaribili; sedi succursali per la degenza prolungata o cronica (distaccamenti territoriali); collocamenti domiciliari, con sussidi, per i pazienti convalescenti, malati tranquilli, cronici innocui. Riconoscimenti ufficiali per questo modello sono espressi dalla Società Italiana d’Igiene e da altre istituzioni nazionali, ragione di importanti premi ai singoli distaccamenti. L’intero sistema, che s’ispira al “no restraint” e porta alla valorizzazione di momenti comunitari, mira a trattare i ricoverati con la maggiore dolcezza possibile secondo la visione del medico Celotti, per il quale i pazienti dovevano sentirsi “non già come fra estranei, ma fra amici e benvoluti come e meglio, dei loro familiari”.
Le interconnessioni tra le differenti strutture, tuttavia, non consentono piena autonoma alla Provincia, che deva rivolgersi a Venezia per la cura dei casi più gravi. Nonostante la collaudata collaborazione tra enti, sul finire del XIX secolo il modello va in crisi, anche in ragione del numero dei pellagrosi, che supera le altre tipologie di ricoverati con gravi conseguenze per la mescolanza dei malati, e per gli alti costi gestionali; fatti che inducono l’amministrazione a edificare un nuovo manicomio.
I fase: 1898-1906
architetti/ingegneri: Gian Battista Cantarutti (ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, progetto di massima)
alienisti/psichiatri: Giuseppe Antonini (direttore del Manicomio di Pavia e, dal 1903, direttore del Manicomio di Udine, progetto di massima)
Alla decisione di erigere una nuova struttura manicomiale centrale si giunge dopo un acceso dibattito, nel quale interviene anche un’apposita commissione che individua nel Brefotrofio provinciale l’edificio idoneo per essere ampliato e adattato al nuovo uso. Scartata quest’ipotesi è progettata una prima struttura manicomiale della capacità di 286 pazienti, caratterizzata da padiglioni sparsi su una superficie verde di 50 “campi friulani” (oltre 175.000 mq), successivamente portata a 90 (315.526 mq).
Scartata anche questa ipotesi, l’idea progettuale di massima per un nuovo manicomio è studiata dall’avvocato Ignazio Reiner (personalità di spicco della società udinese oltre che Presidente della Deputazione provinciale) insieme a Papinio Pennato e a Giuseppe Antonini, già direttore del manicomio di Pavia. Nella seduta del 16 dicembre 1901 del Consiglio provinciale essi propongono la realizzazione di una cittadella della salute mentale, della capacità di 360 pazienti, proposta poi trasformata in progetto esecutivo dall’Ufficio tecnico provinciale, a firma dell’ingegnere capo Gian Battista Cantarutti.
Datato 14 aprile 1902, è planimetricamente molto semplice; si basa sulla distribuzione su un’imponente area quadrangolare, secondo precise regole geometrico-distributive, di 17 padiglioni isolati [UD_4_2_1]. L’impianto risente di un’impostazione rigidamente simmetrica, con la spina dei servizi [UD_4_2_6; UD_4_2_7; UD_4_2_8; UD_4_2_9; UD_4_2_14; UD_4_2_15] quale elemento portante, che funge anche da asse di separazione tra sezione femminile (a destra) e maschile (a sinistra). Ispirato a modelli già introdotti in altri manicomi (Bergamo), esso presenta tre macro aree funzionali, separate da ampi viali alberati e spazi verdi, frammisti ad aree a specifica funzionalità medico-sanitaria, la cui sequenza coincide con i differenti stadi della malattia: tranquilli [UD_4_2_4; UD_4_2_5], furiosi [UD_4_2_10; UD_4_2_11] e dozzinanti [UD_4_2_12; UD_4_2_13]. Il progetto prevede anche una spina alberata ortogonale a quella principale, ai margini della quale sono collocati due accessi secondari. Si evidenziava pertanto un impianto cruciforme irregolare che delimita le quattro aree destinate alla cura [UD_4_2_2].
Al manicomio si giunge attraverso una strada carrabile, collocata a nord-ovest, grazie alla quale la struttura manicomiale, immersa nel verde, risulta quasi occultata alla vista delle persone dirette in città.
