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I fase

Anno inizio: 
da 1855 a 1933

L’isola di San Clemente viene scelta nel 1855 dalla Luogotenenza austriaca, quale luogo ideale per insediarvi la sezione femminile dell’Ospedale psichiatrico provinciale di Venezia. Al fine di individuare il miglior modello tipologico, Pietro Beroaldi, alienista e allora direttore dell’Ospedale Maggiore di Venezia, è incaricato di visitare alcuni complessi manicomiali europei e di redigere un programma aggiornato per un nuovo ospedale psichiatrico sull’isola. Scritto fra il 1855 e il 1856, tale programma ospedaliero, concepito per un fabbricato monoblocco, individua spazi per il ricovero di sei categorie di ammalate: furiose, tranquille, curabili, incurabili, epilettiche e convalescenti.

Beroaldi ritiene opportuno che il piano terra dell’intera struttura sia isolato rispetto al suolo tramite un innalzamento, per evitare diffusione di muffe e infiltrazioni di umidità, e che l’intera isola venga recintata, per scongiurare possibili fughe o suicidi. Prevede inoltre che il reparto destinato alle furiose sia separato dal corpo principale e collocato a est del complesso; anche le malate convalescenti devono stare a sé, a ovest del corpo principale. Al piano terra di quest’ultimo sono collocati i servizi, come la farmacia, la cucina, la sala anatomica.

Il suo programma viene valutato e parzialmente modificato da Filippo Spongia (1798-1880) consigliere sanitario, che suggerisce un abbassamento dell’altezza del muro di cinta, per non dare alle pazienti l’impressione di essere chiuse all’interno di una fortezza. Propone inoltre che l’innalzamento del complesso manicomiale sul terreno sia realizzato tramite robuste arcate in muratura.

Il primo gennaio 1956 la Direzione delle Pubbliche Costruzioni per le Provincie Venete affida il progetto del nuovo ospedale psichiatrico femminile all’ingegner Domenico Graziussi, perché lo rediga in base alle indicazioni fornite dai due alienisti Beroaldi e Spongia. L’aspetto dell’isola risulta notevolmente modificato a seguito dell’intervento; le piccole case monastiche, costruite intorno all’edificio centrale del monastero durante il XVII secolo, sono tutte abbattute per lasciare spazio a un impianto di grandi dimensioni a forma di E, che aveva preso a modello il manicomio di Vienna.

Il complesso deve occupare l’intera area dell’isola ed essere composto da tre corpi di fabbrica paralleli fra loro, raccordati da un edificio disposto in senso ortogonale ad essi. Il corpo anteriore, a occidente e più lungo rispetto agli altri due, è l’edificio principale con l’ingresso all’ospedale e aree di rappresentanza; risulta unito all’edificio retrostante mediante una costruzione perpendicolare, che genera un cortile interno. I fabbricati devono avere tre piani fuori terra, fatta eccezione per quello disposto più a est, destinato alle “furiose”, di soli due piani.

I locali della direzione e dell’amministrazione sono collocati al piano terra dell’edificio principale; il fabbricato centrale deve invece ospitare i bagni e i locali da lavoro, mentre il corpo disposto in senso ortogonale è destinato a ospitare alcuni servizi generali, come la cucina, e i dormitori delle pazienti.

Al complesso principale si aggiungono alcuni edifici collocati a nord dell’isola, affacciati direttamente sull’acqua. Inoltre, la costruzione per la lavanderia e la sala anatomica, con forma a L, viene posizionata tra la chiesa e la cavana (ricovero coperto per imbarcazioni, tipico di Venezia) dell’isola.

Particolare attenzione merita la facciata del complesso progettata da Domenico Graziussi [VE_SC_4_3_5; VE_SC_4_3_7] il quale, volendo mantenere un collegamento con il prospetto rinascimentale della chiesa [VE_SC_4_3_1; VE_SC_4_3_4] la arricchisce con elementi classici e la impreziosisce con finestre ad arco dai profili di marmo [VE_SC_4_3_6]. Il prospetto, a parere di Graziussi, doveva garantire anche la percezione di una continuità del grande fabbricato con il tessuto urbano dei palazzi veneziani.

