Casa dei Matti di Aversa (1813-1881)
Nuova unità ospedaliera psichiatrica di Girifalco, località Chiusi (1975-2013)
recupero con ampliamenti
In Calabria Ultra Seconda, durante il XIX secolo i malati docili e benestanti ricevono assistenza dai familiari nelle proprie abitazioni, mentre i più pericolosi sono trasferiti nel frenocomio di Aversa. Nel luglio del 1877, però, i dirigenti della struttura campana dichiarano l’impossibilità di accettare ulteriori ricoveri e, pertanto, si palesa l’urgenza d’istituire un manicomio a servizio delle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio.
La scelta della località nella vasta regione calabrese giunge al termine di un lungo e scrupoloso iter amministrativo che, per l’aspetto sanitario, viene coordinato dall’alienista Achille Spatuzzi dell’Ufficio Igiene e Statistica medica di Napoli. Il 6 aprile 1878, il presidente della Deputazione provinciale, Giuseppe Colucci, incarica i sindaci dei comuni di Chiaravalle, Soverato, Maida, Borgia, Squillace e Badolato di accertare l’esistenza, nei rispettivi territori, di stabili con caratteristiche congeniali all’istituzione di un complesso manicomiale. Solo in un secondo momento la richiesta viene inviata anche alle amministrazioni di San Vito sullo Jonio e Girifalco, ma è proprio quest’ultima ubicazione a essere prescelta dallo Spatuzzi, dopo aver attentamente considerato le specifiche dotazioni immobiliari di ciascuna località mediante sopralluoghi compiuti con l’ingegnere Ernesto Bonardi, funzionario dell’Ufficio tecnico della Provincia. Infatti, tutte le contrade adiacenti Catanzaro si trovano in posizione strategica dal punto di vista dell’accessibilità, vantano favorevoli condizioni climatiche, caratterizzate dall’assenza sia di rigidi freddi invernali che di elevate temperature estive e di eccessivi livelli di umidità, e risultano immerse in un paesaggio campestre che rappresenta un potenziale catalizzatore di quell’azione ritemprante tanto necessaria alla rigenerazione del sistema nervoso dei malati di mente. In aggiunta, il borgo rurale di Girifalco possiede un convento secentesco intitolato ai santi Antonio ed Elena il quale, sorto nel 1635, fino al rovinoso terremoto del 1783 – che provoca anche il crollo del campanile – accoglieva una ventina di frati, numero ulteriormente contrattosi per le pessime condizioni statiche; ancora nel 1840 al piano terra risiedeva uno sparuto numero di padri che ospitava caritatevolmente alcuni civili. Annesso al patrimonio demaniale per effetto della secolarizzazione dei beni ecclesiastici, l’immobile viene proposto dal Comune in cessione gratuita alla Provincia: la scelta appare anche vantaggiosa economicamente, grazie al notevole risparmio sui costi di trasporto, dal momento che lo stabile risulta situato a brevissima distanza dall’abitato e ben collegato a esso da una strada rotabile, mentre le condizioni strutturali appaiono discrete e idonee a sopperire ai bisogni più urgenti della Provincia mediante interventi mirati nei limiti di una spesa piuttosto contenuta.
Nell’adunanza del 12 dicembre 1878, la Deputazione provinciale delibera che il manicomio si stabilisca proprio nell’ex convento dei frati minori riformati e il 22 febbraio successivo che si proceda al progetto di recupero. Un progetto di massima viene in realtà redatto già nel 1878 dal Bonardi su indicazioni dello Spatuzzi, per essere poi sviluppato in dettaglio l’anno seguente dall’ingegnere Luigi Conti, coadiuvato dall’ingegnere Mungo, entrambi funzionari dell’Ufficio tecnico provinciale.