Per decisione dell’Antonini è il primo manicomio italiano a essere privo di alte mura perimetrali di contenimento, sostituite da una cancellata continua [UD_4_2_3], il cui già scarso impatto percettivo è ulteriormente affievolito dalla presenza in posizione avanzata di alberi ad alto fusto. Analoga soluzione è adottata per suddividere tra loro i singoli padiglioni, separati da piccoli muriccioli basamentali, cancellate “uso villa” e “leggere reti metalliche”: elemento enfatizzato all’epoca ma già impiegato da altri alienisti. L’Ospedale psichiatrico di Udine, quindi, nelle suddivisioni interne reinterpreta in chiave unitaria le soluzioni già parzialmente adottate in altre analoghe strutture (Reggio Emilia e Ancona). La scelta di eliminare una muratura perimetrale compatta comporta numerosi problemi alla direzione del manicomio udinese, inaugurato nel 1904, poiché nei primi anni si verificano fughe di pazienti, di criminali prosciolti per infermità mentale o di pazienti accusati di crimini e sottoposti a preliminare periodo di osservazione peritale.
II fase: 1906-1910
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale (progetto di completamento)
alienisti/psichiatri: Giuseppe Antonini (progetto di completamento)
Poco dopo l'inaugurazione, l'amministrazione provinciale decreta un primo ampliamento realizzando, nella parte meridionale del complesso, un'ampia colonia agricola attorno a un padiglione a due piani, capace di ospitare 80 pazienti tranquilli, e ad alcuni fabbricati rurali. La scelta del sito della colonia è determinata dal perimetro del complesso, che vincola la posizione dei nuovi fabbricati in asse con la sezione maschile, con conseguente collocazione intermedia degli appezzamenti coltivabili.
La Provincia decide di edificare anche due nuovi padiglioni per l’osservazione degli uomini e per la cura dei malati infettivi, entrambi a un piano fuori terra, con capacità ricettiva di 25 pazienti ciascuno.
A conclusione di questo primo ciclo edilizio il manicomio aveva portato la propria capacità ricettiva a 490 pazienti dai 360 iniziali.
Nel 1909 è elaborato un nuovo progetto di ampliamento, fortemente voluto da Giuseppe Antonini per aumentare ancora la capacità ricettiva dei posti letto fino ad ospitare 560 pazienti. Si completa così il primo programma di opere minori per l'ammodernamento della struttura, basato sull'implementazione dell'ergoterapia, sulla cura del verde e dei giardini interni, sul potenziamento dei laboratori di artigianato [UD_4_3_1], sulla realizzazione di un panificio interno e sullo sfruttamento energetico del limitrofo canale Elettra.
III fase: 1911-1920
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale (progetto di completamento)
alienisti/psichiatri: G. Volpi Ghirardini (progetto di completamento)
Divenuto nel 1911 nuovo direttore del manicomio, Volpi Ghirardini ne vuole un aggiuntivo ampliamento funzionale attraverso un primo modesto rinnovamento edilizio, finalizzato a migliorare la vita dei pazienti e a incrementare la ricerca scientifica: fa subito edificare due piccoli fabbricati, destinati ad accogliere alcuni laboratori medico-scientifici e un nuovo guardaroba [UD_4_3_2]. Sopravviene una lunga pausa, determinata dallo scoppio della Grande Guerra e dalla conseguente crisi economica. Durante la guerra, inoltre, il manicomio è occupato dall'esercito austriaco, che lo trasforma in Kuttenberg Reserve Spital (ospedale militare di riserva), con conseguente allontanamento e smistamento dei pazienti nelle succursali. Un incendio, causato dallo scoppio del limitrofo deposito di munizioni dell’esercito italiano avvenuto il 27 agosto 1917, danneggia alcuni edifici, obbligando a elaborare nuovi interventi edilizi negli anni seguenti.
