“Spedale per Pazzi e Tisici” in un oratorio nel Borgo di Fontenovo (1782)
Ricoveri di mendicità di Foligno, Spoleto e Rieti (1875) e per pellagrosi a Città di Castello (1909)
recupero con ampliamenti
Nel 1815, dopo aver preso atto delle condizioni deplorevoli in cui erano ricoverati i malati di mente presso un ospizio nel Borgo di Fontenovo, il Cardinale Rivarola decide di riadattare a manicomio il grande monastero delle monache benedettine di S. Margherita, trasferendo i beni di queste all’Ospedale di S. Maria della Misericordia. L’ormai ex edificio conventuale richiede tuttavia di essere adattato alle nuove esigenze igienico-sanitarie prima di accogliere i malati di mente. L’intervento, avviato nel 1817 è portato a termine nel 1824 su progetto dell’ingegnere Francesco Cellini, allievo di Luigi Poletti, con la guida di Goffredo Bellisari, primo direttore del nuovo manicomio (1824-1836); il complesso architettonico che ne risulta, costituito da un blocco con varie articolazioni e un cortile centrale, è poi denominato ‘Casa Centrale’: da questo primo nucleo il manicomio si svilupperà ulteriormente attraverso ampliamenti, modifiche trasformazioni e l’aggiunta di nuovi padiglioni al fine di rispondere alle istanze poste dagli alienisti e alle richieste di un numero sempre crescente di posti letto [PG_4_1_3; PG_4_2_1].
I fase: 1824-1901 [PG_4_1_6]
architetti/ingegneri: Francesco Cellini, Luigi Poletti, Giulio De Angelis, Ufficio tecnico del manicomio
alienisti/psichiatri: Goffredo Bellisari
Il progetto di Francesco Cellini prevede il riassetto della struttura, conseguito attraverso alcune demolizioni, poche aggiunte e una sostanziale ridistribuzione degli ambienti dell’ex convento. I provvedimenti intrapresi, tuttavia, non sono sufficienti a modificare la struttura – disarticolata, complessa, dislocata su vari livelli e con più corpi addossati – che rende l’edificio fin da subito inadatto all’uso al quale è stato destinato.
Pochi anni dopo questo primo intervento di trasformazione si rende perciò necessario ampliare la Casa Centrale e, nel 1834, si affida l’incarico di progettare l’aggiunta di un nuovo braccio fra i due cortili interni a Luigi Poletti, architetto già noto alla Delegazione Apostolica per i molti incarichi espletati nell’ambito dell’edilizia ospedaliera. Nel 1836 si procede a un successivo ampliamento della struttura con la costruzione di una nuova sala da bagno e con la sopraelevazione del braccio di levante al fine d’incrementare i posti letto a disposizione. Nel 1851 è poi realizzato il viale d’ingresso in asse con la facciata della Casa Centrale e, entro il 1863, si acquistano nuovi terreni, una palazzina e una casa rurale che, tra il 1865 e il 1871, è trasformata in colonia agricola. Quest’ultima, opportunamente collegata al viale d'ingresso mediante l’apertura di una nuova strada, è denominata ‘Succursale’ poiché, con essa, si compensa la carenza di posti letto. Nel frattempo, nel 1862, l’Ospedale della Misericordia cede la proprietà e la gestione del Manicomio di S. Margherita alla Congregazione di Carità.
Fra il 1884 e il 1886 si costruisce un nuovo edificio per ospitare i lavoratori artigiani, poi detto padiglione Adriani, su progetto di Giulio De Angelis [PG_4_2_2]. Nel 1885 il Manicomio procede all’acquisto della villa cinquecentesca del barone Della Penna, poi denominata villa Massari, da destinarsi alle malate ‘rettanti’ e, nel 1886, entra in possesso dell’ex convento dei Cappuccini che, fra il 1887 e il 1890, viene adattato a ‘colonia industriale per malate tranquille’, poi detto padiglione Bonucci, su progetto dell’Ufficio tecnico del manicomio. Altri interventi dell’epoca riguardano la sistemazione dei cortili esterni e delle aree verdi circostanti [PG_4_2_3]. Nel 1897 la Congregazione di Carità acquista il “Favarone”, edificio di proprietà del Collegio della Sapienza di Perugia, poi venduto al Comune nel 1901 perché troppo distante dalla Casa Centrale e, quindi, di difficile gestione.
