Casa dei Matti di Aversa (1813-1932)
Real Casa dei Matti di Palermo (1824-1932)
Manicomio di Girifalco (1878: richiesta ricovero folli reggini respinta per mancata disponibilità posti-letto)
nuovo impianto
Le vicende che condurranno alla creazione del manicomio reggino hanno inizio il 25 agosto 1906, quando al Consiglio provinciale la situazione dei folli nel territorio amministrato appare in tutta la sua criticità. A fronte del crescente aumento delle richieste di ricovero si manifestano infatti la carenza e l’inadeguatezza delle strutture alle quali si era fatto ricorso fino a quella data: in particolare, la mancanza di posti-letto costringe da tempo il manicomio di Girifalco – unico nel territorio calabrese – a rifiutare i folli reggini, mentre la notevole distanza di altre sedi, come Palermo, o addirittura Aversa, determina un consistente aggravio sulle finanze provinciali e notevoli disagi per le famiglie. Pertanto, obiettive necessità, unitamente a motivazioni economiche e umanitarie e all’aspirazione della Provincia a una gestione autonoma del servizio, inducono il Consiglio a deliberare la costruzione ex novo di un proprio manicomio ubicato nel capoluogo.
Della redazione del progetto viene incaricato l’ingegnere Uccelli, direttore dell’Ufficio tecnico provinciale, ma la sua proposta, dopo il rovinoso evento sismico di Reggio e Messina del 1908, appare inadeguata, mancando dei necessari accorgimenti tecnici per mettere in sicurezza le strutture, mentre la stessa ubicazione inizialmente indicata per l’impianto del manicomio, la località “Borrace”, deve essere modificata per sopravvenute esigenze militari.
Nonostante il prioritario problema della ricostruzione, la Provincia continua a considerare ineludibile la questione dell’assistenza dei suoi alienati, dando incarico di un nuovo progetto all’ingegnere Vincenzo Negro, distintosi a Reggio quale esperto nella progettazione di strutture ospedaliere e soprattutto quale autore di studi sulle costruzioni antisismiche in cemento armato, per le quali ha brevettato persino un originale ed economico metodo detto “dell’avvolgimento” in grado di assicurare maggiore resistenza agli sforzi dinamici. La nuova area è individuata, su indicazione dello psichiatra Bernardo Frisco, sulla collina nota come “Piano di Modena”: grazie alle particolari caratteristiche orografiche, in quanto culminante con una vasta terrazza pianeggiante, alle condizioni panoramiche, ritenute psicologicamente ritempranti, e alla prossimità al centro cittadino e alle sue reti, che riduce i costi di approvvigionamento, la zona appare idonea sotto tutti i riguardi, non richiedendo onerose opere di spianamento e garantendo il necessario isolamento dell’istituto, senza tuttavia tagliarlo fuori dal circuito dei grandi collegamenti stradali e ferroviari [RC_4_1_1].
Convinto assertore del ruolo benefico svolto dal fattore estetico negli istituti sanitari, cultore dei principi anglosassoni dell’“open door” e del “no restraint”, esperto conoscitore dei moderni concetti di igiene, funzionalità e razionalità, l’ingegnere reggino progetta uno stabilimento del tipo a padiglioni isolati su di un lotto rettangolare di circa 7 ettari, per una capienza totale di 338 folli [RC_4_2_1; RC_4_2_2; RC_4_2_3; RC_4_2_4; RC_4_2_5; RC_4_2_6; RC_4_2_7; RC_4_2_8]. Il modello cui il Negro dichiara d’ispirarsi è il manicomio provinciale di Bergamo, definito uno “splendido esemplare”, simile a quello calabrese per estensione, ma non per capacità insediative; per alcuni aspetti tecnici, invece, assume come termine di paragone l’istituto di Bedburg, costruito nel 1907 dall’amministrazione delle province renane su un suolo di 200 ettari. Quest’ultimo, in particolare, per la grandiosità e modernità dell’impianto, oltre che per i criteri di economicità e funzionalità adottati, è ritenuto dall’ingegnere il paradigma dell’edilizia manicomiale, superando anche il coevo e avanzato progetto di Quaroni e Piacentini per il manicomio provinciale di Potenza, che, a suo dire, non raggiunge i medesimi standard, accogliendo, a parità di superficie coperta, la metà dei malati. Tuttavia, pur aderendo al sistema “a villaggio”, dove ogni mezzo di segregazione viene dissimulato allo scopo di conferire all’insieme la parvenza di luogo ameno e tranquillo, e i padiglioni sono immersi in ampi spazi verdi e giardini, il progettista non rinuncia a una rigida disposizione simmetrica degli edifici, che agevola la direzione e il servizio e consente ai diversi fruitori il facile orientamento all’interno del complesso, contrapponendo così chiarezza e ordine alle forme, definite “labirintiche”, dei recenti esempi italiani e stranieri (Sant’Onofrio a Roma e lo stesso Bedburg).