IV fase: 1921-1945
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale (progetto di ampliamento)
alienisti/psichiatri: G. Volpi Ghirardini (progetto di ampliamento)
A seguito degli effetti della Grande Guerra, Volpi Ghirardini è costretto a effettuare una serie di riparazioni ai padiglioni, restituiti alla sanità pubblica. S’impegna nella sistemazione interna di alcuni di essi, migliorando basilari servizi ed evidenziando, al contempo, la necessità di intervenire con un serio progetto di sistemazione complessivo. La Provincia affida il compito di redigere un piano di recupero di alcuni ambienti al proprio ufficio tecnico, che nel 1916 propone anche l’ampliamento del padiglione dei servizi generali e della piccola centrale elettrica a forza idraulica.
Negli anni trenta si ha un incremento ricettivo, segnalato dalla costruzione di un nuovo padiglione, per l'osservazione e l'accettazione delle donne [UD_4_3_3], e dalla sistemazione di un edificio rustico di proprietà provinciale, situato nelle immediate vicinanze del quadrilatero manicomiale, destinato all’accoglienza dei bambini “frenastenici ineducabili”.
Negli stessi anni è ampliata anche la colonia agricola, sempre più importante per la cura e l'utilizzo dei pazienti come forza lavoro [UD_4_3_4; UD_4_3_5], mentre nel periodo immediatamente precedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è nuovamente ampliato in padiglione dei Servizi Centrali; l’area verde interna al parco è invece reimpiegata per la realizzazione di campi ricreativi [UD_4_3_6].
V fase: 1945-1959
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale (progetto di riordino e di ampliamento)
alienisti/psichiatri: C. Bellavitis (già direttore del Manicomio di Gorizia e Direttore del Manicomio di Udine dal 1945; progetto di riordino e di ampliamento)
A causa degli eventi bellici s’impone un nuovo ciclo di risistemazione degli ambienti e di potenziamento delle strutture esistenti. Nel 1945 si decide, ad esempio, di ampliare i laboratori, anche per la necessità di non licenziare gli infermieri, assunti durante il periodo bellico per far fronte alla partenza del personale maschile chiamato alle armi. A questo periodo risale l'introduzione di nuovi macchinari nei laboratori artigianali e la realizzazione di una nuova tipografia-legatoria, che negli anni successivi stipulerà interessanti contratti con l’amministrazione provinciale. Sono poi risistemati 14 padiglioni in accentuato stato di degrado, con coperture giudicate "prossime a crollare".
Un fervore edilizio investe dunque tutto il manicomio che, nel 1954, presenta un solo padiglione sul quale non si era ancora intervenuti: quello dell’infermeria e del ricovero delle donne tranquille [UD_4_3_7]. Tale rinnovamento diviene occasione per adeguare tutto il complesso alle nuove prescrizioni della scienza psichiatrica, che impone il miglioramento dei servizi e l’eliminazione delle murature che circondano i due padiglioni per l’isolamento degli agitati [UD_4_3_8; UD_4_3_9; UD_4_3_10] e delle reti metalliche giudicate ormai obsolete.
Dalla fine della guerra è sottoposto a verifica tutto il patrimonio edilizio manicomiale, che comporta il controllo dei valori cromatici e la proposta di tinte più confortevoli per i ricoverati, con tonalità calde e chiare, talvolta scelte a imitazione di materiali pregevoli e duraturi quali il marmo.
Sono inoltre sopralzati alcuni padiglioni (infettive donne e infettivi uomini), un nuovo progetto è redatto per sistemare e ampliare la lavanderia. S’interviene anche con un rinnovamento generalizzato dell'attrezzatura medico-sanitaria, si realizzano un nuovo gabinetto radiologico e un ambiente per la psico-chirurgia. Poiché il laboratorio radiologico avvia una ricerca estesa a tutti i pazienti ricoverati per la prevenzione tubercolare, diviene evidente la necessità di strutture dedicate al ricovero degli infettivi, con conseguente riattivazione degli interventi di modifica architettonica.
Negli anni quaranta, Bellavitis riattiva anche l'esperienza del “teatro all'aperto”, voluta da Pantalone, e del "teatro pilota", voluto da Antonini all'interno del padiglione delle donne paganti.
