I primi lavori di adeguamento delle antiche strutture, che dovrebbero consentire l’accoglienza di “60 individui affetti di pazzia”, sono affidati alla direzione dell’ingegnere camerale Angelo Pistocchi, funzionario del governo pontificio. La somma inizialmente stanziata si rivela però appena sufficiente a pagare le sole opere murarie. Il convento, nel suo stato di fatto, presenta dieci camere al piano terra e quindici al piano superiore oltre ad alcune sale d’uso collettivo. L’impossibilità di “rinchiudere” sessanta pazzi in venticinque camere rende indispensabile la formazione di nuove stanze di degenza. Si decide quindi di erigere un corpo di fabbrica all’interno del cortile meridionale, lungo il lato sud delimitato dalla Strada del Parchetto. Dotata di portico sul fronte interno, in diretta continuità con i due bracci già esistenti sui lati ovest e nord del cortile stesso, la nuova ala dispone al piano superiore di tredici camere divise in due gruppi da un corridoio centrale: il primo è formato da otto piccole stanze di degenza che affacciano sul cortile mentre il secondo si compone di cinque camere di maggiori dimensioni rivolte all’esterno, sulla strada del Parchetto. Con questo primo intervento di ristrutturazione e ampliamento non ci si limita alla sola costruzione del nuovo braccio meridionale, che consente di portare a quaranta il numero complessivo delle camere, ma si procede con l’apertura di un atrio, di cui il complesso era privo, con la rimozione e risistemazione dei vani esterni di porte e finestre secondo “una conveniente ma semplice simetria, ed in modo che le une siano dirimpetto alle altre per la tanto utile ventilazione”. L’insufficienza dei fondi a disposizione per tali lavori non consente, tuttavia, di porre in esecuzione tutte quelle altre opere e lavori ritenuti indispensabili per un corretto esercizio del “pio stabilimento”. Nel giugno del 1825, quando la Delegazione Apostolica di Pesaro e Urbino si rivolge direttamente a papa Leone XII per ottenere l’autorizzazione a impegnare poco più di 3341 scudi del fondo provinciale per proseguire i lavori, l’ospizio è “ridotto, e restaurato in gran parte”. Grazie alle sovvenzioni concesse dal papa, nel 1826 si procede all’acquisto di altre casupole, così da allestire i locali necessari alla cura dei sessanta malati censiti a questa data. Il 14 marzo 1827 Benedetto Cappelletti invia una lettera a papa Leone XII, manifestandogli il desiderio di avviare lo stabilimento dei pazzi, non ancora terminato ma prossimo all’inaugurazione, aprendo intanto la sola chiesa nel giorno di S. Benedetto (21 marzo) e chiedendo che nella stessa chiesa sia concessa l’indulgenza plenaria ai fedeli in tutte le festività. Con oltre due anni di ritardo rispetto alla data prevista, il giorno di capodanno del 1829 si inaugura il nuovo ospizio. Il direttore amministrativo è Felice Pesaresi.
A cinque mesi dall’apertura, il San Benedetto ospita trentasei folli, di cui venti uomini e sedici donne. La sezione femminile è quella che lamenta le maggiori carenze, dal momento che le internate di notte sono riunite in un’unica stanza e di giorno distribuite senza un criterio in stanze diverse. La stessa sezione è per giunta priva di spazi per il passeggio e per l’intrattenimento diurno, nonché di un refettorio e di una latrina.
Come scriverà il Gonfaloniere di Pesaro al Governatore di Roma, il San Benedetto a quest’epoca funziona né più né meno che come un “semplice reclusorio” (Giovannini, p. 33 n. 4).
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