Ricovero di mendicità San Francesco (1864), poi Manicomio Umberto I (1909 ca), poi Ospedale provinciale San Francesco per malattie mentali (1927)
recupero e nuovo impianto
Il distacco dall’Umbria e l’annessione al Lazio del Circondario di Rieti, attuati nel 1923, seguiti nel 1927 dall’elevazione a Provincia del capoluogo sabino, segnano il passaggio di competenze dell’amministrazione manicomiale dalla Provincia di Roma a quella di Rieti. Il 3 giugno dello stesso anno il manicomio reatino, adattato e ampliato dalla fine dell’Ottocento nei locali dell’ex convento San Francesco internamente alla cinta muraria, e utilizzato dal 1923 al 1927 come sede distaccata del Santa Maria della Pietà di Roma, viene inaugurato con la nuova intitolazione di “Ospedale provinciale di San Francesco per malattie mentali”. Ma già all’indomani dell’inaugurazione la struttura si rivela incapace di rispondere alle nuove esigenze, ovvero di assolvere alle funzioni assistenziali prescritte dalla ormai progredita tecnica manicomiale, soprattutto a causa del repentino aumento del numero di malati e dell’inadeguatezza degli spazi del convento, come denunciato dal direttore Alessandro Alessandrini, facendo sì che si faccia velocemente strada l’idea (anch’essa avanzata da Alessandrini) del suo trasferimento in un complesso più ampio e isolato di modernissimo impianto, appositamente realizzato al di fuori del perimetro delle mura cittadine.
La scelta del sito dove sistemare la nuova “cittadina della follia”, vagliata nel giro di pochi anni, cade su una porzione di terreno coltivato a vite e ulivo e concluso da un bosco, dell’estensione di 30 ettari, distante poco più di 2 chilometri dal centro della città, collocato in località San Basilio, lambito su di un lato dal torrente omonimo e dall’altro confinante con due tenute extraurbane contigue, consistenti in un fondo agricolo e nella ottocentesca Villa Focaroli, entrambe delimitate dalla strada che conduce a Castelfranco [RI_4_1_3]. Secondo un piano probabilmente preordinato, il 3 novembre 1931 la Provincia acquisisce in prima battuta il fondo agricolo dell’estensione di 29 ettari, comprensivo di un fabbricato rurale, situato nel punto di confluenza tra la strada per Castelfranco e quella per Lugnano, che poi collegherà Rieti con il Terminillo. Nell’attesa della costruzione del futuro complesso manicomiale, viene sistemata nel fondo la Colonia agricola, che il direttore Alessandrini e la sua equipe hanno fortemente voluto per fronteggiare le difficoltà gestionali del manicomio cittadino, sulla scorta dei risultati positivi raggiunti in particolar modo oltralpe nella cura dei malati di mente con l’ergoterapia, che fonda i suoi principi sulla riabilitazione del paziente attraverso il lavoro diretto, eseguito in ambienti non coercitivi e preferibilmente all’aperto.
Dopo aver ottenuto la proprietà del vasto lotto nel quale insediare la Colonia agricola, e preso in affitto il fondo di Villa Focaroli con i suoi 3 ettari e mezzo di terreno, per trasferirvi il reparto Tranquilli dal San Francesco affidandolo alle Suore Mantellate (poi destinato ai Pensionanti), all’inizio del 1932 l’amministrazione bandisce un concorso per la progettazione del nuovo Ospedale provinciale di malattie nervose e mentali di Rieti destinato ad ospitare circa 600 pazienti. A fronte delle tre sole proposte pervenute entro il marzo 1932, rispettivamente a firma degli ingegneri Giovanni Battista Milani di Roma [RI_4_2_1], Nicola Novelletto di Rieti, Ettore Liguori - Antonio Tartaglia di Rieti, la Commissione, riunitasi il 12 aprile 1932, scarta il progetto Liguori-Tartaglia ritenendolo “affrettato e deficiente” rispetto agli altri due, decidendo il 18 successivo, a fronte delle perizie analitiche eseguite sui progetti Milani e Novelletto, di assegnare un ex aequo ai due concorrenti, mostrando tuttavia un maggior entusiasmo per la proposta di Milani.