VI fase: 1960-1970
architetti/ingegneri: Gianni Rinoldi e Pietro Treu (progetto di riordino e ampliamento)
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, la Provincia ritiene opportuno adeguare il manicomio alle nuove istanze della scienza psichiatrica e della società. Sebbene il complesso di Udine fosse considerato tra le più moderne strutture pubbliche per la cura delle malattie mentali e, fin dalla sua apertura, si fosse cercato di mitigarvi il senso di reclusione nei pazienti, alla Provincia parve indispensabile migliorare ulteriormente il comfort e il benessere psicologico dei pazienti. Sono allora chiamati gli ingegneri Rinoldi e Treu, affinché studiassero un progetto di massima per la sistemazione generale dell'ospedale psichiatrico. Essi impongono alti standard progettuali, legati: al numero massimo di pazienti da inserire in ogni padiglione; alla superficie minima necessaria per ogni paziente negli ambienti diurni e notturni; all’assenza di barriere architettoniche nei servizi igienici; al numero adeguato di toilettes per i degenti (1 latrina ogni 10 letti, un bagno ogni 25 letti); al numero massimo di letti per camera. Sono inoltre studiati gli arredi interni e proposti piccoli tavoli da pranzo con eliminazione delle grandi tavolate, il rifacimento completo degli impianti elettrici, di riscaldamento e di smaltimento dei liquami. Il complesso piano d’intervento comprende anche la razionalizzazione dei padiglioni con numerosi cambiamenti di destinazione d’uso, però solo in parte realizzato.
Dal 1960 l'amministrazione decide di istituire, in fase sperimentale, una casa di cura chiamata "reparto aperto", per accogliere persone di entrambi i sessi con malattie nervose, che trova sede all'interno del padiglione 1 dell'ospedale psichiatrico, rammodernato nel periodo postbellico. Dopo due anni di sperimentazione i risultati sono assai incoraggianti, tanto che la direzione decide di costruire un nuovo autonomo padiglione all'esterno dello storico recinto manicomiale. Direzione sanitaria e Provincia, infatti, non vogliono che i ricoverati avvertano la sensazione di entrare in un ospedale psichiatrico anziché venire assistiti in una casa di cura. Il nuovo padiglione è costruito nell'area nord-orientale della proprietà manicomiale, più precisamente nelle adiacenze del viale d'ingresso all'ospedale. La posizione garantiva la vicinanza alla struttura sanatoriale, assicurando, al contempo, la possibilità di un ingresso indipendente. Una nuova struttura è invece costruita nei pressi del padiglione 12 per accogliere le donne afflitte da malattie infettive.
Ai primi anni sessanta risale anche lo studio per un nuovo teatro, con palcoscenico, ampio schermo cinematografico e alcuni locali di servizio; progetto più volte rimaneggiato prima della sua costruzione, nel 1968, insieme a volumi di servizi e a un “moderno centro sociale”, dotato di sale per il ritrovo dei pazienti, un locale destinato all'assistente sociale e una piccola biblioteca con annessa sala di lettura. Complessivamente il nosocomio diviene capace di ospitare sino a 480 persone.
VII fase: 1971-1978
architetti/ingegneri: Divisione Tecnica della Provincia di Udine (progetto di parziale ricostruzione )
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Negli anni settanta si continua la realizzazione del progetto predisposto nel decennio precedente, nel quale per alcune istanze legate ai mutamenti della psichiatria, si introducono trasformazioni e adeguamenti ulteriori. Si rende necessario un modesto intervento di adeguamento strutturale e di ricostruzione alla ciminiera, danneggiata dal grave sisma del 1976.
VIII fase: 1979-2012
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Gli anni della deistituzionalizzazione sono particolarmente critici per l’edilizia manicomiale di Udine: malgrado la direzione locale avesse instaurato rapporti di interscambio con molteplici strutture analoghe (Trieste, Gorizia, Treviso), non si limita in questo frangente con le loro decisioni e non attiva reale operatività sino alla metà degli anni novanta. Per risolvere il problema della gestione degli ammalati e del riutilizzo delle architetture, la Regione Friuli Venezia Giulia predispone una delibera di “superamento” dell’ospedale psichiatrico connotandolo come residenza sanitaria, ma senza predisporre un vero piano di trasformazione.