I fase: 1879-1902 [CZ_4_1_4]
architetti/ingegneri: Ernesto Bonardi, Luigi Conti, Bruno Caizzi
alienisti/psichiatri: Achille Spatuzzi (consulenza e supervisione al progetto Bonardi), Dario Maragliano, Silvio Venturi, Silvio Tonnini
Le operazioni di riconversione a sede manicomiale riguardano sia l’ex edificio conventuale, nella forma di un blocco quadrangolare con chiostro centrale di m. 14 x 12, che l’adiacente ampia chiesa [CZ_4_2_1]. Lo Spatuzzi viene invitato a fornire le nuove disposizioni e le linee-guida dei futuri sviluppi dell’impianto, calibrati in considerazione delle disponibilità economiche della Provincia. Benché l’alienista napoletano indichi all’ingegnere Bonardi di raggiungere una disponibilità di 100 posti-letto, si decide di ricoverare inizialmente soltanto i primi 40 folli e di rimandare interventi più consistenti alla successiva crescita della popolazione manicomiale, limitandosi ad apportare le modifiche strettamente indispensabili per avviare l’attività.
Nel 1879 l’ingegnere Luigi Conti è incaricato di compilare il progetto di dettaglio per adattare le originarie strutture conventuali alle necessità più impellenti. Come di consueto, si stabilisce di sistemare i folli in due sezioni, una maschile nell’ala est e una femminile in quella a ovest. A tal fine, s’impongono come lavori d’urgenza il rifacimento del braccio orientale del convento, l’adeguamento della cucina al piano terra del corpo settentrionale, la riparazione dei locali a occidente e la radicale trasformazione della chiesa, la cui aula è segmentata con tramezzature allo scopo di ricavare ambienti separati per le varie tipologie di degenti donne. Al 1880 risulta così ultimato l’adattamento del piano terra, che può accogliere circa 50 folli, mentre resta incompleto quello superiore, che all’occorrenza può offrire altrettanti posti-letto, duplicandone la capienza.
Nel nuovo adattamento, l’edificio secentesco preserva, a livello planimetrico, il suo carattere di struttura conventuale con chiostro centrale: la separazione del compartimento maschile da quello femminile si realizza semplicemente tamponando le aperture tra la chiesa e il convento, isolando il camminamento tangente il lato del chiostro lungo la direttrice nord-sud e ricavando gli opportuni collegamenti verticali per rendere indipendenti i due comparti [CZ_4_2_2; CZ_4_2_3]. Radicali, invece, le previste trasformazioni del prospetto: anzitutto, in conseguenza della nuova suddivisione degli spazi, viene leggermente variato il passo delle aperture sulle facciate, interne ed esterne, del convento, mentre la ex chiesa perde il suo profilo a capanna per assumere una sagoma squadrata culminante con un fastigio rettangolare. A sua volta, la decorazione, ispirata a stilemi classici (lesene e cornici sulle finestre), contribuisce ad assicurare un’unitaria ridefinizione del complesso [CZ_4_2_4; CZ_4_2_5; CZ_4_2_6; CZ_4_3_2].
Il carattere urgente e sommario dei primi adattamenti determina il protrarsi, per anni, di gravi carenze strutturali: innanzitutto, l’assenza di una rete fognaria efficiente che garantisca adeguate condizioni igieniche; in secondo luogo, gli scarsi requisiti di sicurezza dei luoghi, dall’inadeguatezza degli infissi alla mancanza di una recinzione perimetrale dei giardini esterni. Nel 1881 il Conti viene chiamato a redigere un progetto di completamento, che, oltre a porre rimedio ai difetti riscontrati, permetta all’amministrazione provinciale di ricoverare oltre 100 pazienti. Il tecnico, mentre considera dilazionabili alcune opere (finiture interne ed esterne dell’edificio), ritiene invece urgente liberare una parte della sezione Donne, finora adibita ad abitazione e ufficio del direttore, per destinarla a dormitori e dotare la struttura di cortili per tenere lontani i folli dal contatto con gli estranei.
