Manicomio La Senavra di Milano (fino al XIX sec.)
Ospedale Sant’Anna di Como (dal XIX sec.)
Non esistenti
nuovo impianto
Nel 1857 il grande affollamento del manicomio milanese La Senavra, ove la provincia di Como ricoverava i propri malati, impone alla Luogotenenza di Lombardia di costruirne uno nuovo per la provincia e la città di Como: per tamponare l’emergenza, nel 1861 è nominata una commissione che decide di predisporre un provvisorio allestimento di locali per la cura delle malattie mentali nell’ospedale Sant’Anna a Como. Il Regio Ministero suggerisce un accordo tra Como e Sondrio perché si realizzi una struttura unica; la proposta non ha seguito, mentre il problema si aggrava rapidamente poiché lo spazio disponibile al Sant’Anna è sovrappopolato.
Nel 1863 è bandito un “Programma per l’erezione di un manicomio nella provincia di Como”, dell’entità di 500 posti-letto, con cui s’invitano coloro in possesso di palazzi o ville di campagna di ampie dimensioni, e disposti a cederli alla Provincia per l’erezione del manicomio, a comunicarlo. Tre anni dopo sono formulate varie proposte, come quella di utilizzare l’ex convento delle Salesiane o di acquistare un terreno in zona Camerlata, oppure un altro annesso al Sant’Anna, ma nessuna ha seguito. Il 15 agosto 1870 si fa l’ipotesi di realizzare un istituto manicomiale in un’area fra il borgo di San Bartolomeo, il torrente Cosia e la strada in direzione del Seminario grande.
Il bando di concorso per l’erezione del nuovo nosocomio è emanato il 15 luglio 1871; indica l’area detta Gerbetto come futura sede [CO_4_1_4], ma nessuna delle 15 proposte presentate appare adeguata alla commissione. I progetti migliori rispondono a buone caratteristiche ma non sono globalmente convincenti. I commissari del concorso, però, apprezzano l’ipotesi di non superare l’altezza di due piani per i fabbricati, onde evitare all’ospedale un oneroso servizio di sorveglianza; concordano sull’opportunità di inserire, date le caratteristiche climatiche del sito, un sistema di collegamenti coperti tra i padiglioni sia per il piano terra sia per i superiori; valutano opportuni gli ampi spazi tra i vari reparti, per una migliore ventilazione e distinzione tra gli stessi, senza costringere gli ammalati in ristretti cortili; infine, trovano ragionevole che la costruzione avvenga in diversi lotti di lavoro, in base all’effettiva disponibilità economica.
Benché ricco di positive sollecitazioni, il primo concorso non avrà seguito; nella seduta del 20 dicembre 1872 il Consiglio provinciale invita la Deputazione provinciale di Como ad avanzare nuove proposte, guardando al modello planimetrico di Imola, sorto nel 1872. L’area proposta rimane quella del Gerbetto, tuttavia si suggeriscono anche altre località: Belvedere a Camerlata, Muggiò, Canzo, l’orfanotrofio maschile, il palazzo Olmo a Como; per le migliori condizioni idriche e di orientamento, la scelta è infine fatta ricadere sulla località denominata Ronco-Selvetto, a sud-est rispetto alla città murata di Como.
I fase: 1876-1905
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale, Pietro Luzzani, Giuseppe Casartelli
alienisti/psichiatri: dato non accertato
La redazione dei disegni per la costruzione dell’ospedale psichiatrico avviene in due fasi successive, con notevoli varianti alla proposta, poiché gli autori di quella di massima non sono gli stessi di quella esecutiva. Il progetto di massima, redatto nel 1876 dall’Ufficio tecnico provinciale, assume come area insediativa la località Ronco-Selvetto e ha come matrice l’esempio imolese, di cui mantiene la caratteristica dei padiglioni ravvicinati, ma ne modifica la forma complessiva, aprendo i cortili laterali e chiudendo a emiciclo l’asse centrale dei servizi. Un primo blocco di opere per ospitare 577 malati è deciso dal Consiglio provinciale con delibera del 4 giugno 1878, ma per il completamento dei lavori si prevede un tempo di quattro anni.
