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I fase

Anno inizio: 
da 1879 a 1902

Le operazioni di riconversione a sede manicomiale riguTardano sia l’ex edificio conventuale, nella forma di un blocco quadrangolare con chiostro centrale di m. 14 x 12, che l’adiacente ampia chiesa [CZ_4_2_1]. Lo Spatuzzi viene invitato a fornire le nuove disposizioni e le linee-guida dei futuri sviluppi dell’impianto, calibrati in considerazione delle disponibilità economiche della Provincia. Benché l’alienista napoletano indichi all’ingegnere Bonardi di raggiungere una disponibilità di 100 posti-letto, si decide di ricoverare inizialmente soltanto i primi 40 folli e di rimandare interventi più consistenti alla successiva crescita della popolazione manicomiale, limitandosi ad apportare le modifiche strettamente indispensabili per avviare l’attività.

Nel 1879 l’ingegnere Luigi Conti è incaricato di compilare il progetto di dettaglio per adattare le originarie strutture conventuali alle necessità più impellenti. Come di consueto, si stabilisce di sistemare i folli in due sezioni, una maschile nell’ala est e una femminile in quella a ovest. A tal fine, s’impongono come lavori d’urgenza il rifacimento del braccio orientale del convento, l’adeguamento della cucina al piano terra del corpo settentrionale, la riparazione dei locali a occidente e la radicale trasformazione della chiesa, la cui aula è segmentata con tramezzature allo scopo di ricavare ambienti separati per le varie tipologie di degenti donne. Al 1880 risulta così ultimato l’adattamento del piano terra, che può accogliere circa 50 folli, mentre resta incompleto quello superiore, che all’occorrenza può offrire altrettanti posti-letto, duplicandone la capienza.

Nel nuovo adattamento, l’edificio secentesco preserva, a livello planimetrico, il suo carattere di struttura conventuale con chiostro centrale: la separazione del compartimento maschile da quello femminile si realizza semplicemente tamponando le aperture tra la chiesa e il convento, isolando il camminamento tangente il lato del chiostro lungo la direttrice nord-sud e ricavando gli opportuni collegamenti verticali per rendere indipendenti i due comparti [CZ_4_2_2; CZ_4_2_3]. Radicali, invece, le previste trasformazioni del prospetto: anzitutto, in conseguenza della nuova suddivisione degli spazi, viene leggermente variato il passo delle aperture sulle facciate, interne ed esterne, del convento, mentre la ex chiesa perde il suo profilo a capanna per assumere una sagoma squadrata culminante con un fastigio rettangolare. A sua volta, la decorazione, ispirata a stilemi classici (lesene e cornici sulle finestre), contribuisce ad assicurare un’unitaria ridefinizione del complesso [CZ_4_2_4; CZ_4_2_5; CZ_4_2_6; CZ_4_3_2].

Il carattere urgente e sommario dei primi adattamenti determina il protrarsi, per anni, di gravi carenze strutturali: innanzitutto, l’assenza di una rete fognaria efficiente che garantisca adeguate condizioni igieniche; in secondo luogo, gli scarsi requisiti di sicurezza dei luoghi, dall’inadeguatezza degli infissi alla mancanza di una recinzione perimetrale dei giardini esterni. Nel 1881 il Conti viene chiamato a redigere un progetto di completamento, che, oltre a porre rimedio ai difetti riscontrati, permetta all’amministrazione provinciale di ricoverare oltre 100 pazienti. Il tecnico, mentre considera dilazionabili alcune opere (finiture interne ed esterne dell’edificio), ritiene invece urgente liberare una parte della sezione Donne, finora adibita ad abitazione e ufficio del direttore, per destinarla a dormitori e dotare la struttura di cortili per tenere lontani i folli dal contatto con gli estranei.

