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II fase

Anno inizio: 
da 1906 a 1923

Nel 1905 sono quasi terminati i lavori di sterro della collina e la costruzione della nuova cella mortuaria in sostituzione della vecchia; il Consiglio provinciale nello stesso anno approva (22 novembre) la sistemazione, a uso di locali d’osservazione, dell’edificio nell’angolo sud-est del complesso, contiguo alla cella mortuaria che s’intendeva eliminare. Questa ipotesi è in seguito sospesa per non pregiudicare un nuovo complesso manicomiale già in programma. La commissione ritiene, infatti, che tali lavori non sarebbero bastati a risolvere il problema dell’affollamento e della razionale gestione manicomiale, essendo il nuovo fabbricato previsto troppo lontano dall’ingresso e troppo vicino all’edificio centrale. Nel 1907 (8 febbraio) ci si orienta in altra direzione, anche in considerazione di un nuovo progetto proposto dall’ufficio tecnico provinciale, che consente di abbassare i costi. La Deputazione provinciale approva di nuovo il riassetto dei locali e la vecchia cella mortuaria è annessa ai locali d’osservazione, in modo da ottenere più ambienti d’isolamento: il provvedimento è però provvisorio poiché, nel corso del grande ampliamento terminato nel 1913, entrambi gli edifici d’osservazione sono demoliti.

Tra il 1906 e il 1913 il manicomio è, infatti, sottoposto a un progetto generale di riforma, che mira a trasformarlo in un impianto a padiglioni distanziati nel verde. Sono apportate modifiche nei padiglioni esistenti, costruiti nuovi edifici e laboratori annessi alla colonia agricola e, in data di poco posteriore, è edificato un padiglione destinato all’isolamento dei malati infettivi. Per risolvere la questione del riordino generale messo in moto, la Deputazione provinciale invita Edoardo Gonzales, direttore del manicomio di Mombello, a studiare il caso insieme al direttore del manicomio di Como, Francesco Del Greco, e all’Ingegnere capo dell’Ufficio tecnico provinciale, A. Longatti. Secondo il parere di Gonzales, la più aggiornata tecnica manicomiale prevede di costruire nuovi edifici più adatti, conservando i vecchi solo per cronici, criminali e lavoranti nella colonia agricola.

La discussione in sede provinciale è avviata nel 1906: nella seduta del 24 settembre noti alienisti, Andrea Verga e Giuseppe Antonini, suggeriscono di separare i curabili dagli incurabili, mantenendo lo stabilimento esistente ma adattandolo per i soli cronici, mentre propongono un’altra sede per gli acuti e per l’accoglienza dei malati. L’ipotesi di costruire un nuovo manicomio è supportata anche dall’avvocato G. Casartelli e dall’ingegnere R. Rusca, chiamati ad affiancare gli alienisti nella commissione consultiva dalla Deputazione provinciale (relazione del novembre 1907).

Resta, tuttavia, la difficoltà di trovare un luogo adatto, dotato delle risorse idriche necessarie, ed è a tutti evidente l’alto costo dell’intervento. Si pensa allora di annettere al manicomio esistente alcuni terreni adiacenti (a est, nord-est e sud-est), la cui superficie accidentata può essere resa piana con poca spesa. L’idea è accolta dal direttore Del Greco che ritiene opportuna la possibilità di costruire i nuovi padiglioni vicini agli esistenti, soluzione che consente anche di mettere in comune alcuni servizi (relazioni del 10 maggio e del 16 ottobre 1908).

Il progetto è approvato dalla Deputazione provinciale l’11 febbraio 1909; esso prevede la realizzazione di un manicomio villaggio, con padiglioni disseminati nel verde in maniera irregolare, senza criteri di simmetria; i primi interventi devono riguardare: lo sfollamento delle precedenti sezioni femminili, mediante la costruzione di due padiglioni per le croniche tranquille e lavoratrici, capaci di 50 ricoverate ciascuno; l’impianto di una nuova lavanderia, poiché quella esistente è insufficiente; la costruzione di nuovi padiglioni d’osservazione; l’avvio della colonia agricola; la costruzione di nuovi comparti per agitati e pericolosi e della sezione d’isolamento per infettivi (da effettuarsi nel secondo lotto di lavori, una volta completata la colonia agricola).