L’urgenza di giungere a una immediata conclusione dei lavori e dare così il via alla costruzione del nuovo manicomio, spinge la Commissione a trovare un escamotage per evitare le lungaggini del secondo grado del concorso, proponendo ai due vincitori di redigere insieme un unico progetto che accolga le critiche e i suggerimenti emersi dalle perizie nel primo grado di concorso. Accettata la proposta formalizzata ufficialmente il 7 maggio 1932, e accolti i suggerimenti della Commissione, Milani e Novelletto, coadiuvati dal direttore Alessandro Alessandrini, allestiscono un progetto di massima, che, recuperando sostanzialmente la prima proposta di Milani, prevede la realizzazione di 25 edifici isolati adagiati sulle terrazze naturali formate dal terreno in forte dislivello, secondo la disposizione a villaggio conforme ai più moderni sistemi terapeutici e adottata nei più importanti istituti europei contemporanei. Già alla fine del giugno successivo la Provincia chiede ai progettisti gli elaborati definitivi dei primi padiglioni per procedere alle necessarie approvazioni; il 9 novembre 1932 Milani e Novelletto ricevono formalmente l’incarico e approntano entro la fine dell’anno lo studio definitivo, che non prevede sostanziali variazioni nella ditribuzione rispetto a quello iniziale, vagliando tuttavia con maggiore cura le soluzioni relative sia all’ossatura strutturale e che al trattamento architettonico degli edifici del complesso, e l’adattamento di questo al terreno in forte dislivello [RI_4_2_2]. Il 12 febbraio 1933 il progetto ottiene l’approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il 20 maggio successivo quella del Ministero degli Interni. Sarà il solo Milani, quasi sessantenne e al momento professore universitario e progettista ormai conosciuto ed affermato, a ottenere l’incarico di dirigerne i lavori.
I fase: 1931-1935 [RI_4_1_5]
architetti/ingegneri: Giovanni Battista Milani, Nicola Novelletto
alienisti/psichiatri: Alessando Alessandrini
Sistemata la Colonia agricola nel fondo acquisito nel 1931, situato all’ingresso della vasta area destinata a ospitare la futura struttura manicomiale, dal 1933 si provvede alla nuova costruzione.
Il progetto definitivo redatto da Giovanni Battista Milani e dal giovane Nicola Novelletto recupera sostanzialmente la prima proposta di Milani, aumentando il numero dei padiglioni da 15 a 25 e accogliendo le obiezioni della Commissione di concorso che ha considerato inaccettabile dal punto di vista tecnico-sanitario e della praticità di esercizio la proposta originaria, lodandone tuttavia il pregio formale. Se variano così numero, grandezza e organizzazione dei padiglioni, disposizione e tipologia dei reparti, distribuzione interna degli edifici, fruizione dei locali, e, parzialmente, la rete dei percorsi, nel progetto approvato viene recuperata a pieno la scelta di un impianto considerato all’avanguardia, che sfrutta il notevole dislivello del terreno (che sale velocemente da quota 400 a 460 metri), mediante una sistemazione a terrazze degradanti aperte verso il mare, sulle quali si dispongono, secondo assi di parziale simmetria e in posizione sfalsata, gli edifici del complesso manicomiale [RI_4_2_3].
Memore delle suggestioni a lui derivate dallo studio degli esempi tedeschi e ferrarese, dalla giovannoniana città-giardino di Montesacro a Roma, ma soprattutto sulla scia dell’esperienza del manicomio romano di Santa Maria della Pietà, che si propone addirittura di “superare”, Milani, e Novelletto con lui, allestiscono una coreografia movimentata, secondo la quale la posizione reciproca dei fabbricati, sfalsati tra di loro, permette a ciascuno la libera visuale sulla vallata reatina e una migliore illuminazione, mentre, come ribadito da Milani, la distribuzione apparentemente casuale restituisce all’insieme un senso dinamico, ordinato secondo il principio ritmico preordinato che ha informato le scelte progettuali.
