Manicomio di Mombello, Manicomio di Como, Manicomio di Budrio, Manicomio di San Servolo a Venezia, Manicomio di San Clemente a Venezia, Villa Flora a Bologna, Manicomio di Noventa Vigentina, Manicomio di Rivolta d'Adda, Manicomio di Lora, Manicomio di Brescia, Manicomio di Castelverde, Manicomio di Cesano Boscone, Ospedale di circolo di Busto Arsizio, Ospedale di circolo di Cittiglio, Ospedale di circolo di Gallarate, Ospedale di circolo di Luino, Ospedale di circolo di Saronno, Ospedale di circolo di Tradate
Azienda agricola manicomiale di Cantello
nuovo impianto
Dal momento dell’istituzione della nuova Provincia di Varese nel dicembre 1926, inizia un importante e lungo dibattito circa l’edificazione di un nuovo complesso manicomiale: non potendo tuttavia risolvere in pochi mesi la questione, la Provincia decide di ricorrere al trasferimento provvisorio dei pazienti affetti da malattie mentali, già ricoverati nei manicomi di Como e Milano, in differenti istituti manicomiali. Nel 1930 i malati psichiatrici del territorio varesino sono ancora ricoverati in molteplici strutture sanitarie, tra le quali i manicomi di Como, Mombello (Milano), Budrio, Bologna (Villa Flora), Venezia (manicomi di San Servolo e San Clemente), Noventa Vigentina, Rivolta d'Adda, Lora, Brescia, Castelverde e Cesano Boscone. Questa situazione di “diaspora sanitaria” si protrae sino al 1932, quando la Prefettura di Varese notifica agli uffici provinciali l’ingiunzione di provvedere al “ritiro” dall'ospedale psichiatrico di Como dei pazienti di propria competenza e quando il Ministero degli Interni esorta la Provincia a farsi carico direttamente della cura dei “folli”. In realtà, una commissione tecnica, composta dal dottor Alessandro Pugliese, dal professor Giuseppe Solaro, dal dottor Emilio Rebischini e dal commendator Giuseppe Bossi, era già stata costituita nel 1927 per discutere sulla localizzazione del nuovo ospedale psichiatrico e sulle problematiche sanitarie che la nuova costruzione comportava. Al termine di un lungo dibattito di quasi tre anni la Provincia decreta che il manicomio sia costruito in una posizione marginale della città, e nel luglio del 1929 è definitivamente scelta la località Bizzozzero, un’area che risponde a precise necessità igienico-sanitarie e non distante dall'ospedale civico; e nel 1933 si affida la redazione del progetto all’ingegnere Virgilio Coltro.
I fase: 1933-1939
architetti/ingegneri: Virgilio Coltro, Filippo Bianchi
alienisti/psichiatri: Carlo Besta, Adamo Mario Fiamberti
Dopo mesi di discussioni sull’opportunità di edificare la nuova struttura manicomiale, è affidato il compito di redigerne il progetto all’ingegnere Virgilio Coltro il quale, al termine di un lungo processo progettuale, nel 1933 elabora una soluzione basata sul disegno di padiglioni autonomi di medie dimensioni circondati da spazi verdi e dotati di giardini recintati a disposizione dei pazienti [VA_4_2_1; VA_4_2_2; VA_4_3_5]. Il progetto è redatto con la consulenza e collaborazione del neuropsichiatra Adamo Mario Fiamberti (che nel 1937 vincerà il concorso di Direttore del manicomio) e del neurologo Carlo Besta (Direttore dell’Istituto Neurologico Vittorio Emanuele III-Clinica Neuropatologica della Regia Università di Milano).