Questa prima fase di sviluppo del complesso, dunque, è caratterizzata dall’assenza di un programma edilizio organico e sospinto dall’esigenza di accogliere un numero di malati in costante aumento, così che ampliamenti e trasformazioni avvengono per decisioni sporadiche e adattamenti successivi attraverso la trasformazione dell’esistente, l’acquisizione di edifici esistenti e la costruzione di nuovi padiglioni. Queste strutture, spesso distanti tra loro e realizzate per funzioni diverse, imprimono un aspetto eterogeneo al complesso che, di fatto, consta già di due nuclei separati e distanti. Tale divisione, tuttavia, pur risultando dispendiosa a causa degli spostamenti che impone, non sembra compromettere la qualità dei servizi sanitari. La posizione degli edifici, disseminati nella valle e immersi nella vegetazione spontanea e fra aree coltivate è, infatti, considerata un valore preminente del complesso, oltre che un punto di forza per le terapie del lavoro.
Quando, nel 1901, la Congregazione di Carità vende il manicomio alla Provincia di Perugia, il complesso consta di due sezioni: una comprende la Casa Centrale, la Succursale e il padiglione Adriani e ospita 454 malati complessivi, uomini e donne; l’altra è costituita dalle ville Bonucci e Massari e dal “Favarone” e ospita altri 280 malati.
II fase: 1901-1911 [PG_4_1_6]
architetti/ingegneri: Pirro Pasta, direttore dell’Ufficio tecnico provinciale
alienisti/psichiatri: Roberto Adriani
Dopo aver acquistato il manicomio dalla Congregazione di Carità, nel 1901 l’Amministrazione provinciale ne riorganizza e completa le strutture sanitarie in base alle più moderne teorie nel campo dell’edilizia per l’assistenza psichiatrica, che raccomandano di ricoverare i dementi in padiglioni distinti per sesso e secondo il tipo di malattia mentale; alla data il manicomio provinciale di S. Margherita accoglie 655 malati.
Scartata la proposta di costruire una nuova struttura, si decide d'intervenire sugli edifici esistenti per trasformarli e ampliarli. Si stabilisce, innanzitutto, di separare i malati in due reparti, maschile e femminile, ciascuno ospitante un massimo di 400 pazienti, fatto che implica lo spostamento dei malati da una sede all’altra e la costruzione di nuovi padiglioni per aumentare i posti letto.
Il progetto di ampliamento e riordino è affidato all’ingegnere Pirro Pasta, capo dell’Ufficio tecnico provinciale, e presentato al Consiglio provinciale nel 1903 [PG_4_2_4; PG_4_2_5; PG_4_2_6]. Per ottenere la separazione fra uomini e donne si programma la costruzione, nella sezione femminile, di vari padiglioni che ospitino, separatamente, le malate acute sanabili, quelle insanabili, le epilettiche e agitate e quelle sotto osservazione, in attesa della definitiva assegnazione. I nuovi padiglioni avrebbero aumentato il numero di posti letto di 155 unità, in tal modo liberando la vecchia Casa Centrale da un gran numero di ricoverati. Nella sezione maschile, invece, si rende necessario costruire un nuovo padiglione per accogliere i pazienti rettanti, già collocati in locali con accesso scomodo della Casa Centrale dove la separazione dai malati comuni si rivela parziale. Il progetto per il nuovo padiglione, tuttavia, non è realizzato; la sezione maschile, peraltro, è dissimile dalla femminile che appare ben più comoda e amena, dotata di ampie sale e giardini panoramici.
I principi ispiratori del “progetto Pasta” consistono nella suddivisione dei pazienti per sesso e per malattia, e nell'autosufficienza della struttura che deve essere dotata di aziende speciali, di luoghi per la produzione di beni e per l’artigianato e dei servizi principali. Il numero massimo stabilito di 800 malati, suddivisi tra le due sezioni a loro volta ripartite in aree funzionali destinate alla degenza, al lavoro, alla produzione di beni, alla direzione, all’amministrazione, all’assistenza religiosa e allo svago. Nel disporre e orientare i nuovi padiglioni, Pasta tiene conto non soltanto degli edifici preesistenti ma anche della loro dislocazione in un contesto urbano e naturalistico di notevole valore paesaggistico. Egli, infatti, dispone gli edifici in modo che si affaccino sulla valle lasciando ampio spazio ai giardini, disposti in relazione alla pendenza del terreno, e alla vegetazione esistente, affinché gli ambienti godessero di una vista continua e di un soleggiamento costante durante il giorno e nel corso dell’anno.