Con la nomina a direttore di Silvio Tonnini (1884-1887), che si avvale ancora della consulenza tecnica di Luigi Conti, si attuano i primi significativi lavori di trasformazione finalizzati a dotare la struttura di 120 posti-letto, che conducono a una consistente modificazione della struttura originaria. Il braccio nord viene sopraelevato e portato alla quota del restante edificio, la facciata proseguita verso oriente e nelle nuove sale del primo livello ricavate 8 camerate per gli uomini e 5 per le donne, con disponibilità totale di circa 80 letti. Parte degli ammalati viene così trasferita dal pianterreno al soprastante e sistemata in camere più decorose e salubri, mentre al livello inferiore restano allocati i dormitori per suicidi e le celle per furiosi, che incrementano l’offerta di altri 40 posti, raggiungendo i 120 previsti; viene allestita anche la camera mortuaria e anatomica. Mentre si stanno migliorando le condizioni igieniche dei locali esistenti, però, ci si rende conto dell’angustia degli spazi rispetto al numero dei degenti, che sono costretti a convivere in condizioni di promiscuità. La situazione più disagevole è vissuta dagli agitati, che non godono di una propria sala di soggiorno, il tutto aggravato dall’assenza di mura di cinta nel giardino e di apposite officine, per cui i medici sono impossibilitati ad applicare il lavoro come mezzo curativo. Considerata la precarietà della situazione, viene affidato d’urgenza al Conti il progetto di un’apposita sezione per questa categoria di folli, ricavata in via provvisoria nel cortile interno al compartimento maschile e dotata di alcune celle con cortiletti e servizi igienici annessi [CZ_4_2_7; CZ_4_2_8; CZ_4_2_9; CZ_4_3_1].
Nel corso dei lavori di ampliamento della sezione Uomini, a causa di sopravvenute esigenze tecniche, il Conti manifesta la necessità di aggregare una porzione di terreno attigua al costruendo reparto per organizzare meglio gli spazi, ma la richiesta non viene soddisfatta dalla vigente amministrazione. A riproporre con insistenza il problema del sovraffollamento dell’istituto manicomiale giunge il bilancio del 1888, analizzato il quale la Deputazione provinciale decide di richiamare alla guida della struttura Silvio Venturi (1888-1900), già direttore nei delicati anni di avviamento (1882-1883), che inaugura una fase di reale rinnovamento, con l’impianto di un’azienda agricola produttiva fondata sul lavoro dei degenti, di officine artigianali [CZ_4_3_3; CZ_4_3_4], gabinetti scientifici, una nuova sala anatomica [CZ_4_3_6], un villino di salute, e con l’attivazione nel 1898 della condotta idrica forzata, da troppi anni rimandata.
Gli interventi edilizi vengono condotti sulla base di un programma decennale (1888-1898), che prevede anche la realizzazione della recinzione al giardino del manicomio, opera propedeutica a tutte le altre per ovvie ragioni di sicurezza, tra le quali quella di scongiurare infiltrazioni dall’esterno nella sezione Donne.
Dalla corrispondenza tenuta in quegli anni con i suoi superiori, emerge l’intento di Venturi di conformare il proprio istituto alla popolazione contadina i cui membri disadattati è chiamato ad accogliere: i ricoverati sono per lo più di estrazione sociale umile, dediti da sempre all’agricoltura o all’industria, in gran parte analfabeti. Pretendere di adottare un concetto astratto di manicomio-modello, che sia indifferentemente valido per qualunque città d’Europa, appare al carismatico direttore una pretesa assurda, poiché gli interessi, le occupazioni, le esperienze lavorative e gli stili di vita a Girifalco non possono essere paragonabili a quelli di una metropoli come Parigi, ad esempio. Con tali premesse, l’alienista sceglie piuttosto di proporre un prototipo di “manicomio rurale”, che s’ispiri alle colonie agricole e industriali scozzesi, inglesi e belghe.
Tuttavia, il cuore della politica edilizia del Venturi riguarda la realizzazione di una più consona sezione Agitati (e di una corrispondente per le donne nella preesistente ala ovest) sulla cosiddetta “Costiera del Vico”, un fondo di proprietà di tal Enrico Garigliani a est dell’edificio principale, espropriato per pubblica utilità. L’incarico di redigere il progetto della nuova unità edilizia viene affidato all’ingegnere Bruno Caizzi, che lo completa nel settembre 1891. Il direttore ne propone alcune modifiche relative all’orientamento, con una rotazione di 45° dell’asse orizzontale, e alla disposizione delle celle, con il loro trasferimento sul lato a meridione [CZ_4_2_10].
Sul versante del manicomio rivolto a sud-ovest, intanto, si propone l’annessione del limitrofo fondo di Domenico De Stefani, necessario per l’ampliamento dei terreni coltivabili e per la costruzione del muro perimetrale. Il Caizzi ne redige il 2 ottobre 1890 il rilievo e la stima, ma l’autorizzazione sovrana al suo esproprio perviene solo il 29 gennaio successivo.
