Nel gennaio del 1871 la Deputazione provinciale di Napoli nomina una commissione composta da tre consiglieri (il cavaliere Mantese, il cavaliere Mazza, il Duca di San Donato) incaricandola sia di prendere accordi con il manicomio di Aversa per il ritiro dei mentecatti poveri del proprio ambito territoriale, sia di provvedere all’adattamento dei locali dell’ex convento di Santa Maria dell’Arco. I lavori di adattamento, diretti dall’ingegnere Giuseppe Rossi dell’Ufficio tecnico provinciale, sono eseguiti con urgenza, data l’impellenza di trasferire i malati, consentendo l’apertura del manicomio già nel marzo dello stesso anno. Inizialmente si prevede – secondo contratto – di ricoverarvi i mentecatti non curabili di entrambi i sessi, disposizione alla quale non sarà possibile dare seguito per l’inadeguatezza dei locali. Secondo le “Istruzioni Sanitarie” elaborate dalla commissione delegata, la direzione viene affidata a quattro medici ordinari, che mensilmente si sarebbero dovuti alternare facendosi portavoce nei confronti della Deputazione di tutte le occorrenze necessarie; inoltre, i quattro medici e un chirurgo ordinario avrebbero dovuto costituire un comitato consiliario, tenuto a riunirsi due volte alla settimana per deliberare sulle varie proposte disciplinari e sul servizio sanitario interno. La direzione della struttura viene affidata inizialmente all’alienista Vincenzo Leonardo Cera, medico statista del Manicomio di Aversa, affiancato da un comitato medico, ma già nella tornata del 10 giugno del 1871 la Deputazione sopprime il comitato medico, prevedendo la presenza di un direttore e di un medico capo, dove il primo avrebbe avuto soltanto mansioni amministrative e il secondo la direzione tecnica del servizio sanitario. Contestualmente, nel ruolo di direttore viene nominato l’alienista Giuseppe Buonomo, medico al nosocomio di Aversa e professore alla Reale Clinica universitaria.
Gli atti amministrativi consentono di ricostruire le prime fasi di attività del manicomio: nell’ottobre del 1871 la Deputazione ordina l’acquisto urgente di panche, telai, strumenti e utensili per tessitore, falegname, calzolaio e pittore, attestando l’intenzione di impiantare piccoli laboratori in cui tenere impegnati i degenti. Nel luglio del 1872 si delibera l’acquisto di un macchinario per la lavorazione dello sparto, tecnica artigianale già in uso nel manicomio di San Niccolò a Siena, prevedendo addirittura la presenza all’Arco di un artefice proveniente dalla Toscana per insegnare ai folli questo tipo di attività. Tuttavia, nel contempo si manifestano con evidenza le carenze della sede prescelta: Biagio Miraglia, direttore del manicomio di Aversa nel 1866, descrive Santa Maria dell’Arco – secondo quanto si riporta in un verbale di una sessione consiliare – come una “babele” e un “putrido brulicume”, lamentando, oltre l’insufficienza dello spazio, anche la scarsità e non potabilità dell’acqua. Ciò nonostante, all’Arco vengono eseguite, dal 1878, ulteriori opere di adattamento dei locali al piano terra per uso di dormitori.
Le varie rimostranze determinano nel 1874 la decisione di acquistare il fabbricato del San Francesco di Sales a Napoli che entrerà in funzione solo a partire dal 1881. Da questo stesso anno all’Arco si alternano e sovrappongono diverse categorie di malati: inizialmente vi alloggiano le donne e parte dei folli uomini (i “recidivi” e i “paralitici”), dal 1883 vi risiedono soltanto le donne. Nella tornata del 4 dicembre 1888, il Consiglio provinciale decide di epurare dal Manicomio del Sales tutti i malati cronici e di ricoverarli all’Arco, che diventa Asilo di Mendicità (cioè luogo di ospitalità e non di cura): da questo momento tutti i maschi cronici del Sales verranno aggiunti alle donne croniche già ricoverate all’Arco, mentre le curabili verranno trasferite definitivamente nel manicomio napoletano.
Nel 1899, sotto la direzione di Leonardo Bianchi – succeduto a Buonomo nel 1890 – viene aperto un ingresso secondario di servizio alla cucina, forno e dispensa; vengono inoltre presi in affitto dalla proprietà attigua quattro locali annessi al manicomio, un grande androne e un cortile scoperto. Nel 1900 l’amministrazione del manicomio denuncia le cattive condizioni statiche dello stabilimento, ma gli interventi si limitano a piccole riparazioni al tetto e alle grondaie. Stante questa situazione, nel 1903 si pensa di trasferire nel manicomio del Sales tutte le donne e di limitare la presenza all’Arco solo agli uomini incurabili. Ad aggravare la situazione concorre una gestione amministrativa poco rispettosa del regolamento, che in breve tempo rende l’istituto ingovernabile. Nel 1906, infine, a causa dell’eruzione vulcanica, la struttura viene dichiarata inagibile e chiusa definitivamente [NA_SMA_4_3_1].
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