I padiglioni progettati da Pasta sono costituiti da volumi semplici con superfici intonacate e prospetti scanditi da semplici paraste angolari, cornicioni modanati, cornici marcapiano e zoccolature basamentali quali unici elementi decorativi, arricchiti da ringhiere, balaustre e inferriate in ferro battuto. Questo linguaggio architettonico sobrio misurato e uniforme, secondo Pasta, contribuisce ad accrescere l’idea di villaggio, peraltro nobilitato dal contesto naturale. Pasta pone particolare attenzione anche alla conversione funzionale dei padiglioni esistenti, apportando migliorie che soddisfino le istanze di natura igienico-sanitaria, quali la ricostruzione di soffitti e pavimenti, la verniciatura a smalto delle pareti, l’apertura e l’ampliamento delle finestre, l’impianto di lavandini e latrine, l’installazione d’impianti di riscaldamento e ventilazione. Ingenti modifiche sono studiate anche per la Casa Centrale, affinché possa accogliere numerosi pazienti della sezione maschile, e la sistemazione degli spazi esterni [PG_4_2_7]. È adattata anche la Succursale, per ospitare gli alienati epilettici, senili e pellagrosi, mentre per il padiglione Adriani si prevede l’ampliamento del piano terra di circa due volte la superficie al fine d’ingrandire i laboratori già esistenti.
I nuovi padiglioni, costruiti con tecniche moderne e materiali innovativi, sono dotati d’impianti (elettrici, termici e sanitari) autonomi e all’avanguardia, collegati alle centrali, una per ciascuna sezione, dislocate presso il padiglione Bonucci, per la sezione femminile, e nel padiglione Adriani, per quella maschile.
L’esecuzione del Piano Pasta è avviata nel 1904 ma, di esso, sono completati sotto la sua direzione soltanto il mulino, il panificio, il pastificio e il magazzino e, nel 1907, l’ampliamento della Succursale; nel 1911, infatti, Pirro Pasta lascia la direzione dell’Ufficio tecnico provinciale all’ingegner Guido Rimini, che proseguirà solo in parte il progetto di riordino predisposto dal suo predecessore.
III fase: 1911-1940 [PG_4_1_6]
architetti/ingegneri: Guido Rimini (Ufficio tecnico provinciale)
alienisti/psichiatri: Cesare Agostini, Giulio Agostini
Nel 1911 il Consiglio provinciale stabilisce di costruire nuovi padiglioni nella sezione maschile in risposta alla richiesta di posti letto supplementari, per i quali, invece, il Piano Pasta indicava di recuperare la Casa Centrale e la Succursale. La redazione dei nuovi progetti è affidata all’ingegner Guido Rimini, nuovo ingegnere capo dell’Ufficio tecnico [PG_4_1_4]. Mentre procede alla realizzazione degli edifici previsti da Pasta per il reparto femminile – i padiglioni Santi, Zurli e Neri [PG_4_2_8; PG_4_2_9] – egli disegna e realizza anche un nuovo padiglione per i “malati in osservazione” presso l’ingresso della sezione maschile. Inoltre, a fianco del padiglione Adriani, decentrato rispetto agli altri ma vicino all’azienda rurale e agli orti, realizza un padiglione per i “malati in cura e sotto sorveglianza continua”. Su suo progetto si costruisce anche una piccola azienda rurale nei pressi della colonia agricola, mentre nel 1913 la Succursale è trasformata in reparto per agitati e semiagitati, poi denominato padiglione Bellisari. Nel 1916 si prosegue col rifacimento delle facciate della villa Massari ed entro il 1917 si costruisce il padiglione per “malati in cura e sotto sorveglianza continua”.
Nel 1918 l’ingegner Rimini avvia la definitiva demolizione della Casa Centrale da sostituirsi con un nuovo e moderno edifico per “malati criminali agitati” che egli stesso progetta e porta a termine nel 1924, poi denominato padiglione Agostini; a fianco, è poi edificato un piccolo fabbricato per la camera mortuaria, sempre su progetto di Guido Rimini.
Entro il 1924 sono completati i lavori alla sezione femminile con la costruzione della guardiola d’ingresso e dei padiglioni per le malate in osservazione (padiglione Santi), per le malate acute guaribili (padiglione Zurli) e per le malate epilettiche e agitate (padiglione Neri). Infine, nella sezione maschile si costruisce anche uno chalet per il guardiacancelli [PG_4_3_1] e un padiglione per i malati in osservazione. Inoltre, negli stessi anni, Rimini progetta una nuova cucina, collocata nella sezione maschile, in sostituzione di quelle vecchie dislocate nell’una e nell’altra sezione, che rende necessario un collegamento efficiente dei vitti e di altri materiali da una sezione all’altra, realizzato per mezzo di una ferrovia Decauville a trazione animale parallela al viale interno al manicomio che unisce le due sezioni [PG_4_3_2]. Contestualmente, è ampliato il padiglione Adriani e costruito un nuovo edificio da affiancare all’azienda rurale [PG_4_3_3; PG_4_3_4; PG_4_3_5].