Il progetto esecutivo del 1878-79, opera degli ingegneri Pietro Luzzani e Giuseppe Casartelli, differisce notevolmente da quello dell’Ufficio tecnico, poiché propone un impianto planimetrico più compatto, capace di ospitare 440 malati [CO_4_2_1; CO_4_2_2]. Nell’ampio spazio centrale, lungo l’asse sud-ovest/nord-est, sono disposti l’ingresso principale con l’edificio dell’amministrazione [CO_4_3_1; CO_4_3_2; CO_4_3_3], le cucine, i bagni e le lavanderie comuni, separati da spazi verdi. Ai suoi lati, quattro padiglioni racchiudono due vasti cortili rettangolari, dove sono inseriti padiglioni più piccoli, con pianta a “T”. Questi padiglioni di degenza sono distribuiti simmetricamente: i tre laterali, a destra rispetto alla direzione, utilizzati come sezione femminile, quelli a sinistra per la sezione maschile. I padiglioni più vicini all’edificio direzionale sono riservati agli agitati e alle agitate; quelli centrali, di minor ampiezza, sono adibiti a infermeria; gli ultimi, accolgono i tranquilli e le tranquille. I quattro edifici più grandi dei reparti di cura hanno al piano terra il refettorio e le sale comuni, al primo e secondo piano i letti degli ammalati. Tutti i padiglioni sono collegati tra loro e con gli altri edifici del complesso tramite percorsi coperti.
Predisposta dagli stessi ingegneri, ma non accolta, esiste una variante al progetto, del 1879, che differisce da quanto poi realizzato per la forma dei padiglioni centrali, che non hanno più la pianta a “T”, ma lineare; nell’insieme avrebbero definito, con i padiglioni d’ingresso e dei servizi, un impianto quadrilatero distribuito da collegamenti coperti [CO_4_2_3; CO_4_2_4; CO_4_2_5; CO_4_2_6].
I lavori di costruzione terminano il 1882, con l’inaugurazione del complesso il 28 giugno. In seguito, entro il 1905, il manicomio è modificato con la costruzione di due nuove ali laterali, in cui sono collocati le celle e i bagni, che chiudono il lato libero dei grandi cortili: ne deriva un impianto di forma claustrale e più accentrato rispetto all’esecutivo originario. In posizione distaccata, sul fronte posteriore del complesso, entro lo stesso anno sono costruiti il piccolo edificio quadrangolare della cella mortuaria e un corpo edilizio adiacente.
II fase: 1905-1923
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale, A. Longatti, Giovanni Carcano, Adolfo Zacchi, Gilio Verga
alienisti/psichiatri: Edoardo Gonzales, Francesco Del Greco
Nel 1905 sono quasi terminati i lavori di sterro della collina e la costruzione della nuova cella mortuaria in sostituzione della vecchia; il Consiglio provinciale nello stesso anno approva (22 novembre) la sistemazione, a uso di locali d’osservazione, dell’edificio nell’angolo sud-est del complesso, contiguo alla cella mortuaria che s’intendeva eliminare. Questa ipotesi è in seguito sospesa per non pregiudicare un nuovo complesso manicomiale già in programma. La commissione ritiene, infatti, che tali lavori non sarebbero bastati a risolvere il problema dell’affollamento e della razionale gestione manicomiale, essendo il nuovo fabbricato previsto troppo lontano dall’ingresso e troppo vicino all’edificio centrale. Nel 1907 (8 febbraio) ci si orienta in altra direzione, anche in considerazione di un nuovo progetto proposto dall’ufficio tecnico provinciale, che consente di abbassare i costi. La Deputazione provinciale approva di nuovo il riassetto dei locali e la vecchia cella mortuaria è annessa ai locali d’osservazione, in modo da ottenere più ambienti d’isolamento: il provvedimento è però provvisorio poiché, nel corso del grande ampliamento terminato nel 1913, entrambi gli edifici d’osservazione sono demoliti.