Con la nomina a direttore di Silvio Tonnini (1884-1887), che si avvale ancora della consulenza tecnica di Luigi Conti, si attuano i primi significativi lavori di trasformazione finalizzati a dotare la struttura di 120 posti-letto, che conducono a una consistente modificazione della struttura originaria. Il braccio nord viene sopraelevato e portato alla quota del restante edificio, la facciata proseguita verso oriente e nelle nuove sale del primo livello ricavate 8 camerate per gli uomini e 5 per le donne, con disponibilità totale di circa 80 letti. Parte degli ammalati viene così trasferita dal pianterreno al soprastante e sistemata in camere più decorose e salubri, mentre al livello inferiore restano allocati i dormitori per suicidi e le celle per furiosi, che incrementano l’offerta di altri 40 posti, raggiungendo i 120 previsti; viene allestita anche la camera mortuaria e anatomica. Mentre si stanno migliorando le condizioni igieniche dei locali esistenti, però, ci si rende conto dell’angustia degli spazi rispetto al numero dei degenti, che sono costretti a convivere in condizioni di promiscuità. La situazione più disagevole è vissuta dagli agitati, che non godono di una propria sala di soggiorno, il tutto aggravato dall’assenza di mura di cinta nel giardino e di apposite officine, per cui i medici sono impossibilitati ad applicare il lavoro come mezzo curativo. Considerata la precarietà della situazione, viene affidato d’urgenza al Conti il progetto di un’apposita sezione per questa categoria di folli, ricavata in via provvisoria nel cortile interno al compartimento maschile e dotata di alcune celle con cortiletti e servizi igienici annessi [CZ_4_2_7; CZ_4_2_8; CZ_4_2_9; CZ_4_3_1].

Nel corso dei lavori di ampliamento della sezione Uomini, a causa di sopravvenute esigenze tecniche, il Conti manifesta la necessità di aggregare una porzione di terreno attigua al costruendo reparto per organizzare meglio gli spazi, ma la richiesta non viene soddisfatta dalla vigente amministrazione. A riproporre con insistenza il problema del sovraffollamento dell’istituto manicomiale giunge il bilancio del 1888, analizzato il quale la Deputazione provinciale decide di richiamare alla guida della struttura Silvio Venturi (1888-1900), già direttore nei delicati anni di avviamento (1882-1883), che inaugura una fase di reale rinnovamento, con l’impianto di un’azienda agricola produttiva fondata sul lavoro dei degenti, di officine artigianali [CZ_4_3_3; CZ_4_3_4], gabinetti scientifici, una nuova sala anatomica [CZ_4_3_6], un villino di salute, e con l’attivazione nel 1898 della condotta idrica forzata, da troppi anni rimandata.

Gli interventi edilizi vengono condotti sulla base di un programma decennale (1888-1898), che prevede anche la realizzazione della recinzione al giardino del manicomio, opera propedeutica a tutte le altre per ovvie ragioni di sicurezza, tra le quali quella di scongiurare infiltrazioni dall’esterno nella sezione Donne.

Dalla corrispondenza tenuta in quegli anni con i suoi superiori, emerge l’intento di Venturi di conformare il proprio istituto alla popolazione contadina i cui membri disadattati è chiamato ad accogliere: i ricoverati sono per lo più di estrazione sociale umile, dediti da sempre all’agricoltura o all’industria, in gran parte analfabeti. Pretendere di adottare un concetto astratto di manicomio-modello, che sia indifferentemente valido per qualunque città d’Europa, appare al carismatico direttore una pretesa assurda, poiché gli interessi, le occupazioni, le esperienze lavorative e gli stili di vita a Girifalco non possono essere paragonabili a quelli di una metropoli come Parigi, ad esempio. Con tali premesse, l’alienista sceglie piuttosto di proporre un prototipo di “manicomio rurale”, che s’ispiri alle colonie agricole e industriali scozzesi, inglesi e belghe.

Tuttavia, il cuore della politica edilizia del Venturi riguarda la realizzazione di una più consona sezione Agitati (e di una corrispondente per le donne nella preesistente ala ovest) sulla cosiddetta “Costiera del Vico”, un fondo di proprietà di tal Enrico Garigliani a est dell’edificio principale, espropriato per pubblica utilità. L’incarico di redigere il progetto della nuova unità edilizia viene affidato all’ingegnere Bruno Caizzi, che lo completa nel settembre 1891. Il direttore ne propone alcune modifiche relative all’orientamento, con una rotazione di 45° dell’asse orizzontale, e alla disposizione delle celle, con il loro trasferimento sul lato a meridione [CZ_4_2_10].

Sul versante del manicomio rivolto a sud-ovest, intanto, si propone l’annessione del limitrofo fondo di Domenico De Stefani, necessario per l’ampliamento dei terreni coltivabili e per la costruzione del muro perimetrale. Il Caizzi ne redige il 2 ottobre 1890 il rilievo e la stima, ma l’autorizzazione sovrana al suo esproprio perviene solo il 29 gennaio successivo.

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