Qualche lieve variazione presenta il piano attuativo, nel quale cambia la destinazione di alcuni padiglioni, vengono eliminati i due fabbricati posizionati ai lati del grande piazzale di ingresso che inquadrano scenograficamente l’edificio della Direzione, sono collegati tra di loro in un corpo unico i padiglioni Osservazione-Infermerie, e spostati dalla sommità del bosco nel terreno di pertinenza di Villa Focaroli – nuovamente acquisita dalla Provincia il 19 dicembre 1933 – il padiglione Tubercolotici e gli alloggi per i Medici e il Direttore [RI_4_2_4]. Soddisfacendo all’esigenza economica di movimentare il minor quantitativo di terra possibile, il progetto dispone nella parte a valle, più pianeggiante e direttamente fruibile dall’ingresso, gli edifici di maggior rappresentanza pubblica e di prima accoglienza – Direzione e Amministrazione, Osservazione-Infermeria Uomini e Donne –, distribuiti da un percorso semi-anulare con tracciati radiali e affacciati scenograficamente su un largo piazzale collegato alla strada e all’ingresso principale, architettonicamente definito, tramite un lungo viale alberato.
L’elemento ordinatore è costituito da un doppio asse rettilineo con andameno NE-SO, lungo il primo dei quali, in posizione centrale, si dispongono, oltre alla Direzione, l’Infermeria-Osservazione, i Servizi Generali, la Cappella, e ai cui lati, simmetricamente, trovano posto i padiglioni Tranquilli Uomini e Donne, Lavanderia, Isolamento e Semiagitati-Sudici Donne. Ai lati del secondo asse rettilineo, compreso tra i reparti Semiagitati-Sudici Donne e Semiagitati-Sudici Uomini, si collocano gli edifici degli Agitati Uomini e Donne e dei Tubercolotici. Più a valle, sulla sinistra del complesso, sono le Colonie Industriale e Agricola e il Necroscopico, serviti da un accesso secondario, mentre sulla destra del complesso, sulla sommità dell’altura, in posizione più isolata e contigua a Villa Focaroli, ora adibita a dimora delle Suore-infermiere, sono gli alloggi per il Direttore, i Medici e i Dirigenti, serviti da un accesso privato; poco più in basso, ancora in posizione laterale ma elevata, sono i fabbricati per Pensionanti Uomini e Donne.
I diversi padiglioni sono collegati tra di loro dal sistema stradale concentrico che segue la naturale disposizione dei terrazzamenti del terreno, intersecato da assi radiali e da una serie di percorsi pedonali secondari (“scorciatoie”, costituite da cordonate e piccole scalee). Tutti gli edifici, con piano seminterrato e uno o due piani fuori terra, è previsto che siano costituiti da corpi parallelepipedi, movimentati dall’aggiunta di elementi a geometria differenziata a questi aggregati, che movimentano la partitura dei prospetti nei quali è evidenziata la zona centrale; il forte sviluppo longitudinale è accentuato dalla ripartizione orizzontale delle facciate in corrispondenza dei diversi piani e dall’alternanza del rivestimento in intonaco e in mattoni; tutti i fabbricati, con coperture piane, sono caratterizzati dal sobrio trattamento architettonico dei prospetti, scanditi dalla successione ritmica delle aperture, e dalla riduzione all’essenziale del trattamento decorativo. La composizione, informata dalle più moderne concezioni tecnico sanitarie, oltre che nell’impianto “aperto”, nella disposizione libera degli edifici e nella cura della distribuzione e dell’organizzazione gerarchica degli spazi interni, nell’utilizzazione di grandi superfici vetrate, restituisce quell’idea di libertà nella cura del malato psichiatrico che ha informato le scelte progettuali di Giovanni Battista Milani.
La consistente spesa da affrontare – stimata in 10 milioni e mezzo di lire –, determinata anche dalla scelta di utilizzare i più moderni sistemi costruttivi, come pure di dotare il complesso di macchinari e impianti tecnologicamente all’avanguardia, fa sì che la Provincia decida di comprendere nel primo lotto dei lavori solo i 7 padiglioni considerati fondamentali: Direzione-Amministrazione, Osservazione-Infermerie Uomini e Donne, Servizi generali, Tranquilli Donne, Lavanderia, Colonia agricola, nonché l’ingresso principale dotato di guardianie.