Il primo progetto, che prevede un complesso manicomiale capace di ospitare 1.100 pazienti, è parzialmente accantonato a favore di un impianto definitivo capace di ospitare 900 malati mentali, ampliabile per fasi successive sino a raggiungere una capacità ricettiva di 1.200 pazienti. Il nosocomio deve sorgere su un’area di 260.000 mq, che comprende il quadrilatero ospedaliero (circa 32.000 mq) e un’imponente colonia agricola. In fase esecutiva il direttore dell’ufficio tecnico provinciale, l'ingegnere Virgilio Coltro, è coadiuvato da collaboratori, tra cui gli ingegneri Luigi Cassani, chiamato alla direzione del cantiere, e Filippo Bianchi, che cura lo studio dei particolari architettonici.
Il nuovo progetto è sottoposto al parere dell’ingegnere Edmondo Flumiani, il quale riferisce al Rettorato Provinciale le sue idee attraverso un’analitica relazione: “Relazione d’analisi del progetto, dei capitolati d’appalto e dei preventivi di spesa per la costruzione del nuovo manicomio provinciale”, inviata al Preside della Provincia di Varese il 13 dicembre 1934. In essa riconosce che sono stati recepiti tutti i pareri della Commissione Speciale e osserva che la posizione di ciascun padiglione è stata studiata in modo tale da aderire alla conformazione del terreno e ottenere la migliore esposizione rispetto all’asse eliotermico; presenta tuttavia alcune obiezioni e propone soluzioni tecnologiche e impiantistiche più semplici.
I padiglioni sono progettati prevedendo la possibilità di sopraelevazioni finalizzate all’ampliamento della capacità ricettiva del manicomio. Analoga soluzione è pensata per il padiglione della lavanderia [VA_4_2_6; VA_4_2_7], poiché il presunto aumento del numero dei pazienti suggeriva un aumento delle strutture di servizio.
Particolare attenzione è posta da Virgilio Coltro nella progettazione della chiesa [VA_4_2_14; VA_4_2_15], capace di contenere 270 persone, collocata in posizione centrale rispetto all'intero complesso nosocomiale, poiché in un primo momento pensa di collocare nel tiburio i serbatoi dell'acqua potabile. Il progetto è tuttavia accantonato in favore di una soluzione più semplice che prevede l’inserimento del serbatoio nella torre della Direzione [VA_4_2_17; VA_4_2_18; VA_4_3_3; VA_4_3_6; VA_4_3_7]. Per le medesime ragioni di contenimento dei costi e per il desiderio di realizzare strutture duttili, in fase attuativa preferisce sostituire parzialmente il sistema di copertura dei fabbricati, previsto originariamente in travature lignee, con elementi in cemento armato (Lettera del Presidente della Provincia di Varese inviata il 9 ottobre 1935 all’Istituto della Sanità Pubblica Ingegneria Sanitaria). I lavori di sbancamento e di movimentazione della terra per preparare il terreno per l’edificazione del nuovo complesso manicomiale iniziano già nei primi mesi del 1935, ancor prima che sia formalmente richiesta la concessione edilizia al Comune di Varese, rilasciata il 18 aprile 1935.
Il 2 aprile dell’anno successivo è celebrata la posa della prima pietra della Cappella manicomiale che segna l’inizio ufficiale dei lavori, conclusi nel giugno del 1937. Al termine segue la richiesta di abitabilità del complesso da parte dell’Ufficio tecnico provinciale alla competente amministrazione comunale, grazie anche all’intervento diretto da parte dell’avvocato Puricelli, Presidente della Provincia (Lettera del Vicepresidente della Provincia di Varese inviata al Podestà cittadino il 18 aprile 1935).
I lavori eseguiti sino a questo momento, tuttavia, non sono ancora conclusi poiché nel 1938 l’erigendo ospedale psichiatrico è ancora interessato dalla sistemazione della rete stradale interna e di quella fognaria, che impongono alcuni correttivi progettuali.
Nel novembre del 1938 la nuova struttura architettonica si può definire conclusa, e Adamo Mario Fiamberti, già direttore dei manicomi di Vercelli e di Sondrio, e primo direttore di quello di Varese, decide l’apertura del nosocomio alle visite dei giornalisti e della cittadinanza, alla quale segue l’inaugurazione ufficiale del plesso, il primo gennaio 1939.