A seguito degli interventi legislativi del 1996, invece, Udine e la succursale di Sottoselva divengono oggetto di una sperimentazione significativa, promossa dall’Azienda per i Servizi Sanitari, finalizzata alla riconversione della spesa per l’assistenza sanitaria residenziale in progetti di salute personalizzati. Parallelamente è avviato un processo di riqualificazione architettonica, paesaggistica e botanica e di valorizzazione delle cooperative sociali, situate anche all’interno delle strutture ex-manicomiali. Nel 2006, infatti, l’architetto Massimo Asquini redige un’Agenda per il recupero e la valorizzazione giardinistico paesaggistica del sito dell’ex ospedale psichiatrico provinciale.
impianto
a padiglioni indipendenti, con ampie zone destinate a verde
corpi edilizi
edifici a pianta rettangolare; edifici a pianta quadrata; edifici a pianta a U; edifici a pianta a T; edifici a pianta a L; edifici a pianta quadrangolare; edifici a pianta mistilinea. Strutture con uno o due piani fuori terra (alcune con sottotetto e piano interrato)
strutture
strutture in elevazione: murature portanti tradizionali; strutture in cemento armato con murature di tamponamento; colonne in ghisa
orizzontamenti: capriate lignee; voltini in muratura; solette in cemento amato e laterizi; voltini in latero cemento e putrelle in ferro
coperture: tetto a falde inclinate; copertura piana; copertura a volta con strutture in cemento armato e rivestimento in eternit
ottimo: padiglione 1; padiglione 2; padiglione 26
buono: cappella; Clinica Aperta; padiglione 18; padiglione 23; padiglione direzione
medio: padiglione medio; padiglione uomini
cattivo: padiglioni 5; padiglione 24; padiglione 32; padiglione 20
pessimo: cappella mortuaria; casa del direttore; padiglione 3, padiglione 7; padiglione 8; padiglione 9; padiglione 10; padiglione donne; guardaroba e sartoria; rustico; padiglione agitate
rovina: padiglione 15
Ville di salute annesse al manicomio provinciale di Udine, Tipografia Marco Bardusco, Udine 1904
G. Antonini, La vita di un Manicomio moderno, Tipografia Camaschiella & Zanfa, Varallo 1906
G. Volpi Ghirardini, Note sull'assistenza psichiatrica in Friuli (1905-1930), in "Atti dell'Accademia di scienze lettere ed arti di Udine", V, vol. XII, 1932-1933
L'ospedale psichiatrico provinciale di Udine nei suoi primi cinquant'anni di vita. 1904-1954, Arti grafiche friulane, Udine 1954
Udine. Ospedale psichiatrico provinciale, a cura di A. Forcella, B. Magnino, S. Mancino, Scuole grafiche Artigianelli pavoniani, Milano 1971
A. Cassina, G. Geppini, Un’esperienza di no-restraint: l’Ospedale Psichiatrico di Udine agli inizi del Novecento, in A. De Bernardi, Follia, psichiatria e società. Istituzioni manicomiali, scienza psichiatrica e classi sociali nell'Italia moderna e contemporanea, Franco Angeli, Milano 1982, pp. 247-262
G. Nemec, La colonizzazione degli alienati. Il mito dell’istituzione modello e il “sistema disseminato” alle origini del manicomialismo friulano (1866-1914), in “Per la salute mentale”, nn. 2-3, 1988, pp. 121-137
L. Scopelliti, Manicomio addio, Arti grafiche friulane, Udine 1997
R. Da Nova, Gli archivi degli ex Ospedali psichiatrici del Friuli Venezia Giulia. Ovvero Le Carte del/nel Labirinto, in L’alienazione mentale nella memoria storica e nelle politiche sociali. “Chisà che metira fuori un calchedun da sto manicomio”, a cura di L. Contegiacomo, E. Toniolo, Minelliana, Rovigo 2004
M. Asquini, Agenda per il recupero e la valorizzazione giardinistico paesaggistica del sito dell’ex ospedale psichiatrico provinciale, dattiloscritto, Udine 2006
F. Zanzottera, Manicomio provinciale di Udine, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 160-162
Archivio della Provincia di Udine
Archivio Azienda per i Servizi n. 4 Medio Friuli di Udine
Archivio Dipartimento di Salute Mentale di Udine
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