L’inizio dei lavori di costruzione, nel maggio 1933 – inizialmente affidati alla Società Anonima Cooperative Imprese edilizie e affini (per le strutture) e alla ditte Tudini-Talenti e Cassinelli-Guercini –, viene rallentato da alcuni problemi riscontrati nello scavo delle fondazioni e nelle sistemazioni dei percorsi, anche a causa della scarsità di manodopera specializzata, tutta impiegata nei lavori di sistemazione della nuova strada per il Terminillo voluta dal Regime. Il 28 ottobre 1935, in un clima di approvazione generale, vengono inaugurati i primi due padiglioni destinati ai Tranquilli Donne [RI_4_2_5; RI_4_2_6; RI_4_3_1] e alla Colonia Agricola [RI_4_2_7; RI_4_2_8; RI_4_3_2], che la Provincia ha avuto fretta di realizzare, sebbene i lavori per il loro completamento (infissi, porte, impianti, ecc.) proseguiranno ancora in primavera, dopo la sospensione invernale. Così come voluto anche da Alessandrini, per evitare l’idea di “reclusione”, la recinzione consiste in un muretto basso (un solo metro) con sovrapposta rete. Mentre Milani appresta i disegni dal suo studio romano di via Balbo, Novelletto dirige di fatto i lavori nel cantiere, rendicontando puntualmente e rispettosamente al vecchio professore che, solo, ha avuto formalmente l’incarico della direzione.
II fase: 1936-1941 [RI_4_1_5]
architetti/ingegneri: Giovanni Battista Milani, Nicola Novelletto, Ufficio tecnico provinciale (Tullio Mercadanti, Gino Dell’Uomo D’Arme)
alienisti/psichiatri: Alessando Alessandrini
Con la seconda tranche dei lavori, nel febbraio 1936 si dà il via alla realizzazione dei padiglioni Direzione-Amministrazione [RI_4_2_9; RI_4_2_10; RI_4_3_3], Osservazione-Infermerie [RI_4_2_11; RI_4_2_12], Lavanderia [RI_4_2_13; RI_4_2_14; RI_4_3_7], Servizi Generali [RI_4_2_15; RI_4_2_16; RI_4_3_8], Semiagitati-Sudici Donne [RI_4_2_17; RI_4_2_18], e Agitati Uomini e Donne (rimarranno però sospesi) [RI_4_3_14], che si scontrerà tuttavia immediatamente con le difficoltà finanziarie dello Stato, impegnato nella guerra abissina, con la difficoltà di reperire le materie prime e con la lievitazione delle spese, conseguenti alle sanzioni internazionali imposte all’Italia
L’ingresso alla Direzione, al quale si vuole dare particolare rilevanza, è studiato in dettaglio nella decorazione da Milani, come scrive egli stesso a Novelletto nel 1937 [RI_4_3_4; RI_4_3_5], cura che caratterizzerà anche la progettazione del portale che introduce al complesso, dotato di guardianie [RI_4_2_19; RI_4_2_20; RI_4_3_10]. A partire dall’inizio del 1938 Milani è invitato a rivedere i progetti, modificando la distribuzione interna dei padiglioni in esecuzione per abbattere i costi di costruzione e aumentare il più possibile il numero dei posti letto, sacrificando a tale scopo uffici e sotterranei. Tutti gli edifici subiranno in corso d’opera una decisa semplificazione formale, relativa sia alla reintegrazione, per quanto possibile, dei volumi aggettanti all’interno del corpo di fabbrica principali sia alla riduzione all’essenziale del trattamento decorativo dei prospetti, operazione immediatamente percepibile confrontando i disegni di progetto con quanto effettivamente realizzato.