II fase: 1939-1943
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: Adamo Mario Fiamberti
Il periodo compreso tra l’inaugurazione del manicomio e i primi anni quaranta, è caratterizzato dall’organizzazione degli spazi interni, a livello gestionale e amministrativo, e da pochi interventi di ottimizzazione interna. La direzione si occupa di sviluppare i volumi architettonici dell’azienda agricola in base alle patologie dei ricoverati [VA_4_2_3; VA_4_2_4; VA_4_2_5; VA_4_2_20; VA_4_2_21; VA_4_2_22], nel rispetto dell’impostazione assegnata al manicomio da Fiamberti, convinto sostenitore della “psicoterapia d’ambiente”. È dunque riproposto un moderato no-restraint unito all’attenzione per gli aspetti ergoterapici e psicoterapici: i pazienti non sono considerati solo come forza lavoro, ma anche come risorsa da coinvolgere nelle fasi di ideazione e guida dei processi produttivi. Nel 1940, ad esempio, è realizzato il “Padiglione libero per lavoratori” nei pressi della colonia agricola, per ospitare i pazienti che lavorano nella colonia o nei “laboratori industriali” in attesa della loro dismissione [VA_4_2_19]. Con la conclusione del processo di richiamo dei pazienti ricoverati presso le strutture extra-provinciali (1941), si codifica il sistema ergoterapico ed entrano in funzione la falegnameria, la sartoria, la maglieria, la calzoleria e il laboratorio di metallurgia.
Altri piccoli adeguamenti della nuova struttura riguardano gli spazi di osservazione [VA_4_2_12; VA_4_2_13] e d’ingresso nella struttura psichiatrica [VA_4_2_16], poiché Fiamberti è uno dei massimi assertori italiani della necessità di restringere le “categorie” dei malati, da ricoverare all’interno delle strutture psichiatriche, ricorrendo, quando possibile, alle cure omofamiliari. A questa seconda fase gestionale del manicomio appartiene anche l’apertura degli ambulatori neuropsichiatrici di Busto Arsizio, Saronno e Luino, intesi come elementi fondamentali della rete dei dispensari psichiatrici.
Ulteriori piccole modifiche agli spazi interni sono compiute per valorizzare le ricerche in campo prettamente neurologico e neurochirurgico. Fiamberti, infatti, aveva importato dall’ospedale psichiatrico di Sondrio, da lui diretto in precedenza, le pratiche per le terapie biologiche delle psicosi, compiendo veri e propri esperimenti sui pazienti nell’ambito delle terapie shock, e introducendo un proprio metodo che prevedeva l’impiego dell’acido acetilcolinico. Grazie ai suoi primi successi nazionali e internazionali nel campo della ricerca nelle cure delle psicosi e dell’affermazione dei modelli di psicochirurgia, derivati dagli studi per le trapanazioni craniche di Egas Moniz e di Achille Mario Dogliotti, gli spazi destinati alla ricerca del manicomio di Varese crescono, e aumentano anche gli ambienti dedicati alla conservazione e archiviazione dei dati raccolti.
La realizzazione di un Centro Neurologico per pazienti affetti da malattie al sistema nervoso non mentali, realizzato nel 1941 all’interno del padiglione Ottorino Rossi (infermeria [VA_4_2_10; VA_4_2_11]), con approvazione diretta del Capo del Governo nazionale, è dunque da inserire in questo processo di ricerca sperimentale per la cura delle malattie mentali. Queste ricerche conducono alla generale riqualificazione e all’ampliamento dei laboratori per le analisi chimiche, odontoiatriche, oftalmiche, radiologiche e psicodiagnostiche, e portano, all’inizio degli anni quaranta, alla creazione di un vero polo chirurgico, specializzato nella neurochirurgia e in quella che, grazie agli studi di Walter Jackson Freeman, sarà denominata lobotomia transorbitale.