Questo progetto è approvato il 20 novembre 1857 dal Ministero dell’Interno austriaco, con alcune modifiche apportate dall’ingegner Ludovico Zettl: l’edificio destinato alle malate furiose è sopraelevato di un piano, per assimilarlo nelle forme agli altri corpi di fabbrica; ai suoi ampi corridoi si attribuisce la funzione di sale comuni; il cortile destinato alle agitate, completamente separato dagli altri spazi all’aperto, viene spostato nell’area nord-est dell’isola, delimitato, a est, dall’edificio della lavanderia e, a sud, dalla sala anatomica.

Non sono individuabili vere e proprie fasi cronologiche di edificazione con relative modifiche in corso d’opera, che però devono esserci state poiché la realizzazione risulta alquanto diversa rispetto al progetto sopradescritto, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione delle funzioni.

I lavori hanno inizio nel 1858: l’ingegner Zettl è nominato ispettore del cantiere, mentre l’ingegner Graziussi svolge il ruolo di direttore di cantiere. Per la costruzione dei nuovi edifici si utilizza materiale ricavato dalle demolizioni dei corpi secenteschi. Delle costruzioni preesistenti sono lasciati integri solo la chiesa e uno dei lati del chiostro del monastero (quello adiacente alla chiesa), mentre gli altri tre lati dello stesso sono costruiti ex-novo sul tracciato di quelli antichi [VE_SC_4_3_9; VE_SC_4_3_10].

Importante è la scelta di modificare morfologicamente l’isola ampliandone i versanti occidentale e meridionale, ottenendo quasi una duplicazione della sua superficie, che consente di riservare vaste zone a prato e per terreni da coltivare [VE_SC_4_3_13; VE_SC_4_3_14; VE_SC_4_3_15; VE_SC_4_3_16].

Benché il governo austriaco avesse previsto la chiusura dei lavori entro il 1860, nel 1859 le attività di cantiere hanno un primo arresto, a seguito dal cambiamento del direttore dei lavori, col subentro dell’ingegner Annibale Forcellini (1827-1891).

Nel 1866 quando, in seguito all’annessione del Veneto al Regno d’Italia, il cantiere passa sotto il controllo dell’amministrazione del Consorzio delle Provincie Venete, sono apportate ulteriori modifiche al progetto originario: l’edificio con pianta ad L, tra la chiesa e la cavana e destinato a ospitare la sala anatomica, è trasformato in alloggio per il personale di servizio.

La costruzione del complesso termina nel 1873: l’Opera pia autonoma manicomio femminile veneto di San Clemente si presenta come un’imponente struttura a monoblocco [VE_SC_4_2_2; VE_SC_4_2_3; VE_SC_4_3_2], al cui interno i nove reparti per piano, originariamente previsti, con le modifiche in corso d’opera sono stati ridotti a tre. Al piano terra si trovavano i locali dell’amministrazione, le officine, la farmacia, i laboratori medici e tre reparti per le malate povere; al primo piano sono altri tre reparti destinati alle ex-dozzinanti, nel frattempo impoverite, e la biblioteca; sullo stesso piano, nel corpo principale, vi sono le abitazioni dei medici, alle quali si accede per mezzo di una imponente scala a tre rampe, tuttora esistente; al secondo piano oltre ai tre reparti, destinati alle dozzinanti, vi sono l’appartamento del cappellano, le stanze di servizio dei medici e la sala della musica.

La distribuzione verticale dei reparti segue criteri di ordine economico-sociale, mentre la disposizione orizzontale riguarda il tipo e il grado della malattia. In particolare, le malate considerate furiose sono ricoverate nella parte posteriore del complesso, mentre le calme e le convalescenti sono ricoverate nella parte anteriore, più vicine all’ingresso principale.

Molto ben organizzata è la distribuzione di scale e corridoi: le prime, in marmo d’Istria, sono in tutto cinque e collegano i vari piani; fatta eccezione per lo scalone d’ingresso molto ampio, esse erano strette, alte e buie. I corridoi, distribuiti in tutto il complesso, sono il cuore della vita di comunità delle pazienti, essendo l’unico spazio di libera socializzazione dell’ospedale, e costituiscono un elemento di raccordo con i cortili esterni.

Nei cinquant’anni successivi, dal 1873 al 1933, all’interno del complesso manicomiale si registrano solo lavori di manutenzione ordinaria.

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