II fase: 1903-1934 [CZ_4_1_4]
architetti/ingegneri: (?) Diana, (?) D’Agostino
alienisti/psichiatri: Romano Pellegrini, Leonardo Bianchi (parere sul progetto di un nuovo manicomio a Catanzaro), Bernardo Frisco, Annibale Puca
Dopo la morte dello storico direttore Venturi nel 1900, alla guida dell’istituto girifalcese giunge Romano Pellegrini (1903-1913). Il sopralluogo del medico provinciale nel 1905 mette in luce una situazione critica dovuta al sovraffollamento dei malati in ambienti ristretti, problema derivante dai vincoli dell’edificio d’origine e, purtroppo, ancora insoluto. La risposta si orienta verso una soluzione radicale, con la costruzione di una nuova sede manicomiale a Catanzaro. Viene così progettato dagli ingegneri Diana e D’Agostino un complesso adeguato ai moderni standards in materia di strutture psichiatriche, con 12 padiglioni simmetrici a un unico livello, separati, ma disposti in maniera razionale e arricchiti da giardini e cortili per la ricreazione degli ammalati. La proposta progettuale, calibrata su una capienza minima di 100 posti-letto, viene sottoposta al giudizio di Leonardo Bianchi, direttore del manicomio provinciale di Napoli, che però boccia l’ipotesi di ubicazione in città, per il peso urbanistico che l’insediamento sanitario avrebbe comportato.
Accantonato così il piano di nuova allocazione, nel 1907 vengono stanziati consistenti finanziamenti per l’adeguamento dell’antico edificio girifalcese all’incremento della popolazione manicomiale, ma il sopraggiungere dell’evento sismico del 28 dicembre 1908 determina una lunga battuta d’arresto. Soltanto nel 1910, infatti, riprendono i lavori di completamento della sezione intitolata a Silvio Venturi e quelli che prevedono il prolungamento del braccio ovest della nuova sezione Donne, con la successiva creazione del corpo di fabbrica che ancora oggi s’impone parallelamente agli uffici amministrativi. Lungo il lato sud, infine, vengono innalzate alte mura di cinta a protezione dei cortili esterni, che per troppo tempo hanno offerto alla vista dei curiosi la quotidianità degli alienati.
Negli anni 1914-1916, sotto la direzione di Bernardo Frisco (1914-1926), si procede al collaudo definitivo della sezione Venturi, si eseguono riparazioni nei vecchi edifici per garantire una maggiore stabilità alle strutture e si estende la rete fognaria. Inoltre, vengono allestite numerose officine artigianali che conferiscono al manicomio un carattere spiccatamente aziendale: infatti, grazie all’annessione del limitrofo fondo Cummis nel 1919, si può finalmente ampliare la colonia agricola e industriale che, oltre a rispondere a fini terapeutici per gli ammalati, rende l’istituto un complesso autosufficiente dal punto di vista dei rifornimenti alimentari [CZ_4_3_5], del vestiario e dei più comuni utensili.
Tra il 1930 e il 1932, direttore Annibale Puca (1929-1934), si amplia verso sud-est l’antico monoblocco della sezione Donne, che viene ora organizzato su tre livelli, offrendo in tal modo altri 60 posti-letto; inoltre, viene rinnovata la facciata principale dell’O. P. rivolta verso l’abitato di Girifalco con l’edificazione dell’ala speculare al preesistente corpo orientale, in modo da conferire un aspetto armonico ed equilibrato al prospetto, finora monco. La nuova costruzione non solo si pone come barriera contro i curiosi che percorrono la pubblica strada, ma consente anche di collocare, al piano terra, gli uffici direzionali, di economato e segreteria, insieme alla biblioteca, e di trasferire l’alloggio del direttore in un ambiente più decoroso al primo livello.
In questi anni viene edificato anche il cosiddetto “Padiglione” lungo il limite occidentale dei terreni di proprietà dell’ospedale, allo scopo di accogliere i lavoratori della comunità agricola e delle officine [CZ_4_2_11]. Sebbene col tempo l’edificio si trasformerà, per esigenze sanitarie, in un vero e proprio reparto con antistante cortile, accogliendo diverse categorie di malati cronici e vedendo così snaturata la sua originaria destinazione d’uso, inizialmente il “Padiglione” contribuisce al necessario completamento della colonia ergoterapica.