Negli stessi anni, su proposta del direttore Agostini, si decide d’interrompere la costruzione dell’alto muro di recinzione che delimita gli spazi esterni annessi ai padiglioni femminili. Il muro, tuttavia, è poi sostituito da una rete metallica che garantisce la vista della valle ed evita la sensazione di segregazione che avrebbe suscitato il muro, avvicinando idealmente la città all’ospedale; nella stessa ottica il direttore propone di eliminare le inferriate alle finestre che, pur non previste nei progetti, compariranno comunque in tutti gli edifici.
Fra il 1924 e il 1940 l’attività edilizia è molto ridotta. Accanto al padiglione Bonucci è costruito un piccolo fabbricato rettangolare destinato a lavanderia, dotata d’impianti per pulizia e disinfezione, poi ampliata e rinnovata con macchinari moderni. Nel 1933 è necessario sopraelevare il vecchio padiglione per i “malati in cura e sotto sorveglianza continua”, poi destinato ai “malati agitati e semiagitati”, mentre il padiglione Agostini è destinato ai “malati sanabili”; si costruiscono, inoltre, due fabbricati rettangolari a due piani adibiti a stalle in prossimità del fosso di S. Domenico e degli orti del manicomio.
IV fase: 1940-2012 [PG_4_1_6]
Il sopraggiungere della seconda guerra mondiale interrompe la fase di accrescimento del manicomio che, fra il 1940 e il 1945, è occupato e in parte danneggiato dalle truppe tedesche e alleate.
Data la scomodità dovuta alla lontananza delle due sezioni e sulla scorta di una nuova e diversa concezione della psichiatria, nel 1952 il direttore Giulio Agostini propone di concentrare tutte le funzioni del manicomio nella sezione femminile, cedendo quella maschile all’eduzione scolastica che, in quegli anni, richiama le energie della Provincia. Incarica, quindi, il geometra dell’Ufficio tecnico provinciale, Mario Ciagli, di stilare un programma edilizio per attuare la trasformazione, prevedendo di realizzare un grande edificio monoblocco che ospiti i reparti e i servizi necessari al migliore funzionamento del manicomio [PG_4_2_10]. Su questa scorta, nel 1953 l’Amministrazione provinciale indìce un concorso nazionale di progettazione per la costruzione del Nuovo Ospedale Neuropsichiatrico Provinciale di Perugia da erigersi sul versante nord del fosso di S. Margherita e a valle del quartiere di Monteluce. Il concorso è vinto dal progetto dell’architetto veneziano Daniele Calàbi che prevede la realizzazione di un grande edificio segmentato, posto lungo il declivio e ramificato in vari bracci, ciascuno corrispondente a una diversa funzione. Il corpo di fabbrica principale, destinato alla cura dei malati acuti e per i trattamenti rapidi, è formato dall’intersezione di quattro corpi non allineati; a questo si affiancano corpi più piccoli, disposti lungo la strada che conduce a valle, insieme a uno per i trattamenti ausiliari, presso via Enrico dal Pozzo. Inoltre, il progetto di Calàbi prevede l’adattamento dei padiglioni esistenti, destinati alla cura dei malati cronici e si estende anche all’allestimento degli spazi esterni a parco e strutture sportive. Il progetto è finanziato, appaltato e avviato, ma subito abbandonato quando sono già in corso le opere di scavo e il getto delle prime fondazioni a causa di gravi problemi strutturali dovuti al cedimento del terreno [PG_4_2_11; PG_4_2_12]. Nel 1956 il padiglione Bonucci, inoltre, subisce un pesante adeguamento funzionale, necessario ad aumentarne la capienza fino a 85 posti letto al fine di ospitare i malati qui trasferiti dal padiglione Bellisari, a sua volta trasformato in Istituto Tecnico per Geometri; inoltre, nelle vicinanze del padiglione Bonucci è costruita una nuova farmacia.
Nel frattempo, l’Amministrazione provinciale decide di razionalizzare le risorse economiche destinate al manicomio e, nel 1972, affida agli architetti perugini Francesco e Pietro Zannetti l’incarico di redigere un progetto preliminare di sistemazione e ampliamento del padiglione Bonucci a sede direzionale dell’ospedale. Il progetto è approvato nel 1973 con l’intenzione di completare il programma di riassetto dei servizi psichiatrici mediante l’accorpamento delle strutture assistenziali nella zona di via Enrico dal Pozzo e la destinazione di quelle in via XIV Settembre a parco pubblico, ma anche questo progetto non ha ulteriori sviluppi.