La morte di Milani, sopravvenuta il 26 giugno 1940, segnerà l’effettiva battuta d’arresto nella realizzazione del manicomio, del quale rimarranno incompiuti l’ala sinistra dell’Osservazione-Infermerie e il padiglione Semigitati-Sudici, fermi al primo livello per la difficoltà di reperire il ferro necessario per armare le strutture portanti e i solai. A pochi giorni di distanza, il 7 luglio successivo, l’Ufficio tecnico provinciale presenta un progetto suppletivo, a firma dell’ingegnere Tullio Mercadanti e del geometra Gino Dell’Uomo D’Arme, per il completamento dei due padiglioni ancora incompiuti, la cui messa in funzione è divenuta ormai cogente poiché un numero cospicuo di malati di mente continua a essere ospitato nel vecchio ospedale interno alle mura reatine. Conformemente al nuovo progetto i due padiglioni, semplificati rispetto all’idea originaria di Milani, saranno completati entro il 1941 [RI_4_3_6; RI_4_3_9].
III fase: 1942-1961 [RI_4_1_5]
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Alessandro Alessandrini, Francesco Carocci
Nell’ottobre 1943 il nuovo ospedale psichiatrico a San Basilio viene requisito dalle truppe tedesche e i malati trasferiti nell’antica struttura al centro di Rieti. La sede estraurbana sarà restituita alle sue funzioni solo nel 1945, a guerra conclusa. Contemporaneamente, in seguito a uno scontro avvenuto con il vice Presidente della Provincia Enrico Matteucci in merito alla richiesta di questo di ospitarvi alcuni soldati, il direttore Alessandrini, vedendosi costretto ad accettare usi che cosiderava impropri nel suo nuovo ospedale, già peraltro pesantemente investito dal conflitto, si risolve a trasferirsi ad Ancora lasciando il suo incarico al dottor Francesco Carocci.
A metà giugno 1961, con un nuovo progetto, ancora a firma di Gino Dell’Uomo D’Arme, che semplifica ulteriorente, di fatto, quanto previsto da Milani, si prevede il completamento dei padiglioni Agitati Donne e Uomini [RI_4_2_21; RI_4_2_22; RI_4_3_11], il secondo dei quali non verrà mai finito [RI_4_3_12], mentre continua a essere in attività Villa Focaroli, affidata alla cura delle Suore Mantellate, nella quale queste risiedono e dove sono internati i bambini frenastenici.
Il resto del complesso così come era stato ideato da Milani e Novelletto non sarà mai più realizzato.
IV fase: dal 1961 [RI_4_1_5]
architetti/ingegneri: Ufficio tecnico provinciale
L’emanazione della legge Basaglia, nel 1978, decreta la dismissione – come nel resto d’Italia – anche di questa struttura manicomiale. L’ospedale psichiatrico di Rieti viene definitivamente chiuso alla fine del 1999 con il trasferimento in altra sede degli ultimi malati.
Nel 1994, per disposizione del Presidente della Giunta Regionale, gli edifici del complesso vengono trasferiti in proprietà alla Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti, costituita nel 1992. Tra il 1993 e il 1997, grazie a un finanziamento regionale, viene ristrutturata e riqualificata Villa Focaroli, nuovamente destinata a comunità terapeutica psichiatrica, mentre la cappella annessa viene trasformata in centro diurno psichiatrico, completato nel 2000.
Tra lo scorcio del Novecento e i primi anni del secolo successivo iniziano i lavori di “riqualificazione” del manicomio provinciale, destinato a diventare la “città sanitaria” reatina, lavori che non sono a tutt’oggi terminati. Nel 1998 viene ristrutturato l’edificio Lavanderia per ospitare l’Ufficio tecnico della ASL. Tra il 2003 e il 2011 si attua la riqualificazione dei 4 padiglioni Direzione, Servizi Generali, Semiagitati-Sudici e Osservazione-Infermerie, all’interno dei quali, grazie a donazioni private, è stata sistemata l’aula conferenze. Tra il 2006 e il 2010 è stato ristrutturato il padiglione Agitati Donne, da destinare a Hospice (centro residenziale per cure palliative).