III fase: 1935-2014 [CZ_4_1_4]
architetti/ingegneri: Pietrantonio Cristofaro, Bruno De Gori, Antonio Vonella
alienisti/psichiatri: Vincenzo Fragola, Rocco Cerra, Luigi Stefanachi, Ferdinando Pariante, Peppino Spadaro
Dopo la partenza di Annibale Puca da Girifalco, non si registrano nel complesso psichiatrico significativi interventi edilizi, al di là della semplice manutenzione ordinaria. Per lo più, durante la direzione di. Vincenzo Fragola (1941-1951), si effettuano sistemazioni interne al padiglione Venturi, all’ex blocco conventuale (scalone d’ingresso, atrio, portineria, camminamenti tangenti il chiostro) e all’appendice comprendente la direzione e gli uffici amministrativi.
Soltanto sul volgere degli anni Sessanta viene ultimato, lungo il limite meridionale dell’area di pertinenza dell’ospedale, il nuovo edificio dei Servizi generali, dotato, al primo piano, dell’appartamento del custode e, al livello terraneo, di cucina, forno meccanico, magazzini con celle frigorifere, lavanderia meccanica, il tutto alimentato da una nuova centrale termica costruita a ridosso della sezione Donne.
Sin dal 1963, tuttavia, s’impone nuovamente all’attenzione dei vertici sanitari la questione del sovraffollamento, cui si tenta di ovviare con la proposta di ampliamento della vecchia struttura mediante nuovi padiglioni. Dopo la breve parentesi della direzione di Luigi Stefanachi (1965-1966), viene chiamato ad affrontare in maniera più radicale la questione dell’inadeguatezza dello storico manicomio Ferdinando Pariante (1967-1971), allorquando nel 1968 l’Amministrazione provinciale bandisce un concorso pubblico per la progettazione di una nuova unità ospedaliera psichiatrica nel comune di Girifalco.
Tra le varie proposte pervenute ed esaminate dalla commissione giudicatrice, vincitrice risulta quella denominata “Psyche Aperta”, elaborata dal gruppo di architetti e ingegneri: Michele e Antonio Capobianco, Giovanni De Franciscis, Maria Raffaela Pessolano, Cesare Ulisse, Daniele Zagaria, Ugo Arpati e Francesco Reale. Il progetto prescelto, che nel lessico architettonico evoca suggestioni razionaliste, non è organizzato in padiglioni o monoblocchi fortemente centralizzati, ma viene configurato come un ambiente urbano strutturato mediante una maglia di percorsi sulla quale s’innestano molteplici funzioni, volta a creare un clima di reciproca fiducia tra i fruitori del complesso sanitario; il tutto completato da attrezzature sportive ed esercizi pubblici.
Il primo sito indicato per l’edificazione del nuovo complesso ospedaliero psichiatrico, al fine di operare un’integrazione funzionale col vecchio, è la località Battendieri, che si estende a ridosso del confine occidentale di quest’ultimo. Tuttavia, viene preferita la contrada Chiusi, a oltre 2 km di distanza dall’abitato di Girifalco, che offre caratteristiche igienico-sanitarie più consone rispetto a quella attigua all’antico nosocomio.
A fronte delle lodevoli intenzioni iniziali, il “villaggio”, terminato nel 1975 durante la direzione di Peppino Spadaro (1974-1988) e tuttora accessibile dalla SS 384 Roccelletta-Curinga, non ha mai svolto le funzioni per cui è stato progettato: ancora nel 1997, infatti, si discute di ciò che dovrà contenere. Nonostante un’ipotesi sia quella di adibirlo a istituto oncologico a carattere regionale, allo stato attuale l’avveniristico polo ospedaliero versa parzialmente in abbandono e solo alcuni stabili sono occupati da uffici ASL, SAUB e da un consultorio [CZ_4_3_12].
Intanto, per effetto della L. 431/1968, nello storico complesso psichiatrico vengono abbattute le recinzioni metalliche e le alte mura perimetrali dei cortili esterni, mentre, all’entrata in vigore della L. 180/1978, la struttura viene sottoposta al controllo della USL di Chiaravalle e, in seguito, della ASL di Soverato.