All’Ufficio tecnico provinciale è affidato il compito di progettare l’ampliamento nelle linee generali, in collaborazione con gli alienisti Del Greco e Gonzales, mentre i progetti esecutivi sono affidati a specialisti esterni. L’ampliamento così definito consente la costruzione di reparti che ampliano la capienza della parte nuova fino a quasi 1.000 posti letto (550 per uomini e 450 per donne), ai quali si devono aggiungere quelli già esistenti, senza però contare i dozzinanti. La ripartizione è così concepita: locali d’osservazione per i nuovi ammessi (30, nella sezione maschile, e 30 nella femminile), tranquilli (100 e 100), epilettici, marasmatici, deliranti, acuti gravi (40 e 40), semi agitati (100 e 100), agitati e pericolosi (90 e 80), cronici, operai e lavoratori (100 e 100), coloni (90 uomini).

L’Ufficio tecnico elabora diversi piani di ampliamento, tra il 1908 e il 1910; se quello del 1908 si estende sul fronte anteriore e ai lati del complesso principale [CO_4_2_7], i successivi indicano l’erezione di ben diciannove nuovi edifici, di cui i dieci maggiori da utilizzare come padiglioni. Inoltre, nel piano d’ampliamento del 1910 [CO_4_2_8], sono segnati come già realizzati due padiglioni per cronici, localizzati a est dell’area [CO_4_2_9; CO_4_2_10; CO_4_3_4; CO_4_3_5]. Nello stesso anno a questi se ne affianca un terzo [CO_4_3_6], in linea con i primi (a quota 219 e 221 m) ma a un livello più alto (a quota 232 m); nelle relazioni, la forma di questo edificio è definita a “doppia T”, simile ai padiglioni di Gorizia, Udine, Trieste, considerati come i più moderni.

Su progetto dell’ingegner Giovanni Carcano e dell’architetto Adolfo Zacchi, tra il 1910 e il 1912 si costruiscono inoltre due nuovi padiglioni d’osservazione, maschile e femminile [CO_4_2_11; CO_4_3_7], che hanno identica pianta a “U” (ma nel progetto prevista a “doppia T”), collocati sulla spianata a sud-est; a un solo piano per un massimo di trenta ricoverati nel progetto, sono poi realizzati con una volumetria più grande.

Nel 1911, Carcano e Zacchi redigono anche il progetto esecutivo di un nuovo villino per il direttore [CO_4_2_12], in posizione isolata e immersa nel verde, nella spianata di fronte all’edificio principale a destra del viale d’accesso, in prossimità dei nuovi padiglioni d’osservazione. La costruzione del villino risponde non solo alla volontà di dare al direttore un edificio appartato e più adatto alla vita familiare, ma anche di liberare spazio nell’edificio principale ampliando l’area destinata a uffici. Prima dell’esecuzione, nel 1912 l’Ufficio tecnico provinciale vi apporta alcune modifiche, per migliorarne ubicazione e ventilazione. Il villino ha cinque locali al piano terreno e cinque a quello superiore, con un sotterraneo e un locale sovrastante, oltre ai necessari servizi [CO_4_3_8].

In posizione distanziata, nel 1914 è redatto, ancora dall’Ufficio tecnico provinciale, il progetto per la costruzione del padiglione d’isolamento per malattie contagiose [CO_4_2_13], la cui realizzazione è affidata, per licitazione privata, all’ingegner Gilio Verga. Nel 1916 il padiglione è ancora in costruzione così come non sono realizzati i quattro padiglioni collocati dietro l’edificio principale. Sono riproposti, ma ancora una volta non realizzati, nel 1921-23, quando nasce l’idea di un altro ingrandimento dell’istituto manicomiale per accogliere 541 nuovi ricoverati.

L’Ufficio tecnico provinciale redige due soluzioni, diverse dalle precedenti: con la prima sarebbero stati realizzati quattro distinti padiglioni a corte, per agitati e semi agitati (560 letti) [CO_4_2_14]; con la seconda i padiglioni sarebbero stati riuniti in un unico grande quadrilatero con due vasti cortili interni, all’incirca delle stesse dimensioni del vecchio edificio centrale.

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