I fase: 1914-1932
architetti/ingegneri: Vincenzo Negro, Giuseppe Marchi, Rocco Leale
alienisti/psichiatri: Bernardo Frisco (scelta del suolo d’impianto e consulenza ai lavori della Sezione speciale dell’Ufficio tecnico provinciale), Ernesto Ciarla
La costruzione dei primi 7 padiglioni del complesso manicomiale avviene sulla scorta del progetto Negro, approvato dal Consiglio provinciale nell’adunanza del 29 dicembre 1914. All’atto pratico, tuttavia, i lavori si rivelano particolarmente onerosi, a fronte di un budget piuttosto limitato. Si susseguono, pertanto, diverse revisioni in corso d’opera, fino a quando, allo scopo di graduare l’impegno partendo dal minimo necessario, vengono ordinati degli stralci del progetto originario, che il Consiglio provinciale sottoscrive nella tornata del 5 luglio 1922. Per abbattere ulteriormente i costi di costruzione, si decide di completare in un secondo momento la restante parte del programma, utilizzando come manodopera i ricoverati stessi, fino a realizzare i 13 padiglioni previsti e la relativa rete fognaria.
Sopravvenute difficoltà economiche ostacolano però, ancora una volta, il completamento delle opere: difatti, i primi 7 padiglioni sono ultimati solo al rustico e rischiano di andare in rovina per mancata manutenzione.
Scioltosi il Consiglio provinciale, la Commissione straordinaria, in carica dal 3 settembre 1923, due anni dopo riesce a ottenere i necessari finanziamenti e ad avviare così i lavori di completamento. Questi sono condotti sulla base del progetto datato 5 maggio 1926, che include le decorazioni interne ed esterne degli edifici, la messa in opera degli infissi e degli impianti sanitari, il sistema di distribuzione, depurazione e smaltimento delle acque, le recinzioni e i marciapiedi. Si prevede, inoltre, la costruzione dell’alloggio del custode presso il cancello d’ingresso e la sopraelevazione dell’originario padiglione per Tranquille, allo scopo di duplicare la disponibilità di posti-letto.
Quale responsabile dei lavori figura, in questa fase, l’ingegnere Giuseppe Marchi, ispettore superiore del Genio civile, incaricato dalla Commissione straordinaria di risolvere la delicata questione della capienza dell’istituto. Il tecnico elabora il suo programma di spesa tenendo conto del vecchio progetto Negro, modificato e ampliato per consentire all’ospedale di accogliere anche i folli delle vicine province e richiamare quelli ospitati a Palermo o in altre strutture.
Sebbene i primi 7 padiglioni vengano ultimati nelle finiture e negli spazi esterni [RC_4_3_4; RC_4_3_5; RC_4_3_6], compreso l’edificio per l’Amministrazione [RC_4_3_3], e si razionalizzi la distribuzione dei percorsi mediante l’ultimazione del grande viale d’accesso [RC_4_3_2], il complesso non può ancora funzionare correttamente senza uno stabile da destinare ai servizi generali, in cui allocare le cucine, il panificio e pastificio, il frigorifero e un altro per la lavanderia. I relativi progetti vengono compilati dalla Sezione speciale dell’Ufficio tecnico provinciale, coadiuvata dallo psichiatra Bernardo Frisco, già direttore del manicomio di Girifalco, e approvati dalla Commissione il 17 febbraio 1928, mentre i lavori hanno inizio solo nel maggio del 1929 [RC_4_3_8; RC_4_3_9].