Attualmente gli edifici del complesso originariamente riservato alla cura della follia hanno o sono destinati a nuove funzioni: nella Direzione è ospitata la Direzione della AUSL di Rieti, nella Colonia agricola, l’Assessorato provinciale alla Viabilità e Lavori Pubblici, mentre i rimanenti padiglioni sono o saranno adibiti a laboratori, ambulatori e uffici del servizio sanitario locale [RI_4_1_4; RI_4_3_13].
Ai margini dell’ex complesso psichiatrico sono sorti edifici di notevoli dimensioni, che, collocandosi in particolare tra la Direzione e la Colonia agricola, hanno sconvolto l’unitarietà dell’insieme; la rete dei percorsi secondari è stata annullata e sopraffatta dal sistema viario principale, asfaltato e collegato direttamente con la viabilità cittadina anche tramite la rimozione della cancellata dal portale di ingresso. L’incompiutezza del piano originario, l’eccessiva semplificazione delle architetture nel corso della costruzione, sacrificate nel tempo a necessità di tipo economico, ma anche e soprattutto l’azzeramento degli ideali confini della cittadella della follia mediante la continuità dei percorsi con quelli urbani, ne hanno stravolto l’identità originaria, così come era stata concepita da Milani, rendendo vano il suo proposito di gareggiare, anzi di “superare” quanto Edgardo Negri aveva fatto a Roma [RI_4_3_14; RI_4_3_15].
impianto
sistema disseminato o a villaggio
corpi edilizi
padiglioni a pianta rettangolare con corpi aggiunti di grandezza e posizione variabile (a “C”, “E”, “T”, doppio “T”), a forte (e differente tra di loro) sviluppo longitudinale, generalmente tripartiti con accentuazione della porzione centrale d’ingresso, con piano seminterrato e uno/due piani fuori terra
strutture
strutture in elevazione: muratura di pietrame listato, muratura di laterizi, cemento armato
orizzontamenti: solai su cordoli in cemento armato con putrelle e tavelloni, solai in putrelle di ferro e laterizi, solai in cemento armato
coperture: tetti piani
ottimo ex padiglioni: I (Direzione - Amministrazione), II-III (Osservazione - Infermerie), IV (Servizi generali), XI (Agitati Donne), XVIII (Lavanderia), XXI (Colonia agricola)
cattivo parco e giardini
pessimo ex padiglioni: VI (Tranquilli Donne), IX (Semiagitati - Sudici Donne)
rovina ex padiglioni: X (Agitati Uomini)
A. Alessandrini, Il primo anno di vita dell’Ospedale Provinciale di S. Francesco per le malattie mentali di Rieti, in “Annali dell’Ospedale Provinciale di S. Francesco per le malattie mentali in Rieti”, I, 1928, pp. 15-60
L’ospedale psichiatrico di Rieti, in “Edilizia moderna”, 12, gennaio-marzo 1934, p. 47
G.B. Milani, N. Novelletto, L’ospedale psichiatrico di Rieti, in “Latina gens”, gennaio-febbraio 1937
E. Cirese, A. Faraglia, P. Albanese, Dal manicomio all’ospedale al territorio: storia dell’Ospedale psichiatrico di Rieti, estratto da “Annali della Cattedra di Medicina Sociale dell’Università degli studi di Roma La Sapienza”, [tip. Grafica 87, Roma 1989]
R. Marinelli, Memoria di provincia: la formazione dell'Archivio di Stato di Rieti e le fonti storiche della regione sabina (Pubblicazioni degli archivi di Stato. Strumenti, 129), Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1996
Architettura moderna a Roma e nel Lazio. Atlante, a cura di G. Strappa e G. Mercurio, Edilstampa, Roma 1996, pp. 104-107
A. Di Nicola, La città sanitaria. Storia e architettura della nuova sede della ASL di Rieti e dei suoi servizi, Azienda Sanitaria Locale di Rieti, Rieti 2011
I. Salvagni, Ospedale provinciale di malattie nervose e mentali San Francesco di Rieti, in I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di C. Ajroldi, M.A. Crippa, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M.L. Neri , Electa, Milano 2013, pp. 260-262
Archivio dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Rieti
Archivio Centrale dello Stato, Giovanni Battista Milani
Archivio della Provincia di Rieti
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