III fase: 1943-1948
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Nel novembre 1943 la quasi totalità degli edifici che compongono l’ospedale psichiatrico è requisita dall’esercito tedesco, che lo trasforma in ospedale militare, previo allontanamento di tutti i pazienti. Alcuni ricoverati del Centro Neurologico sono dimessi, mentre per 121 ammalati si ricorre alle cure omofamiliari. I rimanenti 971 pazienti sono trasferiti nei manicomi di Mombello (220), Como (220), Bergamo (216), Novara (112), Sondrio (80), Voghera (73) e Cremona (50).
Il 6 novembre 1943 i tedeschi prendono possesso di tutti i padiglioni, a eccezione del padiglione di isolamento e dei fabbricati destinati alla colonia agricola, adibendoli a centro neurochirurgico per i soldati feriti. Trasformazioni interne e parziali distruzioni seguono tale decisione. Alcuni interventi di abbellimento sono invece eseguiti da alcuni ricoverati tedeschi, dei quali ancora oggi permane una serie di pitture parietali all’interno dei padiglioni raffiguranti scenografie urbane.
L’occupazione dell’ospedale da parte dell’esercito tedesco finisce tra il novembre del 1944 e il gennaio dell’anno successivo, quando i soldati lasciano il manicomio trafugando i macchinari e le attrezzature medico-chirurgiche e medico-scientifiche. Il danno per la struttura è ingente e conteggiato dalla Provincia in 9.055.000 lire.
Dopo l’abbandono da parte degli ultimi soldati tedeschi il manicomio è occupato dalla Sanità Militare dell’esercito repubblichino: a questa nuova occupazione segue la decisione del Comitato di Liberazione Nazionale Provinciale di destinare il nosocomio a ospedale per i militari feriti e convalescenti rimpatriati, affidandolo alla Croce Rossa Internazionale, che vi installa anche un centro per la cura dei soldati affetti da patologie polmonari.
Al termine di un lungo dibattito, con promesse d’indennizzo solamente in parte mantenute, dal 30 agosto 1946 i padiglioni sono restituiti alla Provincia affinché li ridestinasse alle cure psichiatriche. Il processo si protrae nel tempo e termina il 14 settembre 1948. Nel frattempo la direzione sanitaria e l’economato dell’ospedale psichiatrico provvedono ad acquistare i materiali edili necessari al ripristino dei padiglioni, a riattrezzare i reparti e i magazzini e a far eseguire i lavori dai dipendenti interni e dai primi pazienti ritornati a Varese.
IV fase: 1948-1959
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Adamo Mario Fiamberti
Nel 1948 il manicomio può dichiarare conclusi i lavori di risistemazione, a eccezione del ripristino delle attrezzature medico-scientifiche trafugate dai tedeschi e il 28 dicembre 1950 è autorizzata la riapertura del reparto di radiologia, röntdiagnostica e terapia fisica.
Sebbene alcuni pazienti già dal 1944 erano stati invitati a ritornare nei due padiglioni non sequestrati dall’esercito, solo nel 1948 inizia il trasferimento a Varese dei ricoverati nelle sedi provvisorie e nel 1949 tale operazione si può considerare conclusa. L’amministrazione sanitaria e la direzione dell’ospedale psichiatrico si concentrano sui nuovi indirizzi da dare alla struttura, e ripropongono Varese come centro di cura all’avanguardia per quanto concerne la ricerca delle cure psichiatriche e le terapie legate a Sakel (Shock insulinico), a Fiamberti (terapia acetilcolinica e leucotomie transorbitarie), a Cerletti (elettroshock) e a Wagner von Gauress (malarioterapia). Parallelamente sono realizzati i gabinetti medici attrezzati in ogni padiglione e si realizza una vera e propria sezione chirurgica, settica e asettica, organizzandola con corsie a 8 letti e stanze a uno e a due letti. Tale sistema è concepito essenzialmente attorno alla neuro-chirurgia, ma il direttore vuole che la sala operatoria sia attrezzata per potervi effettuare “interventi chirurgici di qualsiasi genere”. Specifiche convenzioni sono stipulate con l’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie) e l’ENPAS (Ente Nazionale Previdenza e Assistenza dipendenti Statali) per potenziare il Centro Neurologico interno al manicomio.