Tra il 1906 e il 1913 il manicomio è, infatti, sottoposto a un progetto generale di riforma, che mira a trasformarlo in un impianto a padiglioni distanziati nel verde. Sono apportate modifiche nei padiglioni esistenti, costruiti nuovi edifici e laboratori annessi alla colonia agricola e, in data di poco posteriore, è edificato un padiglione destinato all’isolamento dei malati infettivi. Per risolvere la questione del riordino generale messo in moto, la Deputazione provinciale invita Edoardo Gonzales, direttore del manicomio di Mombello, a studiare il caso insieme al direttore del manicomio di Como, Francesco Del Greco, e all’Ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, A. Longatti. Secondo il parere di Gonzales, la più aggiornata tecnica manicomiale prevede di costruire nuovi edifici più adatti, conservando i vecchi solo per cronici, criminali e lavoranti nella colonia agricola.
La discussione in sede provinciale è avviata nel 1906: nella seduta del 24 settembre noti alienisti, Andrea Verga e Giuseppe Antonini, suggeriscono di separare i curabili dagli incurabili, mantenendo lo stabilimento esistente ma adattandolo per i soli cronici, mentre propongono un’altra sede per gli acuti e per l’accoglienza dei malati. L’ipotesi di costruire un nuovo manicomio è supportata anche dall’avvocato G. Casartelli e dall’ingegnere R. Rusca, chiamati ad affiancare gli alienisti nella commissione consultiva dalla Deputazione provinciale (relazione del novembre 1907).
Resta, tuttavia, la difficoltà di trovare un luogo adatto, dotato delle risorse idriche necessarie, ed è a tutti evidente l’alto costo dell’intervento. Si pensa allora di annettere al manicomio esistente alcuni terreni adiacenti (a est, nord-est e sud-est), la cui superficie accidentata può essere resa piana con poca spesa. L’idea è accolta dal direttore Del Greco che ritiene opportuna la possibilità di costruire i nuovi padiglioni vicini agli esistenti, soluzione che consente anche di mettere in comune alcuni servizi (relazioni del 10 maggio e del 16 ottobre 1908).
Il progetto è approvato dalla Deputazione provinciale l’11 febbraio 1909; esso prevede la realizzazione di un manicomio villaggio, con padiglioni disseminati nel verde in maniera irregolare, senza criteri di simmetria; i primi interventi devono riguardare: lo sfollamento delle precedenti sezioni femminili, mediante la costruzione di due padiglioni per le croniche tranquille e lavoratrici, capaci di 50 ricoverate ciascuno; l’impianto di una nuova lavanderia, poiché quella esistente è insufficiente; la costruzione di nuovi padiglioni d’osservazione; l’avvio della colonia agricola; la costruzione di nuovi comparti per agitati e pericolosi e della sezione d’isolamento per infettivi (da effettuarsi nel secondo lotto di lavori, una volta completata la colonia agricola).
All’Ufficio tecnico provinciale è affidato il compito di progettare l’ampliamento nelle linee generali, in collaborazione con gli alienisti Del Greco e Gonzales, mentre i progetti esecutivi sono affidati a specialisti esterni. L’ampliamento così definito consente la costruzione di reparti che ampliano la capienza della parte nuova fino a quasi 1.000 posti letto (550 per uomini e 450 per donne), ai quali si devono aggiungere quelli già esistenti, senza però contare i dozzinanti. La ripartizione è così concepita: locali d’osservazione per i nuovi ammessi (30, nella sezione maschile, e 30 nella femminile), tranquilli (100 e 100), epilettici, marasmatici, deliranti, acuti gravi (40 e 40), semi agitati (100 e 100), agitati e pericolosi (90 e 80), cronici, operai e lavoratori (100 e 100), coloni (90 uomini).