Nel 1930 viene nominato direttore della struttura Ernesto Ciarla, già primario dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Milano, che si dimostra finalmente in grado di operare un accurato bilancio del reale fabbisogno del costruendo istituto. Questi, infatti, dopo un attento studio dei fabbricati esistenti, dei progetti in fase di attuazione e della situazione edilizia globale, decide di rinviare la costruzione di appositi padiglioni per agitati e di uno stabile per i folli criminali, che vengono reclusi altrove. Inoltre, propone la sostituzione delle officine maschili con una costruzione più economica di tipo industriale e l’abolizione di un analogo corpo edilizio riservato alle donne, che avrebbero potuto lavorare invece in appositi locali compresi nel padiglione Servizi generali. Onde ricavare spazi per la degenza dei pensionanti, infine, il Ciarla riduce il numero dei vani per l’alloggio del personale medico nel settore Amministrazione. Al contrario, il neodirettore ritiene doveroso concentrare le risorse economiche disponibili, oltre che nel completamento degli impianti elettrico ed idrico, nella realizzazione di un padiglione per malattie infettive [RC_4_3_7], uno per tubercolotici, un altro per tracomatosi, di una cappella per i servizi religiosi con annessi locali per cella mortuaria e autopsie e di laboratori concepiti come officine industriali [RC_4_3_10; RC_4_3_11], e nell’organizzazione della colonia agricola [RC_4_2_9].
Col trascorrere degli anni, intanto, si rende necessario adeguare i vecchi padiglioni non solo alle specifiche destinazioni d’uso previste dal piano generale, ma anche ai dettami della moderna scienza psichiatrica: in essi vengono pertanto ricavati i reparti di osservazione, le infermerie (uomini e donne) e le sezioni Agitati e Semiagitati, con conseguente modifica delle aperture, degli infissi e delle recinzioni esterne; anche gli ambienti destinati a gabinetti scientifici e sala operatoria sono adattati alle nuove necessità mediante speciali pavimentazioni e rivestimenti. Con tali lavori e l’ultimazione della graziosa cappella in stile neomedievale [RC_4_3_12], alla fine del luglio 1932 l’istituto può dirsi completo nella parte edilizia [RC_4_3_1]: i locali sono opportunamente arredati, collaudati gli impianti, ultimati i percorsi stradali, sistemate le siepi lungo i viali, le aiuole, i piazzali e la colonia agricola.
II fase: 1932-1972
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Annibale Puca, Antonino Neri
Dopo la sua inaugurazione nel 1932, l’istituto reggino può lavorare a pieno regime perché completo nella parte strutturale, ben rifinito ed equipaggiato. La sua funzionalità viene assicurata grazie anche alla contestuale ultimazione delle reti d’approvvigionamento interne al complesso, sicché gli sforzi dei dirigenti, fino al 1938, possono indirizzarsi al completamento e potenziamento della colonia agricola. Qui, infatti, in una nuova zona acquisita, separata, benché limitrofa ai preesistenti possedimenti, è previsto un programma sperimentale, sul modello del manicomio di Imola Osservanza: in una casa colonica alcuni pazienti scelti avrebbero provveduto al proprio sostentamento in completa autonomia, con la sola supervisione di un contadino-capo.
Nei successivi anni Quaranta e fino alla prima metà dei Cinquanta non si registrano lavori significativi nell’istituto, al di là della semplice manutenzione ordinaria. Solo tra il 1955 e il 1966, a seguito dell’aumento della popolazione manicomiale, si provvede all’ampliamento e adattamento di alcuni padiglioni preesistenti, nonché alla progettazione di tre stabili, allo scopo di istituire nuovi reparti di osservazione e cura per uomini e donne. I progetti restano però sulla carta e s’introducono soltanto piccole migliorie volte a soddisfare le richieste dei visitatori, come la tettoia adiacente la portineria (1958), che evita ai parenti l’esposizione alle intemperie durante l’attesa ai cancelli d’ingresso.
Questa fase è caratterizzata soprattutto dal tentativo di rafforzamento dell’offerta assistenziale nel settore psichiatrico della provincia di Reggio. Tra il 1966 e il 1970, infatti, si pianifica la costruzione, previo concorso di progettazione, di due nuovi ospedali psichiatrici, di cui uno nella Locride, per il versante jonico, e l’altro a Taurianova, per quello tirrenico. I nuovi presidi avrebbero dovuto affiancare il complesso nel capoluogo, dove, invece, si sarebbe provveduto a un generale rinnovamento edilizio. Difatti, nella struttura di Reggio, tra il 1967 e il 1968, si ammoderna la rete fognaria interna e la si allaccia a quella comunale; l’anno seguente si amplia la vaccheria nella colonia agricola e si dota lo stabilimento di un impianto d’incenerimento dei rifiuti solidi; tra il 1970 e il 1971, infine, si completano i percorsi d’accesso e si sistemano i vialetti interni, mentre la portineria viene dotata di sale di attesa e di un alloggio per il custode.