Nei medesimi anni Fiamberti si adopera per implementare la psicoterapia distrattiva, che prevedeva una serie di attività ludico-ricreative connesse alla risistemazione degli ambienti interni dei padiglioni e alla realizzazione di campi da gioco. Nel 1955 il manicomio di Varese può contare su attrezzature sportive, tra cui campi da tennis, da football, da pallacanestro e da pallavolo, oltre che il più usuale campo da bocce, fatto costruire da Fiamberti anche nel manicomio di Sondrio.
Nel 1954 fa edificare anche il cinema-teatro denominato “Salone dei trattenimenti” che, per sua volontà, viene eretto all’esterno del recinto manicomiale, nel rispetto delle teorie alieniste di un moderato no-restraint e ne propone la fruizione al resto della città. Progettato dall’ufficio tecnico provinciale, la struttura è dotata di un bar e ambienti di servizio, e conta 266 posti a sedere.
Nei primi anni cinquanta, inoltre, è caldeggiato il progetto di ampliamento dell’originario plesso manicomiale, finalizzato alla realizzazione di due padiglioni, uno maschile e uno femminile, per il ricovero di ulteriori 300 pazienti, di un padiglione per il ricovero di malati mentali affetti da tubercolosi (50 posti letto), di un comparto per 50 bambini e di due reparti per 100 pazienti paganti. Il progetto, mai realizzato, avrebbe consentito di far salire i posti letto disponibili a circa 1.550. Tale aumento è invece ottenuto parzialmente sopraelevando i padiglioni Biffi e Morselli [VA_4_3_4], che ospitano nuove camere con i relativi servizi. Nel medesimo periodo è sopraelevato il padiglione della Cucina, nel quale sono inseriti nuovi volumi per ospitare gli alloggi per le suore [VA_4_2_8; VA_4_2_9] e la cappella privata per le infermiere e le religiose [VA_4_3_1; VA_4_3_2].
Gli anni cinquanta sono inoltre caratterizzati da una grande attenzione agli ambienti comuni e al verde: alcuni cortili interni sono trasformati in giardini arricchiti da aiuole, fontane e uccelliere; numerose panchine mobili, dipinte con colori vivaci fanno la loro comparsa lungo i viali interni. Apparecchi radio e televisori sono inseriti negli ambienti comuni, mentre i refettori sono rammodernati con arredi e seppelliti ritenuti più adeguati alle nuove tendenze psichiatriche.
V fase: 1960-2012
architetti/ingegneri: dato non accertato
alienisti/psichiatri: Edoardo Balduzzi, Eugenio Gaburri
L’impulso di rinnovamento, dettato da Fiamberti, ha nuovi impulsi dal 1964, grazie allo psichiatra Edoardo Balduzzi, che introduce i principi della psichiatria di settore, ispirati alle sperimentazioni assistenziali francesi. In questi anni il manicomio è riorganizzato in differenti reparti, ognuno strutturato con personale autonomo al quale spetta la cura dei malati provenienti da uno specifico territorio omogeneo. Questa scelta, che comporta anche piccole variazioni architettoniche interne ai padiglioni, migliora il collegamento tra ospedale psichiatrico e territorio senza però prevedere il suo superamento. Al contrario, l’ospedale esce rafforzato da un simile modo di intendere l’assistenza agli alienati, poiché si ramifica meglio sul territorio, esternalizzando alcuni servizi (come l’ambulatorializzazione di terapie quali l’elettroshock) e consolidando la rete di presidi psichiatrici costituiti nel territorio già dagli anni trenta.