L’Ufficio tecnico elabora diversi piani di ampliamento, tra il 1908 e il 1910; se quello del 1908 si estende sul fronte anteriore e ai lati del complesso principale [CO_4_2_7], i successivi indicano l’erezione di ben diciannove nuovi edifici, di cui i dieci maggiori da utilizzare come padiglioni. Inoltre, nel piano d’ampliamento del 1910 [CO_4_2_8], sono segnati come già realizzati due padiglioni per cronici, localizzati a est dell’area [CO_4_2_9; CO_4_2_10; CO_4_3_4; CO_4_3_5]. Nello stesso anno a questi se ne affianca un terzo [CO_4_3_6], in linea con i primi (a quota 219 e 221 m) ma a un livello più alto (a quota 232 m); nelle relazioni, la forma di questo edificio è definita a “doppia T”, simile ai padiglioni di Gorizia, Udine, Trieste, considerati come i più moderni.
Su progetto dell’ingegner Giovanni Carcano e dell’architetto Adolfo Zacchi, tra il 1910 e il 1912 si costruiscono inoltre due nuovi padiglioni d’osservazione, maschile e femminile [CO_4_2_11; CO_4_3_7], che hanno identica pianta a “U” (ma nel progetto prevista a “doppia T”), collocati sulla spianata a sud-est; a un solo piano per un massimo di trenta ricoverati nel progetto, sono poi realizzati con una volumetria più grande.
Nel 1911, Carcano e Zacchi redigono anche il progetto esecutivo di un nuovo villino per il direttore [CO_4_2_12], in posizione isolata e immersa nel verde, nella spianata di fronte all’edificio principale a destra del viale d’accesso, in prossimità dei nuovi padiglioni d’osservazione. La costruzione del villino risponde non solo alla volontà di dare al direttore un edificio appartato e più adatto alla vita familiare, ma anche di liberare spazio nell’edificio principale ampliando l’area destinata a uffici. Prima dell’esecuzione, nel 1912 l’Ufficio tecnico provinciale vi apporta alcune modifiche, per migliorarne ubicazione e ventilazione. Il villino ha cinque locali al piano terreno e cinque a quello superiore, con un sotterraneo e un locale sovrastante, oltre ai necessari servizi [CO_4_3_8].
In posizione distanziata, nel 1914 è redatto, ancora dall’Ufficio tecnico provinciale, il progetto per la costruzione del padiglione d’isolamento per malattie contagiose [CO_4_2_13], la cui realizzazione è affidata, per licitazione privata, all’ingegner Gilio Verga. Nel 1916 il padiglione è ancora in costruzione così come non sono realizzati i quattro padiglioni collocati dietro l’edificio principale. Sono riproposti, ma ancora una volta non realizzati, nel 1921-23, quando nasce l’idea di un altro ingrandimento dell’istituto manicomiale per accogliere 541 nuovi ricoverati.
L’Ufficio tecnico provinciale redige due soluzioni, diverse dalle precedenti: con la prima sarebbero stati realizzati quattro distinti padiglioni a corte, per agitati e semi agitati (560 letti) [CO_4_2_14]; con la seconda i padiglioni sarebbero stati riuniti in un unico grande quadrilatero con due vasti cortili interni, all’incirca delle stesse dimensioni del vecchio edificio centrale.
III fase: 1923-2012
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale, Fulvio Cappelletti, ing. De Santis, Enrico Gavonelli
alienisti/psichiatri: dato non accertato
Nonostante la lacunosità della documentazione archivistica di questa fase, il confronto tra i catastali del 1936 e del 1986 [CO_4_1_5] permette di verificare la mancanza di grandi lavori edilizi, se si escludono la realizzazione della cappella negli anni ‘50 e alcuni interventi minori senza qualità nell’edificio centrale. Inoltre, in posizione distaccata dal complesso manicomiale, sorgono in questi anni numerosi piccoli edifici rurali o di servizio, a supporto dei lavori ergo-terapici.