III fase: 1973-2014
alienisti/psichiatri: Mario Scarcella
Negli anni Settanta, nonostante i numerosi interventi migliorativi e i nuovi progetti in cantiere, il complesso subisce un lento processo di de-funzionalizzazione, conclusosi con l’abbattimento delle strutture psichiatriche intorno alla metà degli anni Novanta. Infatti, l’emanazione della L. 180/1978 segna una tappa fondamentale nell’acceso dibattito culturale in materia di superamento della funzione coercitiva degli ospedali psichiatrici, di fronte alla quale anche quello reggino deve predisporre gli imprescindibili adeguamenti.
Sin dal 1973 vengono varate politiche di riesame della funzione segregante da sempre ricoperta dall’istituto. A partire da questa data, infatti, le condizioni di degrado vissute dai pazienti vengono rese note all’opinione pubblica e benefiche iniziative sono messe in atto dall’equipe del neodirettore Mario Scarcella (1973-1977), nel tentativo di indurre gli enti locali alla preparazione di un programma di superamento dell’O.P. Queste riguardano, in sintesi, l'apertura fisica dei cancelli e l’attivazione di un reparto di osservazione che agisca quale filtro ai nuovi ingressi, allo scopo di non produrre ulteriori lungodegenze.
Con l’entrata in vigore della “legge Basaglia”, intanto, la struttura viene posta sotto il controllo della USL di Reggio Calabria: cessata l’attività nel 1984, fino al 1990 si accettano esclusivamente degenze di pazienti già in precedenza ospitati.
Nel corso degli anni seguenti, l’O.P. va incontro a una irreversibile e inarrestabile degenerazione strutturale: la gravità della situazione apparsa al medico provinciale nel 1987 rende evidente l’impossibilità di procrastinare ulteriormente la sua chiusura. Il 9 luglio 1990 si dà così inizio allo svuotamento dei locali con il conseguente trasferimento dei malati in comunità-alloggio appositamente attrezzate e distribuite sul territorio provinciale. Il 21 marzo 1992, conclusasi la dislocazione dei pazienti, si procede al definitivo smantellamento del vecchio ospedale, con la cessione a titolo gratuito dell'area all’Arma dei Carabinieri, che dispone l’abbattimento delle strutture ormai fatiscenti e nel 1995 completa la costruzione dell’attuale Scuola Allievi Ufficiali [RC_4_1_3].
Il nuovo complesso ancora oggi si avvale, per lo svolgimento delle funzioni religiose, della cappella originariamente costruita al servizio del manicomio [RC_4_3_13], unica testimonianza di una delle strutture psichiatriche più avanzate dell’Italia meridionale.
impianto
a padiglioni isolati (o a villaggio)
corpi edilizi
padiglioni a stecca a uno o due piani e piccoli avancorpi; cappella ad aula rettangolare
strutture
strutture in elevazione: pilastri in c.a., murature di mattoni (corpi originari, demoliti)
orizzontamenti: solai laterocementizi, travi in c.a. (corpi originari, demoliti)
coperture: a shed, tetti a falde con orditura in c.a. e rivestimento in coppi, terrazzo praticabile (corpi originari, demoliti)
ottimo (cappella)
Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, L’Ospedale Psichiatrico, Barabino & Greve, Genova 1932
A. Puca, L’apertura dell’Ospedale psichiatrico di Reggio Calabria e il suo funzionamento nel primo biennio. Relazione del direttore al presidente dell’Amministrazione provinciale, dicembre 1934, Tipografia F.lli Vena e C., Palermo 1935
E. Realmuto, M. Marletta, M. Leoni, L’attuale situazione ospedaliera psichiatrica nel nostro Paese: risultati di una rilevazione a carattere nazionale. Aspetti igienico-sanitari e psico-medico-sociali, Tipografia Regionale, Roma 1962
A. Manacorda, V. Montella, La nuova psichiatria in Italia: esperienze e prospettive, Feltrinelli, Milano 1977, pp. 179-187
A. Catanoso, L’ospedale psichiatrico di Reggio Calabria e "canile umano", Iriti, Reggio Calabria 1982
G. Rauccio, Ospedale psichiatrico provinciale di Reggio Calabria, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M. A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M. L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 303-305
Archivio Storico del Comune di Reggio Calabria, Sanità e Igiene [1914]
Archivio di Stato di Reggio Calabria, Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria (1926-1966); Prefettura di Reggio Calabria (1967-1971)
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