Nel 1997 l’ottocentesco manicomio, coi suoi successivi ampliamenti, è interessato da un progetto di recupero e adeguamento funzionale messo a punto dagli architetti Pietrantonio Cristofaro, Bruno De Gori e Antonio Vonella, in modo che possa offrire ancora servizi socio-assistenziali, oltre che ospitare la direzione sanitaria e amministrativa. Gli immobili principali del nucleo storico sono già stati ristrutturati [CZ_4_1_3; CZ_4_3_8; CZ_4_3_9; CZ_4_3_10], a differenza di alcuni dei corpi successivi (il “Padiglione”) [CZ_4_3_11], costituendo il cosiddetto “Complesso monumentale”, immerso in un contesto territoriale prevalentemente rurale conservatosi pressoché inalterato da oltre un secolo [CZ_4_3_7].
impianto
misto (a blocco compatto, con ali, e padiglioni isolati o “a villaggio”)
corpi edilizi
padiglione principale con impianto a corte centrale e ampliamenti successivi ad ali, a due e tre piani; padiglioni separati a blocchi articolati, con uno o due piani
strutture
strutture in elevazione: pilastri in c.a., muratura di mattoni
orizzontamenti: volte laterizie a crociera e a botte, solai laterocementizi
coperture: tetti a falde con orditura lignea e rivestimento in coppi, terrazzo praticabile
ottimo (ex corpo conventuale, ex padiglione Venturi; direzione, centrale termica)
buono (ex sezione femminile e relativo ampliamento)
cattivo (ex reparto “Padiglione”; ex edifici Servizi generali, vaccheria e sala anatomica)
R. Pellegrini, Il Manicomio di Girifalco, Officine dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1901
Id., Il Manicomio di Girifalco e la pazzia nella Provincia di Catanzaro: studio statistico e clinico, Asturi, Catanzaro 1907
B. Frisco, Il Manicomio di Catanzaro in Girifalco e il suo andamento annuale con speciale considerazione sul primo semestre del 1914. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Stabilimento tipografico Emanuele Priulla, Palermo 1914
Id., Dell’andamento annuale e di alcuni indici misuratori dei vantaggi della ospedalizzazione dei malati di mente nel Manicomio Provinciale di Catanzaro in Girifalco, sotto il rapporto economico, sanitario, sociale. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Stabilimento tipografico Emanuele Priulla, Palermo 1915
Id., Manicomio Provinciale di Catanzaro in Girifalco: relazione complementare alla Deputazione Provinciale sull’andamento dal 5 febbraio 1914 al 24 gennaio 1915, Tipografia Lao, Palermo 1915
Id., L’andamento amministrativo e tecnico del Manicomio Provinciale di Catanzaro in Girifalco in rapporto all’assistenza dei malati di mente della Provincia ed in rapporto al funzionamento del reparto psichiatrico di osservazione e di cura per i militari, durante l’anno 1916-17. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Stabilimento tipografico Emanuele Priulla, Palermo 1917
Id., Il Manicomio di Catanzaro in Girifalco. Lavori di risanamento eseguiti dal 5 febbraio 1914 al 30 giugno 1917, Stabilimento tipografico Emanuele Priulla, Palermo 1917
Id., L’andamento amministrativo e tecnico del Manicomio Provinciale di Catanzaro in Girifalco. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Stabilimento tipografico Emanuele Priulla, Palermo 1918
Id., Sulla necessità dell’ingrandimento della colonia agricola aggregata al Manicomio Provinciale in Girifalco. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Tipografia del Calabro, Catanzaro 1918
V. Fragola, L’andamento amministrativo e tecnico dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Catanzaro in Girifalco dal 1° luglio 1927 al 30 giugno 1928. Relazione all’On.le Deputazione Provinciale, Bruzia, Catanzaro 1928
A. Puca, Il 50° Annuale dell’Ospedale Psichiatrico, in “Gli Annali dell’Ospedale Psichiatrico di Catanzaro in Girifalco fondati dal Prof. Bernardo Frisco”, a. XIV, ottobre.-novembre 1931, Numero speciale per il Cinquantenario
D. Marcello, Un secolo di Manicomio: storia del Manicomio di Girifalco, Vincenzo Ursini Editore, Catanzaro 1995
G. Rauccio, Manicomio provinciale di Catanzaro in Girifalco, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M. A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M. L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 283-285
Archivio di Stato di Catanzaro, Prefettura di Catanzaro (1878-1904)
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