Il 21 maggio 1951, sono appaltati, all’Impresa Nessi e Maiocchi di Como, i lavori per la sostituzione della cappella esistente, localizzata presso l’alloggio delle suore nell’edificio centrale ormai insufficiente dato l’alto numero dei ricoverati. Presso l’Archivio della Provincia di Como sono stati rinvenuti diversi progetti della chiesa: il primo, firmato dall’Ufficio tecnico provinciale, mostra una chiesa neogotica a navata unica, con caratteristica abside poligonale; il riferimento medievalista torna anche in altri due progetti, presentati dall’architetto Fulvio Cappelletti e dall’ingegnere De Santis; quest’ultimo prevede una chiesa a pianta rettangolare allungata, con presbiterio semicircolare sporgente, in cui è collocata la sacrestia. Dalle tavole di progetto si evince che inizialmente era stata scelta una differente localizzazione per la cappella, sempre a fianco dell’edificio centrale ma in posizione più vicina all’ingresso principale e al villino del direttore, mentre in realtà è edificata più in fondo, in un’area comunque centrale alla sommità della collina, in precedenza adibita a stenditoio.
Benché non siano note le fasi del concorso, rimane documentazione del progetto selezionato redatto dall’ingegnere Enrico Gavonelli, di cui si è conservato non solo il progetto di massima, ma anche alcune tavole di quello esecutivo: esso è caratterizzato da riferimenti neorinascimentali nei decori, ha una pianta a croce greca nella quale l’aula rettangolare è attorniata dall’abside maggiore, da due absidi laterali di minori dimensioni e da un vano d’ingresso; le dimensioni massime esterne sono di 23,90 x 27,30 m [CO_4_2_15; CO_4_2_16]. Sul fianco posteriore destro è collocata la sacrestia, mentre dall’altro lato si alza il campanile; l’aula è coperta da cupola esternamente chiusa in un tiburio cubico a gradoni [CO_4_3_9; CO_4_3_10].
Dal 1951 a oggi, ma in particolare dopo la dismissione a seguito dell’applicazione della L. 180/78, nell’ex ospedale psichiatrico sono stati attivati lavori di parziale rifunzionalizzazione del complesso edilizio esistente, anche se una parte dello stesso versa ancora in uno stato di abbandono.
impianto
a padiglioni isolati collegati da gallerie e a padiglioni indipendenti
corpi edilizi
Edifici su uno o due piani, con pianta rettangolare, a “T”, a “U”, a “H”, a croce greca (chiesa)
strutture
strutture in elevazione: murature tradizionali e strutture in cemento armato
orizzontamenti: volte e solette piane
coperture: tetti a falde inclinate con coperture in coppi
buono: villino del direttore, chiesa
cattivo: edificio centrale, edifici isolati, aree verdi
S. Bonomi, Rendiconto della gestione sanitaria del Manicomio provinciale di Como per l'anno 1867, in “Annali universali di medicina”, vol. 6, fasc. 609, marzo 1868, pp. 465-513
G. Casletti, Ancora sull’erigendo manicomio della Provincia di Como, Tip. Municipale Giorgetti, Como 1878
G. Chiverny, Il nuovo Manicomio provinciale di Como, in “Rivista della beneficenza pubblica e delle Istituzioni di previdenza”, vol. 10, fasc. 9, settembre 1882, pp. 829-833
F. Maggiotto, L’Ospedale provinciale psichiatrico di Como durante il quadriennio 1929-1932. Cenno storico nella ricorrenza del cinquantesimo anno dalla fondazione (1882-1932), Cesare Nani, Como 1933
C. Roncati, L’Ospedale psichiatrico provinciale di Como dal 1940 al 1962, Tip. Noseda, Como 1962
M. Fogliaresi, G. Angri, Le stagioni del San Martino: documentario fotografico sulla psichiatria, Marna, Barzago 2008
G. Giudice, Un manicomio di confine. Storia del S. Martino di Como, Laterza, Roma-Bari 2009
A. Simioli, Ospedale psichiatrico San Martino a Como, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri, Electa, Milano 2013, pp. 143-144
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