Altri cambiamenti si hanno dopo il 1967, durante la direzione di Eugenio Gaburri, che elabora un “modello di ristrutturazione dei manicomio”. Si concentra sull’ergoterapia e sull’apertura della cittadella della cura psichiatrica al territorio, cercando di creare legami proficui tra pazienti e contesto socio-culturale urbano, e sperimenta le terapie di gruppo importando in Italia la lezione dello psicanalista inglese Wilfred Bion. In qualche misura, la struttura ospedaliera di Varese costituisce un’anticipazione di quanto propugnato dal Centro ricerche psicoanalitiche di gruppo Pollaiolo (CRPG) fondato nel 1975 da Gaburri con Francesco Corrao, Claudio Neri, Nando Riolo, e trasformato nel 1995 nell’IIPG (Istituto Italiano di Psicanalisi di Gruppo).
Gli anni della de-istituzionalizzazione sono particolarmente difficili per la struttura manicomiale di Varese, anche se l’insieme dei suoi padiglioni ne risulta sostanzialmente indenne. Così come avvenuto per alcune realtà ex-manicomiali italiane, Varese si dimostra non molto ricettivo alle sollecitazioni legislative post-basagliane e non attiva una reale operatività sino alla metà degli anni novanta. Decretata allora la cartolarizzazione della struttura manicomiale, una sua parte è acquistata dall’Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo-Fondazione Macchi che, dopo la creazione dell’Università dell’Insubria avvenuta nel 1998, cede a quest’ultima in comodato d’uso tre padiglioni (Antonini, Biffi e Morselli).
Grazie all’attenzione al patrimonio architettonico dimostrata dalla direzione della ASL di Varese e del suo Ufficio tecnico, i padiglioni rimanenti sono oggetto di interventi manutentivi che non ne hanno alterato l’impianto generale, attuando interventi prossimi al “restauro del moderno”.
impianto
a padiglioni indipendenti sparsi nel verde
corpi edilizi
padiglioni su uno o due piani (in alcuni sottotetto e piano interrato), a pianta rettangolare, quadrata, a “E”, a “I” e mistilinea; edifici a corte
strutture
strutture in elevazione: murature in pietrame di tipo tradizionale, strutture in mattoni di tipo tradizionale
orizzontamenti: capriate lignee, solette in cemento amato e laterizi, voltine in latero-cemento e putrelle di ferro
coperture: tetti a falde inclinate, coperture piane
ottimo: direzione, padiglione Morselli
buono: padiglioni Monteggia, Biffi e Golgi; padiglione vaccinazione; cappella; portineria
medio: padiglione Tanzi
cattivo: padiglioni Bianchi, Antonini e Rossi
Un decennio di opere in Varese e provincia, Ufficio Stampa e Propaganda della Federazione dei Fasci di combattimento della provincia di Varese, Varese 1934
L'ospedale neuro-psichiatrico della provincia di Varese, a cura di G. Escalar, Tip. La tipografia Varese, Varese 1954
L'ospedale neuro-psichiatrico di Varese nei suoi primi vent'anni di attività: 1939-1958, a cura di E. Balduzzi, Tipografia Galli & C., Varese 1961
G. Armocida, Qualche osservazione sugli ospedali, la medicina e la sanità pubblica nella nuova Provincia di Varese, in La Provincia di Varese negli anni trenta. Istituzioni, società civile, economia, a cura di R.P. Corritore, E.R. Laforgia, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 13-43
L'ospedale neuro-psichiatrico di Varese, una storia dimenticata, a cura di P. Cottini, Azienda sanitaria locale della provincia di Varese, Varese 20082
F. Zanzottera, Manicomio provinciale di Varese, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 177-179
Archivio della Provincia di Varese, Cartella Ospedale Provinciale di Varese. Progetto
Archivio dell’Ufficio Tecnico ASL di Varese, Foto storiche
Archivio Storico Comunale di Varese, Cartella 2960
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