Di fatto, già dall’inizio degli anni sessanta, l'amministrazione del manicomio perugino si pone all’avanguardia nelle nuove tendenze della psichiatria e nella cura delle malattie mentali che in Italia si concretizzeranno nel cambiamento radicale della gestione degli ospedali psichiatrici provinciali nel giro di alcuni anni. Nel 1978 viene, infatti, approvata la legge nazionale n. 180 di riforma della psichiatria che decreta, fra le altre, anche la dismissione dell’Ospedale neuropsichiatrico di Perugia e il trasferimento dell’assistenza sanitaria dei malati di mente alle neo-costituite Unità Sanitarie Locali. A Perugia il processo di dismissione giunge a compimento nel 1980.
In conseguenza alla chiusura dell’ospedale neuropsichiatrico molti padiglioni rimangono vuoti e abbandonati e, solo dopo alcuni anni, subentrano nuove e diverse funzioni che mutano l’assetto del sito. I padiglioni Adriani e Agostini sono ceduti in uso all’Università per Stranieri di Perugia, mentre il padiglione che ospitava i “malati agitati e semi agitati” è adibito a Liceo Scientifico Statale Galileo Galilei mentre, nel 1989, i padiglioni Zurli, Neri e Santi passano alla USL di Perugia. Nel 1996 la Valle di S. Margherita è dichiarata Parco Urbano ed è dotata di percorsi e aree attrezzate; qui viene allestita anche un’esposizione en plein air di opere d’arte contemporanea che, tuttavia, viene del tutto dimenticata nel giro di pochi anni e sta deperendo miseramente. Nel 1995 il padiglione Bonucci è concesso in uso per 99 anni all’Università degli Studi di Perugia che, valutate varie ipotesi, vi colloca il Centro Linguistico d’Ateneo dopo aver sottoposto l’antico edificio a un intervento di restauro, consolidamento strutturale e rifunzionalizzazione, progettato e diretto dall’architetto Simona Salvo e dall’ingegnere Pio Castori fra il 2000 e il 2004. In questi stessi anni anche il padiglione Agostini viene sottoposto a ristrutturazione e adeguamento impiantistico [PG_4_1_05; PG_4_3_6; PG_4_3_7; PG_4_3_8; PG_4_3_9; PG_4_3_10].
impianto
“a villaggio”, con due sezioni, femminile e maschile, e padiglioni collegati da viabilità interna e privata
corpi edilizi
corpo edilizio articolato attorno a corte chiusa centrale (ex edifici conventuali); padiglioni a 1, 2 o 3 piani a pianta rettangolare; villa, villini, case coloniche, annessi agricoli
strutture
strutture in elevazione muratura in mattoni e pietra; pilastri in ferro, ghisa, cemento armato orizzontamenti solai in latero-cemento e in legno, volte in laterizio
coperture tetto a falde, a capanna, a padiglione, copertura piana
ottimo ex padiglioni Agostini, Bonucci
buono padiglioni Neri, Santi, Adriani, Zurli
medio ex padiglioni Bellisari, Villa Massari
pessimo alcune case coloniche
rovina alcune case coloniche
Manicomio di S. Margherita in Perugia. Notizie circa la fondazione, Unione Tipografica Cooperativa, Perugia 1899
Sull'acquisto del Manicomio di S. Margherita in Perugia, Amministrazione provinciale dell'Umbria, Perugia 1900
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C. Agostini, II Centenario del Manicomio di Perugia (23 settembre 1824, 28 settembre 1924), Amministrazione provinciale dell'Umbria, Tip. Perugina, Perugia 1924
F. Cellini, Sullo stabilimento di S. Margherita in Perugia (Roma 1839), Ivi, All. IX, pp. 96-99
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Fonti filmografiche e fotografiche
Fortezze vuote, di Giovanni Serra, documentario, Fondazione Celli di Perugia e da Officine della memoria di Foligno, 2009
Dentro le proprie mura, di Franco Corinaldesi, documentario, 2010
Immagini e parole, mostra fotografica di Massimo Stefanetti, 1976, Perugia, oggi conservate presso ‘L'officina della memoria’ a Foligno
Archivio di Stato di Perugia, UTE, Catasto Gregoriano e aggiornamenti, Archivio Storico della Provincia di Perugia (in fase d’inventariazione), Archivio dell’ex Congregazione di Carità, Archivio della Prefettura di Perugia
Archivio della Provincia di Perugia, Centro Multimediale di Informazione e Ricerca - collezione dell’ex Manicomio Provinciale di S. Margherita, Archivio Corrente
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